La normativa che non prevede la falcidia IVA nell'ambito delle procedure di sovraindebitamento è illegittima

12 Febbraio 2020

La Corte Costituzionale si è espressa in merito alla norma che prevede la mancata possibilità per il debitore di falcidiare l'IVA nell'ambito della procedura di sovra-indebitamento, dichiarandola costituzionalmente illegittima, in quanto violerebbe l'art. 3 della Costituzione.
Massima

La Corte Costituzionale si è espressa in merito alla norma che prevede la mancata possibilità per il debitore di falcidiare l'IVA nell'ambito della procedura di sovra-indebitamento, dichiarandola costituzionalmente illegittima, in quanto violerebbe l'art. 3 della Costituzione.

Il caso

Una persona fisica ha depositato un ricorso, con il quale ha proposto ai propri creditori un accordo di ristrutturazione e di soddisfazione alternativa dei loro diritti, ai sensi degli artt. da 6 a 12 della L. n. 3/2012.

La relativa proposta prevedeva il pagamento (nel corso di cinque anni) di una determinata somma a favore dei creditori prededucibili e concorsuali, tutti collocati in chirografo (compresi tutti i privilegiati, attesa l'incapienza totale dei beni gravati) con una percentuale di soddisfazione del 18% circa.

Fra i crediti privilegiati che il ricorrente proponeva di soddisfare solo parzialmente, figurava anche l'obbligo di pagare all'Erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (d'ora in poi: "Iva") per una determinata somma (credito che gode del privilegio generale mobiliare di cui all'art. 2752 terzo comma del codice civile).

Il Tribunale di Udine, constatato che tale previsione del piano era in palese contrasto con la regola posta dall'art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, secondo cui: "In ogni caso, con riguardo (...) all'imposta sul valore aggiunto (...), il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento", non ha emesso una dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di uno specifico requisito legale, ma ha rinviato alla Corte Costituzionale la questione.

Infatti, nell'ordinanza, viene specificato che la normativa che impedisce la possibilità di falcidiare il debito IVA nell'ambito delle procedure di sopra-indebitamento, sarebbe in contrato con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

La questione

L'art. 7, co. 1,

L. 3/2012

, applicabile all'accordo di composizione delle crisi da sovra-indebitamento e al piano del consumatore, stabilisce che la proposta formulata dal debitore non fallibile – con l'ausilio dell'organismo di composizione della crisi – può prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dall'Organismo di composizione della crisi (OCC).

Inoltre, il suddetto articolo, alla terza parte del co. 1, evidenzia che "In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, all'imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento". Ergo, la rigida e letterale applicazione di tale principio renderebbe inammissibile la proposta che preveda la falcidia dell'IVA.

Il divieto di falcidazione dell'IVA nelle procedure concorsuali risale all'art. 182-ter del

R

.

D

.

267/42

(

Legge Fallimentare

) in relazione all'istituto della transazione fiscale facoltativamente attivabile nell'ambito del concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Invero, nella versione precedente a quella attuale modificata dalla

Legge dell'11 dicembre 2016, n. 232

(c.d. Legge di bilancio 2017), la disposizione in esame consentiva per tali procedure solamente la dilazione dei tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, senza alcuna possibilità di riduzione del relativo debito. Sino al

31 dicembre 2016, pe

rtanto, l'art. 7, co. 1.,

L. 3/2012

era coerente – avendo una formulazione analoga – con l'art. 182-ter.

Tuttavia, la L. n. 232/2016, in vigore dal 1° gennaio 2017, ha riformulato l'

art. 182-

ter

L.

F

all

., stabilendo l'obbligatorietà della transazione fiscale nel caso di proposta di pagamento parziale di qualsiasi debito per tributi o contributi, compresi quelli per IVA e ritenute, nel concordato preventivo e nell'accordo di ristrutturazione dei debiti. Nessuna modifica, in tal senso, è stata, invece, apportata all'

art. 7, co. 1,

L. 3/2012

, che continua, pertanto, a prevedere l'impossibilità, per il soggetto non fallibile, di proporre una soddisfazione parziale dei propri debiti per IVA e ritenute.

La soluzione giuridica

Il Tribunale di Udine ritiene che l'art. 7 della Legge n. 3/2012 sia in contrasto con l'art. 3 e con l'art. 97 della Costituzione

In merito al primo articolo, viene stabilito che la previsione della norma in commento violerebbe il principio di uguaglianza di trattamento di tutti soggetti debitori (persone fisiche, giuridiche, enti collettivi in generale) che si trovano nella medesima situazione di crisi e, per questo motivo, vogliono effettuare una transazione concordataria con i propri creditori.

