Nessuna riduzione del risarcimento se la violazione dell'obbligo di prevenzione abbia un'incidenza esclusiva
21 Febbraio 2020
Massima
La condotta incauta del lavoratore non comporta un concorso idoneo a ridurre la misura del risarcimento ogni qual volta la violazione di un obbligo di prevenzione da parte del datore di lavoro sia da considerare come munita di incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso.
Qualora risulti l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di specifici doveri informativi (o formativi) del lavoratore rispetto all'attività da svolgere, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, il comportamento del lavoratore da cui sia scaturito l'infortunio non vi sarebbe stato, non è possibile addossare al lavoratore l'ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informativa (o di formazione), al fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale e che sia tale da ridurre, ai sensi dell'art. 1227, c.c., la misura del risarcimento dovuto.
Il caso
La Corte di appello accertava la responsabilità civile del datore di lavoro, che non aveva insistito sulla tassatività dell'ordine di rinviare il lavoro ad altra data e che non aveva impedito il rischio a cui si stava esponendo il lavoratore che, a sua volta, non aveva accolto l'invito, rivoltogli da un collega di lavoro, a desistere dall'attività lavorativa, per l'infortunio sul lavoro accaduto ad un proprio dipendente.
Tuttavia il giudice del gravame riduceva il risarcimento del danno a causa di un concorso di colpa preponderante, quantificato nella misura del 65%, della stessa vittima, che decideva di svolgere il lavoro, nonostante le indicazioni contrarie ricevute e senza essere sufficientemente informato sulle caratteristiche dell'opera da svolgere. In particolare, il giudice del gravame rimproverava al lavoratore di avere agito, pur se non avesse "partecipato alla fase di montaggio", né avesse ricevuto “alcuna specifica formazione riguardo alle modalità di svolgimento dell'opera, operando, altresì, senza libretto di istruzioni”.
Con ricorso per cassazione il lavoratore impugnava la sentenza con dodici motivi di doglianza, alcuni dei quali riguardanti l'avvenuta riduzione del risarcimento del danno a causa del suo concorso di colpa, evidenziando che in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore il datore di lavoro rimane "interamente responsabile dell'infortunio che ne sia derivato e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato".
Inoltre, la vittima dell'infortunio si doleva della sensibile riduzione del risarcimento poiché il datore di lavoro non doveva affatto prospettargli, in assenza di adeguate informazioni e/o formazione, lo svolgimento dell'opera. La questione
Le questioni esaminate dalla Corte di Cassazione sono le seguenti:
Qualora la violazione dell'obbligo di prevenzione abbia incidenza esclusiva rispetto alla determinazione dell'evento dannoso, la condotta incauta del lavoratore comporta un concorso di colpa idoneo a ridurre la misura del risarcimento?
E' possibile addossare al lavoratore l'ignoranza delle circostanze che dovevano essere oggetto di informazione e/o di formazione, al fine di fondare una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale, tale da ridurre, ai sensi dell'art. 1227, c.c., la misura del risarcimento dovuto? La soluzione giuridica
La Suprema Corte, con ampia e articolata motivazione, ha accolto il ricorso per cassazione, ricordando che solo il rischio elettivo, a cui si espone volontariamente la vittima, determini l'interruzione del nesso causale tra l'attività lavorativa ed il danno e che il concorso di colpa, ravvisabile solo quando “l'evento dannoso non possa dirsi frutto dell'incidenza causale decisiva del solo inadempimento datoriale, ma derivi dalla indissolubile coesistenza di comportamenti colposi di ambo le parti del rapporto di lavoro”, comporta la riduzione del risarcimento del danno.
Se, invece, prosegue la Corte, l'evento lesivo derivi dall'osservanza di un ordine del datore di lavoro ovvero dalla mancata adozione, da parte di quest'ultimo, di forme tipiche o atipiche di prevenzione, individuabili e pretendibili ex ante, la cui ricorrenza avrebbe consentito, nonostante tutto, di impedire con significativa probabilità l'evento, la responsabilità datoriale assorbe in sé l'intera efficacia causale giuridicamente rilevante, in quanto “l'ambito lavoristico è connotato, per un verso, dal fatto che esso comporta lo svolgimento di attività personale sotto la direzione e/o nel contesto di un'organizzazione altrui e, per altro verso, da un intenso coinvolgimento nel rischio della salute dei lavoratori” (paragrafo 3.4).
In effetti, osserva la Corte, la giurisprudenza di legittimità è granitica nell'affermare che “i comportamenti concomitanti del lavoratore che pur possano rivestire, dal punto di vista materiale, portata concausale rispetto all'evento finale, degradano a mera occasione del danno, tutte le volte in cui essi siano tenuti a fronte di specifiche direttive, ordini, disposizioni datoriali (Cass. 14 aprile 2004, n. 7328; Cass. 8 aprile 2002, n. 5024; Cass. 16 luglio 1998, n. 6993) ovvero quando sia lo stesso datore di lavoro ad avere integralmente impostato la lavorazione sulla base di disposizioni illegali e contrarie ad ogni regola di prudenza (Cass. pen., 26 marzo 2014, n. 36227; Cass. 10 maggio 2019, n. 12538), anche sotto il profilo della formazione (Cass. 18 maggio 2007, n. 11622), informazione ed assistenza (Cass. 2 ottobre 2019, n. 24629).
