Procedimento europeo per le controversie di modesta entità: questioni processuali nazionali e possibili soluzioni
24 Febbraio 2020
Il regolamento small claims in pillole
Il regolamento n. 861/2007 (in vigore dal 1° gennaio 2009 per tutti gli Stati membri ad eccezione della Danimarca) costituisce uno sviluppo dei poteri normativi conferiti al legislatore europeo dall'art. 81 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), come modificato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, il quale nella materia della cooperazione giudiziaria civile ha espressamente previsto l'intervento normativo europeo per «l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». Proprio nell'ottica di ridurre le distanze esistenti fra le regole processuali dei vari Stati membri, l'intervento in esame ha codificato un procedimento uniforme a cognizione piena, regolato prevalentemente dalle norme europee, fatte salve quelle nazionali integrative, semplificato nelle forme, al punto da rendere facoltativa l'assistenza tecnica di un difensore, a trattazione scritta e con udienza eventuale, alternativo rispetto a quelli generalmente contemplati all'interno dei singoli diritti processuali nazionali ed il cui tratto peculiare e tipico consiste nell'onere (gravante sulle parti e sul giudice) di impiegare appositi moduli allegati al regolamento stesso. Il procedimento può essere azionato quando almeno una delle parti ha domicilio o residenza abituale in un paese dell'UE diverso da quello dell'organo giurisdizionale adito, di talché la controversia può definirsi “transfrontaliera”, e deve riguardare la materia civile e commerciale (concetto quest'ultimo la cui estensione non coincide con quella analoga prevista nel Regolamento 1215/2012, cd. regolamento Bruxelles I-bis, essendo qui più ristretta). Il procedimento, in estrema sintesi, è costruito su uno scambio documentale che avviene attraverso moduli, contenenti le posizioni delle parti con il relativo corredo probatorio, scandito da tempistiche piuttosto serrate e con integrazioni istruttorie ed udienze del tutto eventuali e da espletarsi anche a distanza (tramite videoconferenza o tecnologie simili), le quali possono essere richieste dalle parti, mediante compilazione degli spazi dei moduli appositamente dedicati, o decise d'ufficio dal giudice. La sentenza conclusiva, da redigersi in forma libera e senza moduli, sarà immediatamente riconoscibile ed eseguibile in tutti gli Stati membri senza che sia necessaria alcuna procedura per l'apposizione dell'exequatur. Nonostante l'apparente semplicità delle forme, possono sorgere diverse questioni processuali – che tenteremo di analizzare e risolvere di qui a breve – potenzialmente idonee a frustrare le finalità acceleratorie del regolamento in esame, il quale peraltro ha ancora una limitata esperienza applicativa, al punto che, di recente, la Commissione europea ha lanciato una campagna di sensibilizzazione e di diffusione della conoscenza del regolamento small claims, mettendo altresì a disposizione sul portale e-justice utilissimi strumenti di comprensione quali guide pratiche ed un Toolkitweb (https://e-justice.europa.eu/content_small_claims-42-it.do?) tradotti in tutte le lingue dell'Unione. Come accennato poc'anzi, il procedimento previsto dal reg. 861/2007, come modificato nel 2015, concerne le controversie in materia civile e commerciale non eccedenti i 5000 euro di valore al momento in cui l'organo giurisdizionale riceve la domanda giudiziale contenuta nel modulo “A” compilato dall'attore. L'art. 2 del regolamento prevede che nel computo del valore della causa non dovranno essere calcolati gli interessi, i diritti e le spese; si tratta di una scelta diversa da quella operata dal nostro legislatore all'art. 10 c.p.c., ove si stabilisce che per determinare il valore della controversia si debbano computare anche gli interessi scaduti al momento della proposizione della domanda, oltre che le spese e i danni anteriori, i quali si sommano così al capitale. Appare evidente come, pur in difetto di una norma chiarificatrice, l'art. 10 c.p.c. sia incompatibile con le previsioni regolamentari e, quindi, non trovi applicazione nell'ambito del procedimento delle small claims. Discorso parzialmente simile vale per quanto previsto dall'art. 14 c.p.c., in prevalenza incompatibile con quanto previsto dal regolamento in esame (commi 2, 3, 4), ma in relazione al quale residua spazio applicativo relativamente alla previsione del comma 1 (il valore della domanda si determina in base alla somma indicata