Infatti, in sede di concordato preventivo e di ristrutturazione del debito (sulla natura di procedura concorsuale di tale accordo si rinvia, ad esempio, a Cassazione civile, sez. I, 18 Gennaio 2018, n. 1182), è consentito prevedere una soddisfazione non integrale dei creditori privilegiati, purché ci si mantenga nei limiti del valore ricavabile dalla vendita forzata dei beni su cui la prelazione si esercita, avuto riguardo al valore ad essi attribuibile sulla scorta di una valutazione di un esperto indipendente.

La stessa regola vale, espressamente, anche per la transazione fiscale che si intenda raggiungere: l'Amministrazione è legittimata ad aderire ad una proposta del debitore che preveda un pagamento parziale dei crediti privilegiati che gestisce, se sono rispettate le consuete regole della falcidia nel limite della capienza dei beni gravati (art. 182 ter, L.Fall.).

Viceversa, qualsiasi debitore insolvente non soggetto alle procedure di cui alla L.Fall. (tra cui ad esempio l'imprenditore commerciale per qualsiasi motivo sottratto al fallimento), qualora intenda gestire il proprio sovra-indebitamento con strumenti ugualmente concorsuali ed a base negoziale sotto il controllo del tribunale (accordo di ristrutturazione; piano del consumatore), può bensì prevedere un trattamento dei creditori privilegiati con falcidia nel limite della capienza dei beni gravati; ma, con deroga assoluta ed imperativa, deve sempre prevedere il pagamento per intero del credito per Iva, a pena di inammissibilità della proposta.

Conseguentemente, tale disparità di trattamento è evidente considerato che coloro che hanno a disposizione solo le procedure concorsuali negoziate previste dalla L. n. 3 del 2012 devono pagare sempre e per intero quella particolare categoria di crediti privilegiati rappresentata dal credito Iva; tutti gli altri, al contrario, possono invece gestire il medesimo credito con falcidia (nei limiti indicati), al pari di tutti gli altri muniti di causa di prelazione.

Tale diseguaglianza, secondo i giudici friulani, non può essere giustificata da limiti dimensionali dell'impresa commerciale, che discrimina la possibilità di avvalersi di una procedura rispetto ad un'altra, dal momento che tali requisiti sono mutevoli nel tempo ed un soggetto, nel corso della sua attività economica, potrebbe o meno essere soggetta alle disposizioni della legge fallimentare a seconda di mere contingenze.

Secondo il Tribunale di Udine, una situazione paradossale potrebbe verificarsi in capo agli imprenditori agricoli, che possono trattare con l'Erario per farsi approvare una falcidia del credito Iva nell'ambito di un accordo di ristrutturazione ex artt. 182 bis e 182 ter L.Fall., ma non possono ottenere lo stesso risultato se accedono ad una procedura di accordo di ristrutturazione ex L. n. 3 del 2012. E ciò, a prescindere dalle loro dimensioni, sicché lo stesso soggetto paradossalmente può ottenere o meno tale risultato a seconda dello strumento (pur omologo) che egli stesso scelga di impiegare.

In merito, invece, alla violazione dell'art. 97 Cost., secondo cui la legge deve organizzare i pubblici uffici in modo da assicurarne il buon andamento, la relativa illegittimità si verificherebbe in quanto verrebbe precluso alla Pubblica Amministrazione di condursi secondo criteri di economicità e di massimizzazione delle risorse nel caso concreto; e questo anche quando in realtà ciò sarebbe possibile consentendo ad un pagamento del credito Iva parziale, ma in termini più rapidi ed in misura non inferiore alle alternative meramente liquidatorie

Infatti la previsione criticata, quando rende necessariamente inammissibile la proposta di accordo che non preveda il pagamento integrale dell'Iva, priva la Pubblica Amministrazione del potere di valutare autonomamente ed in concreto se la proposta (al di là delle attestazioni di corredo e del primo vaglio giudiziale) è davvero in grado di soddisfare tale credito erariale in misura pari o addirittura superiore al ricavato ottenibile nell'alternativa liquidatoria, e dunque di determinarsi nel caso concreto al voto favorevole o contrario (con facoltà di successiva opposizione e reclamo).

Oltretutto, considerato che all'Amministrazione Finanziaria è impedito, rispetto ad altri creditori privilegiati di rango posteriore, di scegliere di ridurre il proprio credito anche in caso di manifesta convenienza, ciò metterebbe la pubblica Amministrazione in una situazione di svantaggio e, quindi, di diseguaglianza rispetto agli altri soggetti.

Osservazioni

Con la pronuncia in oggetto, la Corte Costituzionale ha accolto le richieste del Tribunale di Udine, con riferimento alla censura relativa all'art. 3 della Costituzione, mentre la decisione in merito all'art. 97 è stata assorbita da quella del precedente articolo.

