La riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite

13 Febbraio 2020

L'autore analizza l'istituto della riduzione del capitale sociale dovuta a perdite del patrimonio netto, disciplinato dagli articoli 2446 e 2447 del codice civile, anche alla luce delle nuove norme sulla perdita della continuità aziendale e sulla rilevazione tempestiva della crisi d'impresa introdotte con il D.Lgs. n. 14/2019.
La riduzione del capitale sociale per perdite

L'art. 2446 c.c. contempla l'ipotesi della diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo in conseguenza di perdite e prevede che, in tale ipotesi, gli amministratori o il consiglio di gestione e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l'assemblea per gli opportuni provvedimenti. Pertanto, affinché sorga in capo agli amministratori l'obbligo di convocare l'assemblea dei soci, è necessario che il patrimonio della società sia diminuito di oltre un terzo rispetto al capitale sottoscritto dai soci, e tale diminuzione sia dovuta a perdite, cioè alla circostanza che il valore del patrimonio netto della società risulti inferiore al valore del capitale. L'importo della perdita si individua secondo i normali criteri di valutazione del bilancio d'esercizio (Cass. 7 marzo 1992 n. 2764).

Quando si verifica l'ipotesi sopra descritta (riduzione del capitale per perdite) gli amministratori devono sottoporre all'assemblea una relazione sulla situazione patrimoniale della società, con le osservazioni del collegio sindacale o del comitato per il controllo sulla gestione ed inoltre devono dare conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della relazione. La relazione e le osservazioni devono restare depositate in copia nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l'assemblea perché i soci possano prenderne visione. La ratio sottesa a tali norme è da ravvisare nel principio secondo cui l'assemblea, ai fini di una regolare formazione della volontà sociale, in una materia che attiene alla vita stessa della società, deve essere dettagliatamente ed adeguatamente informata sulla reale situazione patrimoniale della società (Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2005, n. 23269).

Se poi entro l'esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l'assemblea ordinaria o il consiglio di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti dal bilancio. La giurisprudenza maggioritaria (ma non unanime) non ammette la possibilità che l'assemblea possa deliberare una copertura parziale della perdita e ciò perché, in tal caso, si celerebbe ai terzi la situazione reale della società (i terzi sarebbero, cioè, erroneamente persuasi che l'assemblea abbia coperto la perdita per intero). La prassi notarile la esclude in ogni caso, anche nell'ipotesi di riduzione facoltativa, quando cioè la perdita è inferiore al terzo del capitale sociale.

Quando poi, a causa della perdita di oltre un terzo del capitale sociale questo si riduce al di sotto del minimo legale (Euro Cinquantamila), l'art. 2447 c.c. prevede che gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio convocare l'assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo oppure la trasformazione della società in un tipo che preveda una capitale minimo inferiore a cinquantamila euro; altrimenti si dovrà optare per lo scioglimento della società.

Oggi, in base alla nuova disciplina dettata dal D.Lgs. n. 14/2019, l'assemblea può decidere di attivare gli strumenti di composizione della crisi (accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo) e presentare istanza in tal senso.

La ratio della disciplina codicistica

L'obbligo di informativa e dei conseguenziali adempimenti sostanziali in capo agli amministratori, ivi compresi i sindaci e i componenti del comitato di gestione e di sorveglianza, si spiega con la ratio sottesa all'essenza stessa del capitale sociale, cioè quella di fungere da garanzia (almeno indiretta) per i creditori circa la solvibilità della società. Ratio già da tempo esplicitata dalla Suprema Corte di Cassazione la quale ha con ragione sostenuto che in tema di società le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c., prevedenti, ai fini della riduzione del capitale sociale, le modalità con cui le disponibilità della società possono essere intaccate e la necessità del previo deposito della situazione patrimoniale aggiornata, sono strumentali alla tutela, non solo dell'interesse dei soci, ma anche dei terzi (Cass. civ., Sez. I, 2 aprile 2007, n. 8221). Ragion per cui, l'esistenza di perdite del capitale della società e cioè nel patrimonio originariamente sottoscritto dai soci con i suoi caratteri di fissità, stabilità, vincolo di non distribuzione e consustanziale preordinazione al raggiungimento dell'oggetto sociale, rappresenta un chiaro indice di attenuazione di quella, seppur indiretta, garanzia nonché un campanello d'allarme circa l'andamento della gestione societaria, certamente non in linea con quanto astrattamente programmato in sede di costituzione della società stessa.

