La Cassazione definisce (ancora) i confini tra bancarotta distrattiva e autoriciclaggio

18 Febbraio 2020

La questione posta con il ricorso investe il rapporto tra il reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. e la bancarotta per distrazione.
Massima

La sola consumazione del delitto presupposto non integra ex se anche la diversa ipotesi dell'autoriciclaggio e quindi l'atto distrattivo non può integrare allo stesso tempo bancarotta per distrazione e autoriciclaggio.

Il caso

La vicenda trae origine dalla richiesta, avanzata dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Palermo, di sequestro preventivo per equivalente di beni, in relazione al reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. e all'illecito amministrativo ex art. 25-octies, d.lgs. n. 231 del 2001, poiché, secondo la tesi dell'Accusa, l'indagato aveva impiegato, nell'attività imprenditoriale della società in bonis allo stesso riferibile, l'azienda distratta alla fallita, di cui era amministratore.

Il Giudice per le indagini preliminari rigettava la richiesta per ritenuta insussistenza del fumus commissi delicti ed il Tribunale del Riesame, adito dal Pubblico Ministero, confermava la decisione del Gip ritenendo che la condotta di autoriciclaggio fosse priva di quella concreta idoneità dissimulatoria della provenienza delittuosa del bene riciclato, così come richiesto invece per la configurazione del reato.

Avverso la decisione del Tribunale del Riesame, il Pubblico Ministero proponeva ricorso per cassazione, lamentando l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'interpretazione dell'avverbio “concretamente” utilizzato dal legislatore per connotare le condotte integranti il reato di autoriciclaggio. Più in particolare, a giudizio della Pubblica Accusa, attraverso l'utilizzo del predicativo “in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa”, il legislatore aveva voluto riferirsi al risultato complessivo dell'azione, derivante, quindi, sia dalla condotta di autoriciclaggio che dal delitto presupposto.

Da ciò deriverebbe, secondo la tesi sostenuta dal Pubblico Ministero, che, se già il delitto presupposto è idoneo ad occultare la provenienza delittuosa del bene, non è necessario che la successiva condotta di autoriciclaggio sia dotata di ulteriori accorgimenti dissimulatori.

Nel caso in esame, l'imputato aveva distratto l'azienda mediante la conclusione di un contratto di affitto di azienda simulato, a favore di una società neocostituita, formalmente amministrata e partecipata dai famigliari degli esponenti della fallita; di talché la costituzione della nuova società così come la simulazione dell'affitto di azienda, erano elementi già di per sé sufficienti a mascherare la provenienza delittuosa dei beni.

La questione

La questione posta con il ricorso investe il rapporto tra il reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. e la bancarotta per distrazione.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di legittimità respingono il ricorso del P.M. per due motivazioni, la prima, relativa all'insussistenza di un concorso tra il reato di bancarotta ed il reato di autoriciclaggio, la seconda, perché al tempo in cui era stato commesso il fatto, quest'ultimo non era previsto dalla legge come reato.

Quanto al primo profilo, si osservi che, nel rigettare il ricorso del Pubblico Ministero, i giudici del Supremo Consesso ricordano come il legislatore, al fine di evitare la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, abbia previsto, con l'introduzione del delitto di autoriciclaggio, che a seguito della consumazione del delitto presupposto vengano poste in essere ulteriori condotte aventi natura decettiva, costituite da impiego in attività economiche o finanziarie.

Richiamando poi i recenti approdi giurisprudenziali, la Corte di Cassazione analizza le caratteristiche del reato in parola, precisando che trattasi di reato di pericolo concreto, dal momento che il giudice penale deve valutare l'idoneità della singola condotta posta in essere dall'agente ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Da ciò deriverebbe che, per la configurabilità del reato, è necessaria una condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria, ovverosia quella condotta di sostituzione o impiego finalizzata ad occultare l'origine illecita del denaro, mediante reimmissione nel circuito economico finanziario.

Tale quid pluris rappresenta l'elemento differenziale tra la condotta sanzionata dal legislatore e quella di godimento personale, insuscettibile di repressione.

Passando al secondo profilo di criticità, i giudici della Corte evidenziano come la condotta di autoriciclaggio individuata dal Pubblico Ministero era stata posta in essere prima dell'introduzione della previsione normativa che ha codificato la fattispecie delittuosa in esame, introdotta solo con la legge n. 186 del 15 dicembre 2014.

