Inapplicabile l'art. 5, Legge n. 223/91 al trasferimento d'azienda in crisi con passaggio parziale di dipendenti

Alessandro Corrado
19 Febbraio 2020

I principi dettati dagli artt. 4 e seguenti della Legge n. 223/1991 sui licenziamenti collettivi inerenti l'obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di questi criteri, non si estendono in via analogica alla selezione relativa al passaggio parziale di lavoratori in caso di trasferimento di azienda sottoposta a procedura liquidatoria, in considerazione della diversa ratio e disciplina dei due istituti.
Massima

I principi dettati dagli artt. 4 e seguenti della Legge n. 223/1991 sui licenziamenti collettivi inerenti l'obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di questi criteri, non si estendono in via analogica alla selezione relativa al passaggio parziale di lavoratori in caso di trasferimento di azienda sottoposta a procedura liquidatoria, in considerazione della diversa ratio e disciplina dei due istituti.

Il caso

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad affermare che, in materia di trasferimento di imprese assoggettate a procedura concorsuale o di rami di esse, l'art. 47, comma 5 della Legge n. 428/1990 prevede ampia facoltà per l'impresa subentrante di concordare condizioni contrattuali per l'assunzione ex novo dei lavoratori, in deroga a quanto stabilito dall'art. 2112 c.c., e soprattutto la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio. La derogabilità eventualmente prevista dall'accordo sindacale, anche se peggiorativa del trattamento dei lavoratori – hanno chiarito i Giudici –, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali. Non possono pertanto essere estesi in via analogica i principi dettati dagli artt. 4 e seguenti della Legge n. 223/1991 sui licenziamenti collettivi inerenti l'obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di questi criteri, per la diversa ratio delle due discipline.

Com'è noto, l'art. 5 della Legge n. 223/1991 impone all'imprenditore che dichiari un esubero di personale (sia all'esito di un periodo di trattamento straordinario di integrazione salariale, sia per riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, come previsto rispettivamente dagli artt. 4 e 24) di individuare i lavoratori da licenziare in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, secondo i criteri previsti dall'accordo sindacale stipulato al termine dell'esame congiunto con le organizzazioni sindacali o, in loro mancanza, nel rispetto di quelli sussidiari previsti dalla stessa norma quali i carichi di famiglia, l'anzianità, le esigenze tecnico-produttive ed organizzative.

La Corte si era già pronunciata all'inizio del 2018, con la sentenza 19 gennaio 2018, n. 1383 (richiamata da quella qui in commento) affermando il medesimo principio a proposito di un affitto d'azienda c.d. in deroga, ai sensi dell'art. 47, comma 5, Legge n. 428/1990, con stipulazione di un accordo che aveva individuato nominativamente i lavoratori trasferiti ed aveva previsto l'esclusione di un certo numero di dipendenti. Una delle lavoratrici escluse era quindi ricorsa in giudizio senza tuttavia allegare un motivo illecito concernente il criterio di scelta dei lavoratori, né la violazione dei criteri di correttezza e buona fede, né indicare le proprie mansioni, la collocazione nell'organizzazione aziendale, l'inerenza ai beni affittati, l'eventuale pretermissione con riguardo a colleghi aventi professionalità fungibile.

La questione

Il caso della sentenza commentata è stato deciso su impulso di tre lavoratrici dipendenti di una società che, trovandosi in crisi, aveva stipulato un contratto di affitto dei due rami di azienda aventi ad oggetto altrettanti reparti produttivi di pressofusione e di lavorazioni meccaniche.

Le ricorrenti avevano sottoscritto accordi individuali per la rinuncia all'art. 2112 c.c., confermando di rientrare tra i lavoratori non rientranti tra quelli interessati al trasferimento.

La società aveva quindi ottenuto l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, il Giudice Delegato aveva autorizzato la cessione dei due rami d'azienda ad altra società ed era stata pertanto avviata una procedura di licenziamento collettivo per cessazione dell'attività aziendale nei confronti di tutti i lavoratori, compresi quelli in forza all'affittuaria.

Contestualmente alla retrocessione dei due rami d'azienda, erano stati sottoscritti i verbali di accordo sindacale ai sensi dell'art. 47, comma 4-bis, lett. b)-bis Legge n. 428/1990 con cui veniva stabilito che della totalità dei 152 lavoratori, 70 venivano collocati in mobilità, i restanti venivano destinati al trasferimento alla cessionaria, sulla base di un unico criterio di scelta identificato nelle esigenze tecnico organizzative e produttive.

