Trattamento economico del socio lavoratore in cooperativa e contrattazione collettiva

Riccardo Maraga
17 Febbraio 2020

La progressiva estensione delle tutele del lavoro subordinato anche al socio lavoratore di cooperativa, culminata nella l. n. 142 del 2001, non ha eliminato del tutto pratiche di dumping contrattuale poste in essere tramite l'applicazione al socio lavoratore del trattamento economico previsto da contratti collettivi di dubbia rappresentatività...
Abstract

La progressiva estensione delle tutele del lavoro subordinato anche al socio lavoratore di cooperativa, culminata nella l. n. 142 del 2001, non ha eliminato del tutto pratiche di dumping contrattuale poste in essere tramite l'applicazione al socio lavoratore del trattamento economico previsto da contratti collettivi di dubbia rappresentatività.

L'ordinamento ha reagito a tale fenomeno prevedendo l'obbligo delle cooperative di applicare ai soci lavoratori il trattamento economico previsto dai contratti collettivi dotati di maggiore rappresentatività.

Restano, in ogni caso, le criticità determinate dall'assenza di un meccanismo legale di certificazione della rappresentatività.

Tale quadro di incertezza si registra anche negli orientamenti della giurisprudenza di merito.

L'evoluzione della disciplina relativa al trattamento economico del socio lavoratore in cooperativa

La disciplina normativa del rapporto di lavoro del socio che, oltre ad essere legato alla cooperativa da un rapporto associativo di matrice societaria, è anche legato alla cooperativa da un rapporto di lavoro subordinato ha subito, nel corso degli anni, una profonda evoluzione.

L'intervento normativo si è reso necessario, in particolare, in funzione antielusiva in quanto, spesso, i rapporti associativi tra socio e cooperativa nascondevano dei veri e propri rapporti di lavoro subordinato senza, tuttavia, applicarne la relativa disciplina.

Un simile utilizzo del rapporto associativo, elusivo delle regole del lavoro subordinato, oltre che rappresentare un problema di ordine sociale, stante l'applicazione ai soci lavoratori di un trattamento economico e normativo generalmente deteriore rispetto a quello spettante ai lavoratori subordinati, rappresentava, altresì, una minaccia al libero svolgersi della concorrenza tra operatori economici, soprattutto nei settori c.d. “labour intensive” (come i servizi di pulizia, facchinaggio, vigilanza, logistica e spedizioni, etc.) nei quali il costo del lavoro rappresenta il principale costo della produzione.

Al fine di porre un argine al predetto fenomeno, la l. n. 142 del 2001 ha introdotto una serie di regole volte ad estendere anche al socio lavoratore di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato.

In particolare, l'art. 3, comma 1, della l.n. 142 del 2001 prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.

La norma si poneva in linea con l'evoluzione giurisprudenziale relativa al concetto di “giusta retribuzione” ex art. 36, Cost. che individuava nella contrattazione collettiva nazionale l'autorità salariale di riferimento nell'individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente alla quale fa riferimento il parametro costituzionale. Ma con una differenza non di poco conto.

La giurisprudenza relativa al concetto di “giusta retribuzione” ex art. 36, Cost., tramite il combinato disposto dell'art. 36 Cost. e dell'art. 2099, comma 2, c.c. e sulla base di orientamenti ormai consolidati, utilizza, quale parametro di riferimento retributivo per individuare la “giusta retribuzione”, il trattamento economico minimo previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Nel trattamento economico minimo da assumere come parametro, tradizionalmente, si computa anche la tredicesima mensilità, ove prevista (cfr. Cass., 4 dicembre 2013, n. 27138 e Cass. 16 maggio 2016, n. 10014).

L'art. 3, comma 1, l. n. 142 del 2001, a differenza della richiamata giurisprudenza sul concetto di “giusta retribuzione”, non prevede un determinato requisito di rappresentatività delle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo nazionale di lavoro, limitandosi ad effettuare un rinvio alla “contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine”.