e al valore dichiarato dall'attore). In merito al pagamento del contributo unificato per l'iscrizione a ruolo, tutte le informazioni pratiche sono contenute nel portale e-justice e ad esse si rinvia. Altra questione che può porsi, correlata al valore della causa, è quella relativa all'estensibilità o meno delle previsioni degli artt. 113 e 114 c.p.c., ai sensi dei quali se la controversia non supera 1100 euro (ma il d.lgs. n. 116/2017 ha alzato il limite ad euro 2500, con decorrenza dal 31.10.2021) e non riguarda rapporti relativi a contratti ex art. 1342 c.c., oppure se la stessa riguarda diritti disponibili e le parti ne fanno concorde richiesta, il giudice di pace deve decidere secondo equità. A ben vedere non vi è ragione di ritenere il procedimento delle small claims sottratto a tali previsioni, in quanto diversamente si creerebbe il cosiddetto fenomeno della reverse discrimination, ovverosia si imporrebbe un giudizio “meno garantista” ai procedimenti meramente nazionali (i quali, nei limii anzidetti, dovrebbero essere decisi secondo equità), escludendo invece il ricorso all'equità nelle cause transfrontaliere azionate con il procedimento delle small claims, le quali peraltro, non essendo riconducibili nell'ambito dei provvedimenti impugnabili ex art. 339 comma 2 c.p.c. (le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell'articolo 113, comma 2, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia), beneficerebbero di un regime impugnatorio più ampio. L'opportunità di mantenere analoga trattazione processuale per i procedimenti nazionali e per quelli transfrontalieri, pur se promossi con riti diversi, evitando così ingiuste reverse discrimination, rende quindi preferibile la tesi che propende per l'applicabilità degli artt. 113, 114 e 339 c.p.c. anche alle small claims.
Il modulo standard di domanda “A”, introduttivo del procedimento europeo per le small claims, prevede “campi” e “spazi” da riempire che lo rendono ben diverso dall'atto introduttivo del giudizio ordinario di cognizione del nostro processo civile, in particolar modo per quanto riguarda le modalità di individuazione dell'oggetto della domanda, che nel procedimento de quo può limitarsi alla indicazione nel suddetto modulo della somma di denaro oggetto della controversia ed alla precisazione dei «motivi della domanda, ad esempio cosa è successo, dove e quando». Attenti commentatori hanno osservato che tale assetto non è in linea con le nostre regole processuali, in quanto, com'è noto, l'art. 163 c.p.c. richiede, a pena di nullità dell'atto di citazione, oltre alla «determinazione della cosa oggetto della domanda» (cd. petitum), anche «l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda» (cd. causa petendi). Il riferimento agli “elementi di diritto”, sta a indicare la necessità che l'attore fornisca la qualificazione giuridica dei fatti storici oggetto della controversia, chiedendo al giudice una pronuncia in merito alle specifiche conseguenze giuridiche asseritamente derivanti dai fatti posti a fondamento della domanda. Appare, quindi, evidente la differenza tra l'oggetto del modulo standard “A” di domanda del procedimento europeo per le small claims e l'oggetto dell'atto di citazione introduttivo del giudizio ordinario secondo la legge italiana, in quanto il primo presenta solo uno degli elementi richiesti per la corretta individuazione dell'oggetto della lite (ovvero il solo petitum). Tale differenza ha lasciato prefigurare difficoltà applicative del procedimento europeo per le small claims in Italia, attesa la non immediata compatibilità/fungibilità delle norme del procedimento europeo con le nozioni proprie dell'ordinamento processuale interno. Non potendosi accogliere una tesi tanto estrema, pare preferibile adottare, ai soli fini del procedimento de quo, una nozione “euro-unitaria” ed elastica di oggetto della domanda,che si riferisca essenzialmente al contenuto della pronuncia richiesta al giudice (ad esempio: condanna al pagamento della somma di euro … in forza di un contratto di vendita concluso il … fra le parti …). Peraltro, a parziale ridimensionamento della questione in esame, con riferimento ai diritti soggettivi eterodeterminati (fra i quali rientrano quelli derivanti da obbligazioni contrattuali), nel concetto di oggetto della domanda non sembra potersi prescindere quantomeno dall'allegazione dei fatti (storici) costituitividel diritto azionato, che sostanzialmente coincidono con la causa petendi. Ulteriori ragioni di carattere processuale portano a ritenere che la