Prima di esaminare le ragioni alla base della decisione, la Corte ricorda che l 'accordo di composizione, al pari del concordato preventivo, prevede la possibile falcidiabilità dei crediti privilegiati in deroga al principio dettato dall'art. 2741 cod. civ., giacché l'art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012 riproduce, in parte, il contenuto dell'art. 160, comma 2, della Legge fallimentare.

In particolare, tali norme prevedono che il pagamento parziale dei crediti viene condizionato al positivo riscontro del favor che la proposta del debitore deve accordare alla soluzione di definizione preventiva della crisi rispetto alla alternativa liquidatoria, secondo indicazioni valutative che il legislatore rimette all'attestazione resa da un terzo, il quale, al di là del profilo relativo alla relativa nomina, deve comunque svolgere la propria attività in modo indipendente.

Le due procedure si disallineano, invece, in relazione al trattamento dei debiti tributari, pur se entrambe, in linea di principio, consentono la falcidia anche di queste poste di credito.

Infatti, la normativa dettata per l'accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile prevede la generale falcidiabilità dei crediti tributari, privilegiati e chirografari, ma, a differenza della Legge fallimentare, la esclude in riferimento al regime dell'IVA (oltre che per gli altri crediti descritti dalla medesima disposizione censurata, quali le ritenute).

Al contrario, la Legge fallimentare nel suo vigente tenore legittima domande di concordato preventivo che prevedano la falcidia dei crediti tributari esclusivamente se proposte attraverso il meccanismo procedurale definito dal citato art. 182-ter della legge fallimentare.

Fatte queste premesse, la Corte di Cassazione ha sancito che le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Udine devono ritenersi fondate in riferimento all'art. 3 Cost.

Infatti, viene sottolineato che gli obiettivi delle due procedure (crisi da indebitamento e concordato preventivo) sono simili, in quanto, pur a fronte di una chiara disomogeneità di interessi, quanto ai soggetti che possono accedervi, in entrambe viene consentita l'esdebitazione di chi è gravemente indebitato, evitando l'azione liquidatoria, frazionata o complessiva, del relativo patrimonio e favorendo, al contempo, una immediata ricollocazione del debitore all'interno del circuito economico e sociale, senza il peso delle esposizioni pregresse.

In particolare, la regola che domina le due procedure è quella della falcidiabilità di tali poste creditorie: la pretesa alla soddisfazione integrale del credito munito di prelazione, anche di natura tributaria, può recedere sull'altare della minor convenienza della alternativa liquidatoria del relativo patrimonio di riferimento.

Nel caso in cui non fosse consentito la falcidia dell'IVA nella procedura di sovraindebitamento, questo comporterebbe una disparità, che toccherebbe in primo luogo i debitori interessati dalle procedure in questione, giacché non v'è motivo per trattare diversamente, sotto questo profilo, i debitori legittimati ad avvalersi della procedura di concordato preventivo in quanto assoggettabili a fallimento.

Pertanto, la ragione di fondo che giustifica la falcidia dell'IVA, al pari di quella di tutte le altre poste di credito privilegiate e tributarie, non può porsi in termini differenziati per tutte le categorie di debitori legittimati ad avvalersi di una procedura concorsuale esdebitatoria. E ciò a prescindere dal tipo di attività esercitata, imprenditoriale o no, nonché dalle dimensioni di tale attività ed all'incidenza economica che ad esse si correla, trattandosi di elementi indifferenti rispetto all'obiettivo perseguito dalle relative procedure di definizione della crisi.

La Corte, infine, sottolinea che tale problematica di disparità di trattamento verrà meno con l'entrata in vigore del il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155) in quanto le nuove disposizioni sul sovraindebitamento ivi contenute, sia con riferimento al concordato minore (ovverosia il vecchio accordo di composizione, ora disciplinato dagli artt. 74 e seguenti del citato decreto), sia in relazione alla procedura di "ristrutturazione dei debiti del consumatore" (l'originario piano del consumatore, oggi regolato dagli artt. da 67 a 73), prevedono il possibile pagamento parziale dei crediti privilegiati e tra questi anche di quelli tributari, senza più riprodurre il divieto di falcidia, attualmente previsto dalla norma censurata. Ciò sempre che la proposta sia maggiormente favorevole rispetto alla prospettiva liquidatoria, in termini non diversi da quanto previsto dall'attuale disciplina del concordato preventivo relativamente alla falcidia dei crediti privilegiati (attualmente ai sensi degli artt. 160 e 182-ter della Legge fallimentare, destinati ad essere sostituiti dagli artt. 85 e 88 del suddetto codice).

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