Il generico riferimento alla contrattazione collettiva nazionale di settore, senza alcuna selezione del tasso di rappresentatività delle sigle sindacali stipulanti il contratto collettivo, ha finito, secondo alcuni commentatori, per frustrare la finalità antielusiva della norma e non ha costituito, quindi, un adeguato argine al fenomeno del dumping salariale ben potendo il trattamento economico applicato al socio lavoratore essere mutuato da quanto previsto in contratti collettivi nazionali di dubbia rappresentatività.

Alla luce delle problematiche poste dalla anzidetta normativa, il 10 ottobre 2007 il Ministero del lavoro, il Ministero dello sviluppo economico, le associazioni datoriali del mondo cooperativo AGCI, Confcooperative, Legacoop e le organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL sottoscrivevano un Protocollo d'intesa, con cui il Governo assumeva l'impegno di avviare “ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato, previsti dall'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore di riferimento” (punto C). L'obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo era di contestare l'applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all'art. 36, Cost., secondo l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l'art. 2099, c.c.

In questo scenario, e proprio in attuazione degli impegni assunti con la sottoscrizione del Protocollo, si inserisce l'adozione, da parte del legislatore, di un nuovo intervento normativo in materia. L'art. 7, comma 4, d.l. n. 248 del 2007, convertito in l. n. 31 del 2008 ha, infatti, stabilito che “fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.

Tale norma è stata impugnata di fronte alla Corte costituzionale per la presunta violazione del principio di libertà sindacale di cui all'art. 39, Cost.

In particolare, secondo i rimettenti, la norma in esame si porrebbe in contrasto con l'art. 39, Cost., dal momento che imporrebbe al giudice, in presenza di una pluralità di contratti collettivi di settore, di applicare un trattamento retributivo non inferiore a quello previsto da alcuni di tali contratti, senza una previa valutazione ex art. 36, Cost., del diverso contratto collettivo applicato per affiliazione sindacale dall'impresa, e finirebbe dunque per incidere autoritativamente sul dinamismo, anche conflittuale, della concorrenza intersindacale, realizzando un'indebita estensione dell'efficacia collettiva dei contratti collettivi (sia pure limitatamente alla sola parte economica), in violazione appunto dell'art. 39, Cost.

La Consulta (C. cost. n. 51 del 2015) ha dichiarato non fondata la prospettata questione di legittimità costituzionale in quanto il censurato art. 7, comma 4, d.l. n. 248 del 2007, congiuntamente all'art. 3 della l. n. 142 del 2001, lungi dall'assegnare ai contratti collettivi nazionali, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, efficacia erga omnes, in contrasto con quanto statuito dall'art. 39, Cost., mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti, e più precisamente i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell'art. 36, Cost.

Tale parametro è richiamato – e dunque deve essere osservato – indipendentemente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7, che fa riferimento “alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative”.

Nell'effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l'andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l'articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36, Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative (cfr., ex multis, Cass. n. 17583 del 2014).

Il richiamo, nella determinazione del trattamento economico minimo del socio lavoratore di cooperativa, solo ad alcuni contratti collettivi nazionali, ossia quelli dotati di una maggiore rappresentatività comparata sul piano nazionale, non costituisce, dunque, alcuna negazione del principio di libertà sindacale.

La determinazione della “giusta retribuzione” ex art. 36 della Costituzione

La disciplina normativa relativa al trattamento economico applicabile al socio lavoratore di cooperativa, anche alla luce dei principi espressi dalla Consulta nella sentenza n. 51 del 2015, si pone sulla scia della giurisprudenza relativa alla determinazione della “giusta retribuzione” ex art. 36, Cost.

Come noto, la giurisprudenza ha da sempre attribuito all'art. 36 della Costituzione natura precettiva, riconoscendo al lavoratore che ritenga di ricevere dal proprio datore di lavoro un trattamento economico sprovvisto dei requisiti di proporzionalità e di sufficienza richiesti dal parametro costituzionale, la facoltà di adire direttamente l'autorità giudiziaria al fine di verificare la coerenza del proprio trattamento economico con la norma costituzionale.