questione anzidetta potrebbe avere conseguenze pratiche di modesta rilevanza: sul piano probatorio non v'è dubbio che, perché una domanda di condanna al pagamento per inadempimento contrattuale sia accolta nel merito, resti comunque indispensabile dare la prova del titolo azionato, in forza delle ordinarie regole di distribuzione dell'onere della prova in materia di inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c., art. 2697 c.c. e Cass. civ., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533), quindi l'attore potrebbe essere dispensato dall'onere di allegazione formale della fattispecie giuridica azionata, ma nella sostanza non può esimersi dal soddisfare i propri oneri probatori (si veda la sentenza del Tribunale di Milano, n. 6766/2016 del 30.05.2016 sugli oneri probatori nel procedimento delle small claims in caso di contumacia del convenuto), applicandosi al riguardo anche la normativa nazionale sull'ammissibilità delle prove e quindi sulla disponibilità delle stesse in capo alle parti (art. 9 par. 1 del regolamento in esame), seppur con significative differenze in tema di preclusioni (si veda infra). A completamento si osserva che il testo del regolamento n. 861/2007 è stato formato col contributo di soggetti appartenenti a Paesi diversi, i cui ordinamenti giuridici sono anche molto differenti tra loro. È possibile, quindi, che siano state adottate, nell'unico testo normativo, formule che fanno riferimento a nozioni e concetti propri degli ordinamenti giuridici di alcuni Paesi, ed estranei ad altri, come verosimilmente sembra essere accaduto con riferimento all'individuazione dell'oggetto della domanda nel modulo small claims. Al riguardo, invero, la formula “cosa è successo, dove e quando”, per nulla familiare al giurista italiano, viceversa appartiene all'ordinaria esperienza del giurista di common law: in gran parte dei moduli per l'introduzione di procedimenti nazionali delle small claims davanti alle Corti di area anglosassone, infatti, sembra rinvenirsi esattamente l'identica espressione “What happened? Where? When?”. E la semplicità del linguaggio, estranea al giurista continentale, così come l'assenza del necessario riferimento alla qualificazione giuridica della pretesa, corrisponde probabilmente al modo anglosassone di consentire alle parti di far valere in giudizio le proprie istanze. Segue. La mediazione obbligatoria e la negoziazione assistita
Com'è noto, il d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv. con modif., nella legge 21 giugno 2017, n. 96 (recante Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), all'art. 11-ter, ha reso permanente e strutturale la disciplina della cd. mediazione obbligatoria, per determinate materie: il procedimento di mediazione costituisce, quindi, condizione di procedibilità della successiva (ed eventuale) domanda giudiziale (motivo per cui si parla anche di mediazione obbligatoria ante causam). In estrema sintesi, ciò significa che, in caso di controversia vertente su una delle materie in questione, per poter ottenere una sentenza di merito da parte del giudice, occorre prima svolgere il procedimento di mediazione. Viene da chiedersi come tale istituto si relazioni e se si raccordi con il procedimento delle small claims. Orbene, talune caratteristiche tipizzate della mediazione cd “obbligatoria” lasciano ragionevolmente presumere l'estraneità e l'impermeabilità dello stesso alle regole europee delle small claims. Innanzitutto, fra le materie soggette all'obbligatorietà della mediazione non rientrano le cause aventi ad oggetto azioni di pagamento somme, essendo incluse nell'elenco materie che prevalentemente danno luogo a contenziosi lunghi e densi di conflitto, per i quali una parentesi ante causam appare senz'altro utile in un'ottica possibilmente deflattiva. Sul piano pratico, inoltre, la distanza territoriale fra la parte e il luogo del giudizio sembra all'evidenza incompatibile con l'esperimento di un tentativo di mediazione, che richiede necessariamente la presenza fisica delle parti. Inoltre, si osserva che quando la mediazione è prevista come condizione di procedibilità, è richiesta espressamente la presenza di un avvocato, il cui patrocinio non è invece necessario nelle small claims. Il dato normativo italiano ha poi previsto l'esclusione dell'obbligatorietà della mediazione nei procedimenti in camera di consiglio, ove non sempre è previsto il coinvolgimento delle parti e, come nelle small claims, neppure è sempre richiesta l'assistenza di un difensore. Più semplici appaiono le