La Corte non condivide, anzitutto, la tesi della Pubblica Accusa secondo cui il reato di autoriciclaggio può avere eventualmente natura di reato di durata. Pertanto, tenuto conto del momento consumativo del reato de quo, coincidente con la realizzazione dell'effetto dissimulatorio conseguente alle condotte tipizzate dall'art. 648-bis, comma 1, c.p., afferma che le condotte contestate erano state commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della norma e non potevano pertanto ritenersi sanzionabili, ai sensi dell'art. 2 c.p.

In applicazione dei principi sopra illustrati, la Corte ritiene che l'atto distrattivo consistito, nel caso di specie, nella concessione in affitto dell'azienda non sia idoneo ad integrare il reato di autoriciclaggio, per la cui configurazione, come detto, è richiesto che l'autore del delitto presupposto compia condotte ulteriori e diverse di dissimulazione sul bene oggetto dell'illecito.

Diversamente opinando, assumendo cioè che il delitto presupposto abbia già in sé l'idoneità ad occultare la provenienza delittuosa del bene, senza ulteriori accorgimenti dissimulatori, si finirebbe per far coincidere l'elemento materiale del reato di bancarotta fraudolenta con quella di autoriciclaggio.

Lettura, questa, che appare errata, non solo dal punto di vista della condotta che deve avere quel quid pluris più sopra precisato, ma anche sotto il profilo della logicità, atteso che la condotta integrante l'autoriciclaggio deve essere cronologicamente successiva a quella che integra il reato presupposto.

Nelle conclusioni, tuttavia, i giudici sembrano nuovamente rimettere in discussione il tema del concorso tra reato di bancarotta e autoriciclaggio, affermando che, “seppure dovesse ritenersi possibile che le attività distrattive poste in essere da parte dell'imprenditore dichiarato fallito configurino un'ipotesi di concorso dei reati di bancarotta fraudolenta e di autoriciclaggio, allorquando il bene sottratto alla par condicio creditorum venga poi ad essere impiegato nel tessuto economico produttivo con riutilizzazione dell'oggetto materiale del reato presupposto, è però sempre necessario che gli atti di cessione in vendita o concessione in affitto siano successivi alla introduzione della norma incriminatrice (1 gennaio 2015) altrimenti non potendosi contestare le condotte se non – come detto – in violazione del fondamentale canone di cui all'art. 2 c.p.”.

Osservazioni

La pronuncia in commento si aggiunge ad una serie di decisioni con le quali la Corte ha voluto delimitare i confini tra il reato di bancarotta fraudolenta e quello di autoriciclaggio.

A ben vedere, tra le tante pronunce, questa è la sentenza che meno di tutte ha chiarito il discrimen tra l'elemento materiale tipico della bancarotta fraudolenta e quello tipizzato nell'art. 648 ter1 C.p., superando tale impasse grazie alla valorizzazione della questione – del tutto assorbente – di natura temporale, che, nel caso di specie, impediva di ascrivere all'autore la fattispecie di autoriciclaggio, non ancora entrata in vigore all'epoca della commissione del fatto.

Appare perciò utile richiamare altre pronunce della Suprema Corte sullo specifico tema oggetto di approfondimento.

Illuminante, sul punto, appare la sentenza emessa dalla Sezione Seconda della Corte di Cassazione (n. 37503), del 21 giugno 2019, con la quale la Corte si pronuncia in merito ad un caso del tutto sovrapponibile a quello qui esaminato, in cui l'imputato era stato raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare poiché lo stesso aveva distratto, mediante i contratti di affitto prima, e di cessione poi, l'intera azienda in favore di altra società all'uopo costituita.

Per dimostrare l'infondatezza della tesi prospettata dalla difesa del ricorrente, secondo cui la condotta sanzionata dall'autoriciclaggio, nel caso in esame, coincideva con quella oggetto del reato presupposto di bancarotta per distrazione, la Corte distingue due possibili modalità attraverso le quali si consuma il reato di cui all'art. 648 ter 1 C.p., che divergono in relazione alla diversa natura dei beni su cui viene esercitata la condotta di laudering money.

In particolare, qualora il reato originario riguardi il trasferimento di beni “statici”, come il denaro, ad avviso della Corte la condotta attraverso la quale la somma è stata conseguita non è evidentemente idonea a configurare il reato di autoriciclaggio. Coerentemente è stato affermato, ad esempio, che non integra la fattispecie in parola il versamento del profitto di furto su conto corrente o carta di credito prepagata, intestati all'autore del reato presupposto.