La giurisprudenza costante della Cassazione individua nel trattamento economico previsto dal contratto collettivo nazionale di settore, sottoscritto dalle associazioni comparativamente più rappresentative, il parametro da utilizzare nel verificare l'adeguatezza della retribuzione erogata al lavoratore.

In particolare, la Cassazione ha ripetutamente affermato che, in tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'art. 36, Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva, e con esclusione dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità ulteriori rispetto alla tredicesima.

Il contratto collettivo di settore, infatti, rappresenta, il più adeguato strumento per determinare il contenuto del diritto alla retribuzione, anche se limitatamente ai titoli contrattuali che costituiscono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione, con esclusione, quindi, dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità aggiuntive oltre la tredicesima (v., ex multis, Cass. 18 marzo 2004, n. 5519; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138, Cass. 4 dicembre 2008, n. 14791; Cass. n. 10014 del 2016).

La verifica del tasso di rappresentatività comparata, inoltre, non deve essere effettuata solo con riferimento alle sigle sindacali ma anche in relazione alle associazioni datoriali.

In tal senso, proprio in un procedimento avente ad oggetto la determinazione del trattamento economico applicabile ad un socio lavoratore di cooperativa, si è espressa la Cassazione (si v. Cass., 20 febbraio 2019, n. 4951) che ha ritenuto di individuare nel contratto collettivo nazionale di lavoro “Multiservizi” il contratto da utilizzare quale parametro per definire il trattamento economico minimo da riconoscere ad una socia lavoratrice e ha invece escluso la possibilità di fare riferimento al contratto collettivo nazionale di lavoro “Portieri e Custodi” in quanto, “se pure sottoscritto dalle sigle sindacali confederali dei lavoratori (Cgil, Cisl e Uil), risulta stipulato, per parte datoriale, da un'unica organizzazione sindacale, la Confederazione italiana della proprietà edilizia (Confedilizia), il che rende evidente il ristretto ambito applicativo dello stesso e, nel contempo, non soddisfa il requisito previsto dall'art. 7, d.l. n. 248 del 2007, conv. in l. n. 31 del 2008 che fa riferimento al contratto collettivo sottoscritto, anche per parte datoriale, dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.

La sentenza del Tribunale di Milano del 29 ottobre 2019, n. 2457

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Milano si è pronunciato sul ricorso presentato da alcuni soci lavoratori assunti, con mansioni di imballatori, da una cooperativa che ha applicato loro il contratto collettivo sottoscritto dalla Unicoop con la sola sigla sindacale Ugl Viabilità e Logistica.

I ricorrenti, tra i vari profili sollevati, hanno chiesto al Tribunale di voler rideterminare il trattamento economico a loro spettante applicando, come parametro di riferimento, il trattamento retributivo previsto per i lavoratori inquadrati al livello 2D dal contratto collettivo nazionale di lavoro “Grafici Editoriali Industria”, sottoscritto da tre associazioni datoriali dell'editoria e della grafica e dalle sigle sindacali SLC-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil.

Il Tribunale di Milano, richiamando l'evoluzione normativa della disciplina del trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa e la giurisprudenza recente della Cassazione, ha ritenuto tale doglianza fondata in quanto il contratto collettivo nazionale di lavoro invocato dai ricorrenti è stato sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, a differenza del contratto collettivo applicato ai rapporti di lavoro dei ricorrenti, il quale è stato sottoscritto solo dalla Unicoop e dalla Ugl Viabilità e logistica “ossia due sigle sindacali che sicuramente non possiedono gli stessi criteri di rappresentatività delle altre organizzazioni sindacali citate”.

Il Tribunale di Milano, in linea con la giurisprudenza costante in merito, una volta individuato il contratto collettivo di settore dotato del requisito della maggiore rappresentatività comparata, procede, dunque, all'applicazione del trattamento economico ivi previsti al ricorrente, senza lasciare spazio ad alcuna ulteriore verifica circa la congruità della retribuzione prevista nel contratto collettivo al parametro costituzionale della “giusta retribuzione”.