riflessioni avuto riguardo all'analogo istituto della negoziazione assistita, allorchè sia prevista quale condizione di procedibilità (art. 3 del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, coordinato con la legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162). Orbene, la previsione espressa all'art. 1, par. 7, della l. n.162/2014 costituisce un forte dato testuale che mette in evidenza l'inconciliabilità fra i due istituti («la disposizione del comma 1 [improcedibilità] non si applica quando la parte può stare in giudizio personalmente»). Va segnalata, sul punto, tuttavia l'esistenza di alcune pronunce di segno contrario (Giudice di pace di Belpasso, ordinanza - RG 143/2018 del 19.9.2018 - di improponibilità della domanda per mancato espletamento della procedura di negoziazione assistita). Segue. Domanda estranea al campo di applicazione del regolamento
Il regolamento delle small claims prevede che se la domanda non rientra nel relativo campo di applicazione l'organo giurisdizionale ne informa l'attore. Se poi l'attore non rinuncia espressamente a coltivare la propria pretesa, «l'organo giurisdizionale esamina la controversia secondo il diritto processuale applicabile nello Stato membro in cui si svolge il procedimento».La formulazione testuale del regolamento qui riportata lascia intendere che il giudice debba in qualche modo “trasformare” il rito, non essendo possibile procedere con le regole processuali delle small claims, e istruire la causa secondo le norme nazionali. In tale situazione, in difetto di una chiara norma nazionale di raccordo, potrebbe essere appropriata una pronuncia di mutamento del rito, con ordine all'attore di rinnovare l'atto introduttivo, integrando la causa petendi ove necessario e sanando ogni altro possibile profilo di nullità dell'atto di citazione (art. 164 c.p.c.), ivi compresa l'eventuale questione della rappresentanza tecnica, con sollecitazione a provvedere anche all'assegnazione del termine a comparire (art. 318 c.p.c.). Ove la competenza sia del Tribunale, potrebbe valutarsi l'opportunità di trasformare il rito in un procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c. Segue. La domanda riconvenzionale
Il considerando 16 del regolamento small claims opera un rinvio al regolamento n. 1215/2012, cd. Bruxelles I-bis, per quanto riguarda la nozione di “domanda riconvenzionale”, ancorandola al contratto o al fatto su cui si fonda la domanda principale. L'art. 5 poi espressamente stabilisce che se la domanda riconvenzionale (da introdurre a cura del convenuto in un nuovo modulo “A”) eccede il valore limite dei 5000 euro, la domanda principale e la domanda riconvenzionale non sono esaminate secondo il procedimento europeo per le controversie di modesta entità, «ma conformemente alle pertinenti norme di procedura applicabili nello SM in cui si svolge il procedimento». Vista dal lato nazionale, questa ipotesi potrebbe risolversi con un'eventuale estensione analogica di quanto previsto dall'art. 36, comma 2, c.p.c. (rimessione al giudice superiore e assegnazione di un termine perentorio per la riassunzione). Tornando alla nozione di domanda riconvenzionale, si osserva che quella europea risulta più ristretta rispetto a quella consolidatasi nel nostro sistema processuale. Se, infatti, il tenore letterale dell'art. 36 c.p.c. consente al giudice competente per la causa principale di conoscere anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, l'orientamento giurisprudenziale prevalente interpreta estensivamente tale disposizione ritenendo non indispensabile una stretta connessione con il titolo attoreo fatto valere: sarà ammissibile la domanda riconvenzionale non eccedente la competenza del giudice adito anche se dipende da un titolo diverso da quello dedotto a fondamento della domanda principale, ove tra le opposte domande sussista un collegamento obiettivo che renda opportuna la trattazione congiunta e la decisione simultanea (cfr. fra le tante, Cass. civ., n. 21472/2016). Va, infine, qui brevemente fatto un cenno alla possibilità per il convenuto di far valere un controcredito in compensazione (considerando 17), ma tale richiesta non deve qualificarsi come riconvenzionale e può essere inserita nel modulo previsto per la replica del convenuto (quindi non il modulo standard “A” previsto per le domande principali e per le domande riconvenzionali). Se ne desume che il controcredito può essere fatto valere solo come eccezione ed entro i limiti del valore dichiarato nella domanda azionata dall'attore con il modulo “A”.