In questi casi, l'inadempimento dell'obbligo di protezione è ragione di esclusione del concorso di colpa, nel senso che il comportamento incauto della vittima resta privo di rilievo giuridico a fini risarcitori, pur non escludendosi la possibilità, al di fuori di tali ambiti, di un concorso colposo ex art. 1227, c.c.
Anche nei casi in cui i comportamenti incauti del lavoratore possano riconnettersi in modo diretto all'inosservanza di specifici doveri informativi (o formativi) datoriali, tali da rendere altamente presumibile che, ove quegli obblighi fossero stati assolti, quel comportamento non vi sarebbe stato, conclude la Corte, non è possibile addossare al lavoratore una colpa idonea a concorrere con l'inadempimento datoriale, non potendosi fondare il concorso di colpa sull'avere agito nonostante la carenza di informazioni (o formazione).
La Corte di Cassazione, quindi, annulla la sentenza, ritenendo che l'imprudenza del lavoratore fosse giuridicamente vanificata, a fini del concorso colposo e quindi della stessa rilevanza rispetto alla responsabilità risarcitoria, dal fatto che il datore non avesse adottato i doverosi comportamenti finalizzati non solo a non agevolare il concretizzarsi di quell'imprudenza, ma anche ad impedirne gli effetti, attraverso una concreta condotta impeditiva. Osservazioni
La Suprema Corte circoscrive la rilevanza del concorso di colpa del lavoratore, chiarendo quando il datore di lavoro, nonostante il comportamento incauto della vittima, non possa ottenere la riduzione del risarcimento del danno alla persona derivato dalla violazione dell'obbligo di prevenzione (art. 2087, c.c.).
Siamo in presenza di una sentenza che non si discosta dal consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui l'inadempimento all'obbligo di protezione è ragione di esclusione del concorso di colpa del lavoratore, con il merito di puntualizzarne l'ambito operativo.
In particolare, la Magistratura superiore ha sempre affermato, con numerose sentenze, che “poiché le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, essendo dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente, per l'imprenditore, all'eventuale concorso di colpa del lavoratore” (Cass. 2 ottobre 2019, n. 24629; Cass. 15 maggio 2018, n. 11753; Cass. 18 maggio 2017, n. 12561; Cass. 26 aprile 2017, n. 10319; Cass. 19 aprile 2017, n. 9870; Cass. 18 luglio 2016, n. 14629; Cass. 3 novembre 2015, n. 22413; Cass. 8 aprile 2014, n. 896; Cass. 16 aprile 2013, n. 9167; Cass. 13 giugno 2012, n. 9661; Cass. 10 settembre 2009, n. 19494) e che “l'eventuale violazione, da parte del lavoratore, delle prescrizioni ricevute si configura nell'eziologia dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno e va addebitata al datore di lavoro” (Cass. 16 aprile 2013, n. 9167).
Dunque, la condotta colposa del lavoratore è considerata irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell'entità del risarcimento, atteso che la finalità di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela (Cass. 10 settembre 2019, n. 22539; Cass. 25 febbraio 2019, n. 5419); cosicché “la colpa o la negligenza del lavoratore non necessariamente possono considerarsi concausa dell'evento dannoso, ove abbiano potuto esplicare efficacia causale solo a causa degli inadempimenti del datore di lavoro” (Cass. 19 aprile 2019, n. 11114).
La Suprema Corte, poi, con riferimento all'obbligo di fornire adeguata formazione, critica la motivazione della sentenza di appello, con cui era stato accertato il concorso di colpa del lavoratore, che aveva eseguito il lavoro senza una preventiva e adeguata formazione, poiché “era il datore di lavoro a non dover neppure prospettare al lavoratore, in assenza di quelle informazioni, lo svolgimento di quell'opera e ciò esclude che i corrispondenti profili possano essere valorizzati quali elementi colposi a carico del lavoratore” (paragrafo 4.1).
Tale affermazione appare condivisibile, considerato che un'adeguata e specifica formazione, attraverso la quale il lavoratore acquisisce la consapevolezza dei rischi a cui viene esposto, rappresenta uno dei caposaldi su cui poggia il sistema prevenzionale; si tratta di un obbligo inderogabile, non surrogabile neanche “dal personale bagaglio di conoscenze del lavoratore, formatosi per effetto di una lunga esperienza operativa, o per il travaso di conoscenze che comunemente si realizza nella collaborazione tra lavoratori, anche posti in relazione gerarchica tra di loro” (Cass. pen. 12 febbraio 2014, n. 21242).
In conclusione non vale a escludere né a ridurre la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (Cass. pen. 10 febbraio 2016, n. 8883; Cass. pen. 14 gennaio 2014, n. 7364). |