Formalizzata la vendita dei due rami di azienda, le tre lavoratrici venivano licenziate unitamente agli altri lavoratori non rientranti nel perimetro aziendale ceduto.

La soluzione giuridica

La Suprema Corte ha ritenuto applicabile al caso in esame il comma 5 (anziché il comma 4-bis, lett. b)-bis dell'art. 47, Legge n. 428/90 esplicitamente richiamato dalle parti firmatarie dell'accordo) affermando quindi che tale norma consente “ampia facoltà per l'impresa subentrante di concordare condizioni contrattuali per l'assunzione ex novo dei lavoratori in deroga a quanto dettato dall'art. 2112 c.c., nonché la possibilità di escludere parte del personale eccedentario dal passaggio, in quanto tale derogabilità, laddove prevista dall'accordo sindacale, anche se peggiorativa del trattamento dei lavoratori, si giustifica con lo scopo di conservare i livelli occupazionali”. Secondo i Giudici, “i principi dettati dall'art. 4 e seguenti della legge n. 223/1991, e in particolare quelli relativi alla obbligatoria indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità di applicazione di tali criteri, non si estendono analogicamente alla fattispecie disciplinata dall'art. 47”, in considerazione della diversità di ratio tra la disciplina della cessione d'azienda di impresa in crisi e quella dei licenziamenti collettivi”, pervenendo così al rigetto delle domande.

Le questioni sollevate dal caso in esame riguardano, da un lato, la possibilità o meno di derogare all'art. 2112 c.c. e, dall'altro, il criterio da seguire per individuare i lavoratori esclusi dalla cessione dell'azienda.

Sotto il primo profilo, i fatti di causa sono intercorsi quando il legislatore italiano, dopo la sentenza di condanna della Corte di Giustizia 11 giugno 2009, C-561/07, aveva dovuto modificare la normativa dell'art. 47, legge n. 428/90, diversificando i casi di insolvenza e liquidazione enumerati dal comma 5 (in cui è possibile derogare alle disposizioni dell'art. 2112 c.c. anche con il trasferimento parziale della forza lavoro dell'impresa cedente in stato di insolvenza o liquidazione), da quelli di continuità aziendale e risanamento (che consentono la sola flessibilizzazione delle “condizioni di lavoro” come orario, retribuzione, mansioni, livelli di inquadramento, ma non anche di sfoltire il numero dei lavoratori da trasferire).

Il concordato preventivo della società cedente appare inquadrabile tra le procedure del secondo tipo, ancor più dopo le modifiche apportate a tale normativa dall'art. 368 del Codice della crisi e dell'insolvenza, che lo qualifica espressamente “in continuità indiretta” e consente solo accordi sindacali “con finalità di salvaguardia dell'occupazione”: non solo per l'esigenza di rendere la normativa italiana conforme ai principi della Direttiva 2001/23/CE così come è stata interpretata dalla Corte di Giustizia, ma anche sulla scorta della giurisprudenza di merito, che ha escluso la possibilità di licenziare i dipendenti estromessi dalla vicenda circolatoria il cui fine non sia la liquidazione dei beni del cedente (cfr. in tal senso: Trib. Padova 27/03/2014 e Trib. Alessandria 18/12/2015, nonché Trib. Milano 25/07/2017), ma la continuità, anche indiretta appunto.

Ritenendo applicabile il comma 5, anziché il comma 4-bis lett. b)-bis dell'art. 47, la Corte sembra quindi incorsa in errore, sempre che non si voglia assimilare il concordato preventivo in continuità indiretta ad una procedura liquidatoria, interpretazione che è stata esclusa dallo stesso legislatore del Codice della crisi.

I diversi orientamenti giurisprudenziali sull'applicabilità dei criteri di scelta nelle operazioni ex art. 47, Legge n. 428/1990

La seconda questione affrontata dalla sentenza attiene ai criteri di scelta da seguire per operare in modo corretto la selezione dei lavoratori nel caso di passaggio parziale: nel silenzio dell'art. 47, legge n. 428/1990 ci si chiede se occorra farne applicazione o meno e, in caso affermativo, quali adottare.

