Il primo Correttivo al Codice della crisi e la modifica dell'importo “rilevante” dei debiti per l'Agenzia delle Entrate

Filippo Lamanna
24 Febbraio 2020

L'art. 15 del Codice della crisi, com'è noto, individua i c.c.dd. creditori pubblici qualificati - l'Agenzia delle Entrate, l'Istituto nazionale della previdenza sociale e l'Agente della riscossione delle imposte - imponendo loro lo specifico obbligo di avvisare il debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un importo considerato “rilevante” e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell'avviso egli non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o se, per l'Agenzia delle entrate, non risulterà in regola con il pagamento rateale del debito o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l'accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza, essi ne faranno segnalazione all'OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società.

L'art. 15 del Codice della crisi, com'è noto, individua i c.c.dd. creditori pubblici qualificati - l'Agenzia delle Entrate, l'Istituto nazionale della previdenza sociale e l'Agente della riscossione delle imposte - imponendo loro lo specifico obbligo di avvisare il debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un importo considerato “rilevante” e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell'avviso egli non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o se, per l'Agenzia delle entrate, non risulterà in regola con il pagamento rateale del debito o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l'accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza, essi ne faranno segnalazione all'OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società.

Il comma 2 indica per ciascuno di tali creditori la tipologia di debiti e l'esposizione debitoria da considerarsi rilevanti ai fini dell'allerta.

Com'è stato segnalato da più parti (tra cui Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit., vol. I, pag. 128), è stata però troppo alzata l'asticella della soglia di rilevanza dell'esposizione debitoria che fa scattare gli obblighi di segnalazione a carico dei creditori pubblici qualificati.

La stessa Relazione al Codice aveva puntualizzato che le soglie sono state elevate “onde evitare che l'estensione troppo ampia dell'obbligo di effettuare la segnalazione generi un effetto contrario rispetto a quello auspicato, paralizzando l'attività degli organismi cui compete gestire tali segnalazioni”.

Si è quindi ritenuto auspicabile che, in progresso di tempo, le soglie di rilevanza fossero sensibilmente abbassate, per evitare il rischio che l'utilità del monitoraggio sulle situazioni di crisi finisse per essere solo declamatoria, ma non effettiva.

Che si trattasse di un punto dolente era stato dimostrato dalle traversie subite dalla disposizione nel corso dell'iter attuativo, ed è ora vieppiù confermato dagli stop and go che si registrano nel succedersi delle versioni dello Schema di Correttivo al Codice.

La prima versione di tale Schema, infatti, quella diffusa il 19 dicembre 2019, invertendo la rotta, ed accogliendo l'auspicio riduzionistico, aveva modificato il comma 2, lettera a), dell'art. 15, riducendo dal 30% al 10% la soglia di rilevanza dei debiti per l'Agenzia delle entrate.

Giova ricordare che, secondo il testo originario della norma, l'esposizione debitoria è di importo rilevante per l'Agenzia delle entrate quando l'ammontare totale del debito scaduto e non versato per l'imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica di cui all'articolo 21-bis del Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122:

  • è pari ad almeno il trenta per cento del volume d'affari del medesimo periodo e non inferiore a euro 25.000 per volume d'affari risultante dalla dichiarazione modello I.V.A. relativa all'anno precedente fino a 2.000.000 di euro;
  • non inferiore a euro 50.000 per volume d'affari risultante dalla dichiarazione modello I.V.A. relativa all'anno precedente fino a 10.000.000 di euro;
  • non inferiore a euro 100.000 per volume d'affari risultante dalla dichiarazione modello I.V.A. relativa all'anno precedente oltre 10.000.000 di euro.

Si ricorda inoltre, per completezza, che la liquidazione periodica prevista dal citato art. 21-bis va trasmessa telematicamente (“1. I soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto trasmettono telematicamente all'Agenzia delle entrate, entro l'ultimo giorno del secondo mese successivo a ogni trimestre, una comunicazione dei dati contabili riepilogativi delle liquidazioni periodiche dell'imposta effettuate ai sensi dell'art. 1, commi 1 e 1-bis, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 100, nonchè degli artt. 73, primo comma, lettera e), e 74, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. La comunicazione dei dati relativi al secondo trimestre è effettuata entro il 16 settembre. La comunicazione dei dati relativi al quarto trimestre può, in alternativa, essere effettuata con la dichiarazione annuale dell'imposta sul valore aggiunto che, in tal caso, deve essere presentata entro il mese di febbraio dell'anno successivo a quello di chiusura del periodo d'imposta. Restano fermi gli ordinari termini di versamento dell'imposta dovuta in base alle liquidazioni periodiche effettuate”).