Segue. Preclusioni processuali e chiamata in causa di terzo
Le preclusioni processuali italiane (artt. 183 e 320 c.p.c.) non sembrano compatibili con il procedimento delle small claims, non solo perché l'udienza è qui meramente eventuale, ma anche perché, ai sensi del considerando 12 del regolamento, è consentito alle parti di «presentare, se del caso, ulteriori prove durante il procedimento». Può quindi desumersi che il legislatore europeo ha lasciato al giudice la valutazione sullo sbarramento processuale ultimo per la produzione istruttoria integrativa. Quanto alla possibilità da parte del convenuto di chiamare in causa un terzo, si osserva che le norme di riferimento (artt. 167 e 269 c.p.c.), che prevedono la citazione del terzo e lo spostamento della prima udienza, non sembrano compatibili con questo regolamento, che sembra disegnato esclusivamente per un procedimento con due parti, anche se collettivamente intese (si veda il MODULO “A”, parti 2 e 3), purchè “entranti” nel procedimento secondo le modalità e i tempi ivi previsti. Il regolamento n. 2421/2015 oltre ad aver innovato il regolamento small claims, ha apportato diverse modifiche al regolamento (CE) n. 1896/2006 relativo al procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento, prevedendo che nel modulo di richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo il richiedente possa indicare, fra l'altro, che, ove la controparte promuova opposizione, il procedimento relativo prosegua in conformità alle norme del procedimento europeo per le controversie di modesta entità di cui al regolamento (CE) n. 861/2007, laddove applicabile. Nonostante il regolamento n. 2421/2015 abbia previsto che il passaggio al rito small claims sia disciplinato dallo Stato membro cui appartiene il giudice emittente l'ingiunzione, il nostro legislatore non ci ha fornito alcun appoggio normativo. In difetto, quindi, di specifiche norme interne, il Giudice, ricevuta l'opposizione del debitore all'ingiunzione europea, espressa mediante il modulo dedicato, potrebbe disporne la comunicazione all'attore, invitando il medesimo ad instaurare un procedimento small claims, mediante invio alla propria Cancelleria del MODULO “A” (art. 4 e ss. del regolamento 861/2007), e dichiarando estinto il procedimento monitorio. Conclusioni
Premessa questa breve disamina delle questioni processuali di più probabile insorgenza innanzi ai nostri giudizi nazionali, chiamati a procedere ai sensi del regolamento europeo per le small claims, si osserva che nonostante le difficoltà interpretative, questo regolamento offre ai giuristi italiani (ed anche al legislatore) notevoli spunti di riflessione in ordine alla possibile riproduzione, anche in situazioni meramente interne, di forme procedurali condotte per il tramite di atti di parte molto snelli, obbligati nei contenuti e nella lunghezza, ove l'udienza è eventuale ed espletabile a distanza con mezzi tecnologici. Se è vero, infatti, che tali forme processuali hanno lo svantaggio di comprimere alcune garanzie processuali, è altrettanto innegabile che i tempi eccessivamente lunghi, dovuti forse anche al rispetto di eccessive garanzie, troppo frequentemente portano un risultato inutile, ove a causa del tempo trascorso finisce per venir meno l'interesse originario o, peggio ancora, siano nelle more sparite le garanzie patrimoniali del debitore.
|