Il panorama giurisprudenziale appare frammentato: secondo un orientamento contrario espresso dal Tribunale di Roma con la sentenza del 6 maggio 2016, nel caso di cessione aziendale effettuata ai sensi dell'art. 63, comma 4, d.lgs. n. 270/1999 da società sottoposta ad amministrazione straordinaria le disposizioni dell'art. 47, commi 4 e 5, L. n. 428/1990 esprimono il principio secondo cui la priorità di tutela, dal piano del singolo lavoratore, si è spostata al piano dell'interesse collettivo al perseguimento dell'agevolazione alla circolazione dell'azienda, quale strumento di salvaguardia della massima occupazione in una condizione di obiettiva crisi imprenditoriale, anche al prezzo di sacrificio di alcuni diritti garantiti dall'art. 2112 c.c. pur sempre in un ambito tutelato di consultazione sindacale. Pertanto, in caso di trasferimento di azienda, laddove si ammetta la derogabilità della previsione di cui all'art. 2112 c.c. – in tema di passaggio del personale occupato all'azienda cessionaria – i criteri da utilizzare nella scelta del personale escluso dal trasferimento sfuggono al sindacato giurisdizionale e sono discrezionalmente individuati dal cessionario, il quale non ha alcun obbligo di motivare le proprie scelte imprenditoriali dettate dalla necessità di garantire la prosecuzione dell'attività di una azienda in conclamata condizione di crisi.

Di diverso avviso, sono, il Tribunale di Brescia (sentenza 21 giugno 2012), secondo cui “nel caso di accordo sindacale ai sensi dell'art. 47 della L. 19 dicembre 1990 n. 428 che, a fronte dello stato di crisi dell'impresa cedente, preveda la prosecuzione di un numero limitato di rapporti di lavoro rispetto a quelli interessati dalla cessione del ramo di azienda, il cessionario deve procedere alla scelta dei lavoratori da assorbire secondo criteri trasparenti e attenendosi ai fondamentali canoni di correttezza e buonafede, in mancanza di che la sua condotta è illegittima e comporta il diritto del lavoratore escluso alla garanzia del mantenimento del suo posto di lavoro presso il cessionario medesimo”; nonché il Tribunale di Bergamo (sentenza 15 maggio 2016): in tal caso, l'accordo indicava i tre criteri di selezione (esigenze tecnico-organizzative, anzianità di servizio, carichi familiari) in ordine di priorità senza indicare se i tre criteri agissero in concorso ovvero se il secondo e terzo criterio venissero in questione solo in caso di due o più lavoratori con parità di punteggio rispetto al primo. Il Tribunale affermava pertanto che “la nozione di esigenze tecniche e organizzative, senza ulteriori specificazioni è eccessivamente vaga e consente una decisione sostanzialmente unilaterale da parte del datore di lavoro” ed imponeva alla società l'onere di provare l'adempimento degli obblighi imposti dall'accordo sindacale, illustrando le modalità con le quali era stata operata la scelta dei dipendenti da trasferire al conduttore.

Osservazioni

L'incerto scenario giurisprudenziale appena esaminato impone cautela: se è vero che l'art. 47, Legge n. 428/1990, per poter perseguire le finalità della salvaguardia delle aziende in crisi impone necessariamente il sacrificio di diritti individuali, seppure con la diversa graduazione prevista per le situazioni di insolvenza e liquidazione rispetto a quelle di continuità e risanamento, nelle operazioni che prevedono il passaggio al cessionario di un numero limitato di rapporti di lavoro rispetto alla totalità di quelli interessati dalla cessione appare consigliabile esplicitare criteri oggettivi ispirati a canoni di correttezza e buona fede.

Questa sembra del resto l'indicazione che pare di poter leggere tra le righe della già citata sentenza di Cassazione sez. lav. 19 gennaio 2018, n. 1383 (con commento di A. Riccio, in Riv. it. dir. lav. 2018 , p. 581): pur rigettando la domanda della lavoratrice ricorrente, che mirava all'applicazione analogica dei criteri di scelta ex art. 5, Legge n. 223/1991, la S. Corte aveva esplicitamente sottolineato la mancanza di allegazioni indispensabili per poter valutare l'illegittimità dell'esclusione, quali un motivo illecito concernente il criterio di scelta dei lavoratori, la violazione dei criteri di correttezza e buona fede, l'indicazione delle mansioni svolte, la collocazione nell'organizzazione aziendale, l'inerenza ai beni affittati nonché l'eventuale confronto con colleghi aventi professionalità fungibile.

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