Altri orientamenti della giurisprudenza di merito

La decisione del Tribunale meneghino, maggiormente aderente al dato normativo ed alla prevalente interpretazione giurisprudenziale, si pone in parziale contrasto con quanto stabilito, in una fattispecie analoga, pochi mesi prima dal Tribunale di Torino che, nella sentenza 9 agosto 2019, n. 1128, ha adottato una posizione difforme, finendo per stabilire che la presunzione secondo la quale il trattamento economico stabilito dal contratto collettivo nazionale di settore sottoscritto dalle associazioni comparativamente più rappresentative costituisce il parametro di verifica della “giusta retribuzione” ex art. 36, Cost. è meramente relativa e superabile dal giudice stesso nel giudizio di merito.

Il giudice torinese ha affermato infatti che anche se, nel caso scrutinato, il datore di lavoro aveva rispettato l'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007 “il fatto che […] non possa configurarsi una violazione dell'art. 7 – in quanto la convenuta ha applicato il trattamento economico previsto da un C.C.N.L. sottoscritto da organizzazioni sindacali qualificabili comparativamente più rappresentative a livello nazionale – non esime […] dall'affrontare la verifica di compatibilità della retribuzione così corrisposta al ricorrente con il principio di proporzionalità e sufficienza posto dalla […] norma costituzionale”.

Secondo tale decisione, il giudice, anche di fronte ad un contratto collettivo indubbiamente rappresentativo, ha sempre e comunque un “potere-dovere” di verificare il rispetto della norma costituzionale “sotto ogni altro profilo”, dovendo sempre e comunque verificare se il trattamento economico previsto dalla contrattazione collettiva può dirsi realmente rispettoso dei parametri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36, Cost.

In conclusione

La determinazione del trattamento economico spettante al socio lavoratore di cooperativa, che, accanto al rapporto mutualistico, che scaturisce dalla sua partecipazione allo scopo dell'impresa collettiva e che lo rende titolare di poteri e di diritti nel concorrere alla formazione della volontà della società, stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata, è stata oggetto di numerosi interventi normativi che hanno finito per individuare il trattamento minimo spettante al socio lavoratore nei livelli retributivi dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

L'assenza di un meccanismo legale di certificazione della rappresentatività delle associazioni datoriali e delle sigle sindacali rappresenta, senza dubbio, un limite intrinseco a qualsiasi norma che utilizzi, come parametro di riferimento, il concetto di maggiore rappresentatività sindacale.

In ogni caso, la giurisprudenza prevalente, nella cui scia si situa la decisione in commento, ha sviluppato criteri consolidati per l'individuazione, in caso di pluralità di contratti collettivi di settore, quello maggiormente rappresentativo.

Non mancano, tuttavia, pronunce di segno diverso che riservano al giudice, in ogni caso, il potere di verificare la reale rispondenza delle previsioni del contratto collettivo ai principi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione di cui all'art. 36, Cost.

Guida all'approfondimento

In dottrina, sul tema:

- S. Bellomo, Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, Torino, Giappichelli, 2002;

- S. Bellomo, La retribuzione, in G. Santoro Passarelli, a cura di, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale privato e pubblico. VII ed., Milano, Utet, 2017, p. 930 ss.;

- S. Bellomo, Art. 36, in G. Amoroso, V. Di Cerbo, A. Maresca, a cura di, Diritto del Lavoro. La Costituzione, il Codice Civile e le leggi speciali. I. V ed. Milano, Giuffré, p. 164 ss., 2017;

- L. Imberti, Art. 36 Costituzione: in assenza di interventi legislativi chi è l'autorità salariale?, in Lavoro Diritti Europa, n. 3/2019;

- L. Imberti, Il socio lavoratore di cooperativa. Disciplina giuridica ed evidenze empiriche, Giuffré, Milano, 2012, 191-192;

- A. Maresca, Il rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa, in ADL, I, p. 611 ss., 2002; Spolverato-Piovesana, Trattamento economico del socio subordinato di cooperativa, in DPL, n. 21/2008.

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