La situazione, però, muterebbe radicalmente qualora il bene conseguito con il reato presupposto abbia caratteristiche “dinamiche”, essendo idoneo a determinare l'impiego dell'utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie. Ciò che potrebbe accadere, nello specifico, con la distrazione di un'azienda, costituita da un complesso di beni finalizzati all'esercizio di un'attività imprenditoriale.

Occorre allora – a giudizio del Supremo Consesso - procedere ad una verifica che non potrà prescindere dalla effettività o meno della gestione dell'azienda stessa, oggetto di distrazione.

Così, la mera distrazione dell'azienda, non seguita da alcuna ulteriore e diversa attività, non configura il reato di autoriciclaggio; diversamente, la gestione della stessa, e più precisamente l'esercizio di un'attività imprenditoriale attraverso l'azienda distratta è condotta idonea a configurare il delitto previsto e punito dall'art. 648 ter1 C.p., integrando quel quid pluris richiesto dalla norma incriminatrice e venendosi, in tal modo, a cristallizzare il collegamento tra la condotta riciclatrice ed una gestione di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile.

È con la successiva gestione dell'azienda, invero, che – a giudizio dei giudici di legittimità - l'autore del reato presupposto reimmette il provento del reato di bancarotta nel circuito economico, alterando il corretto funzionamento del mercato e dei traffici commerciali.

Il principio espresso sembra facilmente applicabile anche nelle ipotesi in cui la distrazione abbia oggetto, non già l'azienda, bensì somme di denaro.

Anche in questo caso, pare potersi affermare che, se il denaro viene unicamente distratto dalla società fallita e trasferito ad altre società, tale condotta non appare idonea ad integrare anche il reato di autoriciclaggio, mancando quell'attività ulteriore di occultamento della provenienza delittuosa del bene, rappresentando la condotta stessa l'elemento materiale della distrazione.

Laddove invece, anche in considerazione di un significativo distacco temporale, alla distrazione delle somme, segua, dapprima, l'occultamento delle stesse (ad esempio mediante il versamento in conti correnti esteri o in attività occulte) e, successivamente, il reinvestimento mediante il versamento nelle casse di società terze, allora potrà essere ravvisabile anche la fattispecie ex art. 648-ter1 c.p.

Con la sentenza in commento i Giudici prendono quindi una posizione sui rapporti tra il delitto di autoriciclaggio e quello di bancarotta affermando che, al ricorrere di una serie di condizioni, tali reati possono coesistere.

La tesi prospettata non convince del tutto, apparendo lesiva del principio del ne bis in idem, se solo si considera che, ritenere punibile come autoriciclaggio il mero trasferimento di beni distratti verso un'altra società, sul solo presupposto della fisiologica destinazione delle medesime all'operatività aziendale, rischia di sanzionare penalmente due volte la stessa condotta.

Ciò non vuole significare che in nessun caso potrà essere sanzionato, a mente dell'art. 648-ter.1 C.p., l'autore della distrazione d'azienda. Tuttavia, si ritiene che per fare ciò occorra individuare nella condotta posta in essere successivamente alla distrazione del bene, un'attività concretamente dissimulatoria, posta in essere mediante modalità più complesse ed articolate della mera gestione dell'azienda.

Tali modalità potranno essere rappresentate, a titolo meramente esemplificativo, dalla stipulazione di negozi giuridici simulati, mediante i quali trasferire le somme o l'azienda.

In questo senso si sono espresse due recenti pronunce della Corte di Cassazione (la n. 38919 del 20 settembre 2019 e la n. 8851 dell'1 aprile 2019), che hanno mitigato il rigore interpretativo fatto proprio dalla sentenza sopra commentata.

(Fonte: IlPenalista.it)

Guida all'approfondimento

SPINA, E' autoriciclaggio la condotta distrattiva dell'azienda oltra alla gestione dell'attività che produce ricavi, in Iltributario.it, 21 novembre 2019;

SANTORIELLO, Autoriciclaggio di beni provenienti da condotta di bancarotta fraudolenta fra concorso di reati e assorbimento, Ilfallimentarista.it, 14 ottobre 2019;

SANTORIELLO, I rapporti fra bancarotta fraudolenta patrimoniale ed autoriciclaggio in una decisione della Cassazione, in Soc., 2019, 485;

GULLO, Realizzazione plurisoggettiva dell'autoriciclaggio: la Cassazione opta per la differenziazione dei titoli di reato, in Dir. Pen. Cont., 2018, 11 giugno 2018.

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