La Relazione accompagnatoria motivava la diversa e più ridotta commisurazione della rilevanza dell'esposizione fiscale prevista dalla prima versione del Correttivo partendo dal rilievo che “l'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto, nella fascia più elevata, è pari al 22% (da cui peraltro deve essere dedotta l'IVA sugli acquisti)” ed osservando quindi che, di conseguenza, “la soglia di rilevanza del 30% attualmente presa in considerazione dalla norma non potrebbe essere mai raggiunta nel trimestre a cui si riferisce la comunicazione della liquidazione periodica”.

In effetti, tale conseguenza derivava dall'opzione normativa di rapportare in termini percentuali la rilevanza dell'esposizione al fatturato trimestrale, senza tener conto del fatto che, per poter sussistere, la percentuale di rilevanza dovrebbe essere minore, non maggiore della percentuale dell'IVA dovuta.

Cerchiamo di capire il perchè con un semplice esempio.

Posto per ipotesi un fatturato trimestrale di euro 500.000, la soglia di rilevanza del 30% implicherebbe un'IVA non pagata pari ad euro 150.000 (ossia il 30% di euro 500.000), mentre l'IVA dovuta (anche se calcolata nel massimo del 22%) non potrebbe mai superare euro 110.000 (il 22% di euro 500.000).

In altre parole, non aveva senso ipotizzare un debito scaduto-soglia di euro 150.000 quando (al massimo) l'obbligo di pagamento sarebbe di euro 110.000.

Ponendo invece la soglia al 10%, essa ridiventava inferiore all'IVA mediamente dovuta (tale percentuale, secondo la Relazione, “rappresenta un valore mediano e tiene conto dell'esistenza di settori produttivi in cui l'IVA dovuta è inferiore al 22%”) e quindi, proseguendo nell'esempio in esame, la soglia si sarebbe ridotta ad euro 50.000 (il 10% di euro 500.000), importo che poteva in effetti rappresentare casi di effettiva esposizione rilevante di periodo (se ad esempio si fosse calcolata un'I.V.A. al 18%, il debito totale avrebbe potuto essere di euro 90.000, e quindi sarebbe stato ipotizzabile un insoluto – considerato rilevante - di euro 50.000).

Sennonchè la versione finale del Correttivo, quella approvata dal Consiglio dei Ministri il 13 febbraio 2020, è ritornata all'antico, superando addirittura il già esagerato plafond iniziale.

Si abbandona, anzitutto, qualunque riferimento alla prima condizione costituita dal criterio percentuale/proporzionale, facendosi riferimento a valori assoluti da valutare per fasce di fatturato.

L'insoluto viene considerato ora rilevante se è superiore ad euro 100.000, quando il volume d'affari risultante dalla dichiarazione relativa all'anno precedente è inferiore ad euro 1.000.000; se è superiore ad euro 500.000, quando il volume d'affari è inferiore ad euro 10.000.000; se è superiore ad euro 1.000.000 quando il volume d'affari risultante è superiore ad euro 10.000.000.

Come si vede, la soglia originaria di euro 25.000 viene ora sostituita dalla soglia di euro 100.000, quella di euro 50.000 dalla soglia di euro 500.000 e quella di euro 100.000 dalla soglia di euro 1.000.000: quindi l'aumento va da 4 a 10 volte rispetto alle soglie originarie.

Per di più il rapporto tra insoluto IVA e volume d'affari è elevatissimo, almeno se si tiene conto degli importi-limite: ipotizzando infatti un'IVA media al 10%, l'insoluto di euro 100.000 implica che, su un fatturato di euro 1.000.000, vi sia in sostanza un'evasione totale; l'insoluto di euro 500.000 implica che, su un fatturato di euro 10.000.000, vi sia un'evasione della metà; l'insoluto di euro 1.000.000 implica che, su un fatturato di euro 10.000.000, vi sia un'evasione ancora una volta totale.

Superfluo evidenziare che, in tal modo, l'allerta “fiscale” sarà solo residuale, e destinata ai casi di evasione più eclatanti, con un rischio, da un lato, di vero e proprio tonfo della nuova disciplina dell'allerta, e, dall'altro, del reiterarsi dei deprecabili comportamenti viziosi del passato, che facevano registrare una tendenza costante delle imprese in crisi ad autofinanziarsi con l'evasione delle imposte, qui rilevanti sia pure nella sola ottica IVA, continuando a pagare altri creditori ma non lo Stato, ed aumentando in tal modo le passività fiscali fino a cifre esorbitanti anche sfruttando i notori ritardi dell'A.F. nell'individuare i casi di evasione.

Tale modifica correttiva non merita quindi di essere minimamente condivisa, e andrebbe quindi, ed anzi, al più presto “ricorretta”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.