Vieppiù, l'obbligo degli amministratori si inserisce a pieno titolo tra gli adempimenti necessari per far emergere tempestivamente i segnali rivelatori della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale, come voluto dal legislatore con il D L.gs n. 14 del 2019. Non è infatti un caso che l'articolo 2380-bis c.c. in tema di amministrazione della società citi espressamente l'articolo 2086 sulla gestione dell'impresa – articolo sostituito dal predetto D.Lgs. n. 14/2019 ed in vigore dal 16 marzo 2019 - in base al quale l'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale

La responsabilità degli amministratori

Gli amministratori sono responsabili per i danni provocati sia ai soci che ai terzi per il fatto della riduzione del capitale.

Dal punto di vista penale l'art. 2629 c.c. stabilisce che gli amministratori i quali, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato. Ovviamente, ha sancito la Suprema Corte, non ogni sopravvalutazione, sia pur minima, integra il reato di cui all'art. 2629 c.c., essendo pur sempre necessario che la stessa sia patrimonialmente apprezzabile. Ed invero il termine “esagerare” non indica una qualsiasi differenziazione tra il valore effettivo del bene e quello per cui lo stesso viene conferito, ma evidenzia la necessità di un divario tra i due valori che abbia assunto una certa consistenza, nella cui valutazione l'art. 2343 c.c. può eventualmente fornire un semplice criterio orientativo. Ne consegue che, ai fini della sussistenza del reato, l'indagine va svolta caso per caso e la chiave di volta è costituita dall'elemento soggettivo, dal carattere fraudolento dell'esagerazione che, necessariamente coniugandosi con l'elemento oggettivo, è idoneo a togliere ogni dubbio circa la natura del fatto e la sua direzione (Cass. pen., Sez. V, 9 aprile 1991, ud. 28 febbraio 1991, n. 3949) .

Da ultimo, in tema di responsabilità del collegio sindacale, la Corte di Cassazione ha statuito che ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l'illecito perpetrato dagli amministratori, ai fini della responsabilità dei primi - secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale - se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l'attivazione dei poteri sindacali avrebbe ragionevolmente evitato l'illecito, tenuto conto di tutte le possibili iniziative che il sindaco può assumere esercitando i poteri-doveri propri della carica, quali: la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all'assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l'impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex artt. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ai sensi dell'art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile (Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2019, 18770).

In conclusione

La disciplina codicistica relativa alla riduzione obbligatoria del capitale sociale dovuta a perdite del patrimonio netto, già opportuna alla luce delle garanzie a questo sottese nonché dell'essenza stessa del capitale sociale, si giustifica ancor di più oggi alla luce del nuovo impulso dato dal legislatore del 2019 (D. Lgs. n. 14/2019) alla salvaguardia della continuità aziendale con la conseguenziale rilevazione tempestiva dei segnali che possano far presagire una crisi d'impresa. E del resto, l'espresso richiamo operato dalle norme di diritto societario al novellato art. 2086 c.c. confermano non solo la rilevanza dei nuovi interessi tutelati dal legislatore ma anche, opportunamente, il coordinamento, almeno per quanto possibile, dell'impianto codicistico con la nuova disciplina legislativa, ivi compreso il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza.

In tale ottica ben si spiegano – e si giustificano – le nuove norme imperative che impongono rigorosi adempimenti agli organi sociali. È infatti del tutto evidente che il mancato adempimento dell'obbligo informativo in capo agli amministratori genererebbe nei soci una falsa rappresentazione delle reali condizioni della società. Talché, non solo non sarebbero azionati - a tacer d'altro - i meccanismi di composizione della crisi, ma sarebbero con ogni probabilità perpetrati quei comportamenti poco virtuosi che hanno provocato le perdite del capitale.

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