Questi i chiarimenti forniti dalla terza sezione civile della Suprema Corte, con l'ordinanza n. 3557/20, depositata il 13 febbraio.
Il caso. La decisione è stata resa all'esito del processo instaurato dalla famiglia di un minore deceduto a seguito di annegamento all'interno di un lago. Gli eredi del piccolo avevano agito innanzi al Tribunale di Roma per ottenere il ristoro dei danni patiti, nella duplice forma del danno morale terminale e di quello biologico, nei confronti del Comune proprietario del bacino lacustre e della società di produzione di energia elettrica, le quali aveva chiesto la manleva delle rispettive compagnie assicurative.
Il giudice di prime cure aveva accolto le domande della famiglia, escludendo la ricorrenza dei presupposti per la riduzione del risarcimento, ex art. 1227, comma 1, c.c. poiché aveva valutato insussistente sia il concorso di colpa del minore, sia quello della di lui madre, per culpa in vigilando, nella causazione dell'evento.
In sede di appello, la pronuncia era stata riformata, con parziale riduzione degli importi risarcitori, in quanto il Collegio aveva riconosciuto la concorrente culpa in vigilando della donna, in misura pari al 20%.
Il ricorso in Cassazione. La sentenza di appello è stata oggetto di ricorso in Cassazione ad opera dei familiari della vittima, che hanno affidato il gravame a 4 motivi di diritto: nei primi due punti, è stata criticata la questione del concorso colposo del creditore nella determinazione dell'evento dannoso, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., mentre con il terzo e quarto motivo è stato denunciato l'error in procedendo in tema di c.d. danno catastrofale, di cui era stato richiesto il risarcimento, iure successionis, dalla madre della vittima primaria.
Le osservazioni della Corte. Preliminarmente, il Collegio ha decretato l'inammissibilità sia del controricorso che del ricorso incidentale della società di energia e della compagnia di assicurazione, in quanto entrambi privi dell'allegazione degli atti di procura ai sensi dell'art. 77 c.p.c., con conseguente impossibilità di verificare il potere rappresentativo del procuratore speciale.
Quanto al ricorso principale, i due primi motivi sono stati analizzati congiuntamente, in quanto ontologicamente connessi, e ritenuti, in parte, fondati.
Il Collegio ha condiviso che la Corte di merito aveva fatto una non corretta applicazione del dettato dell'art. 1227, comma 1, c.c. poiché quando un soggetto incapace, per minore età o altra causa, subisce un evento dannoso, in conseguenza del fatto illecito altrui ed in concorso causale con il proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo.
Ciò perché l'accertamento richiesto dall'art. 1227, comma 1, c.c. riguarda il nesso di causalità materiale, dunque, deve avere ad oggetto il solo contributo causale della vittima che deve essere valutato alla stregua dello standard ordinario di comportamento diligente dell'uomo medio, senza tener conto della sua incapacità di intendere e di volere. Così facendo, resta assorbito ogni rilievo sulla condotta del soggetto tenuto alla sorveglianza dell'incapace, sotto il profilo di una sua eventuale culpa in vigilando e/o in educando.
Diversamente, la Corte d'Appello non aveva preso in considerazione esclusivamente il comportamento della vittima primaria incapace ma aveva esteso l'indagine alla condotta del soggetto che ne aveva la sorveglianza, così giungendo ad una conclusione errata.
Il terzo motivo, invece, è stato ritenuto inammissibile per difetto di specificità mentre il quarto è stato accolto poiché la Corte territoriale non aveva applicato il principio secondo il quale in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale consiste nel pregiudizio subito dalla vittima in ragione della sofferenza provata nell'avvertire l'ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall'apprezzabilità dell'intervallo di tempo intercorso tra lesione e decesso.
Questo poiché nel c.d. danno catastrofale, unico rilievo deve essere dato alla intensità della sofferenza psichica derivante dalla lucida percezione della realtà che, nel caso di specie, si era concretizzata «nello sprofondare sott'acqua, cercando inutilmente di aggrapparsi al suo amico».
Per le ragioni sopra esposte, a Corte ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello romana, in diversa composizione.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it