Condanna alla consegna di bene mobile: cosa succede se la parte tenuta alla consegna non può provvedervi?

Giuseppe Lauropoli
25 Febbraio 2020

La questione sottoposta all'esame della Cassazione è la seguente: ove un titolo esecutivo rechi un obbligo di consegna di beni mobili e tale consegna non possa più essere attuata avendo il debitore perso la disponibilità di tali beni, è possibile per il creditore intimare con precetto il pagamento dell'equivalente monetario di tali beni?
Massima

In caso di condanna alla consegna di beni mobili di cui il debitore abbia perduto la disponibilità, il diritto del creditore ad ottenere il pagamento dell'equivalente monetario di tali beni va fatto valere in un nuovo processo di cognizione che ne accerti la sussistenza e ne liquidi l'importo, non potendo essere azionato direttamente in via esecutiva sulla base del titolo di condanna alla consegna, di per sé non idoneo a fondare l'esecuzione per espropriazione, ma solo quella in forma specifica ai sensi degli artt. 605 ss. c.p.c., ancorché si assuma esistere un prezzo ufficiale di mercato dei beni perduti.

La questione

La questione sottoposta all'esame della Cassazione, in estrema sintesi è la seguente: ove un titolo esecutivo rechi un obbligo di consegna di beni mobili e tale consegna non possa più essere attuata avendo il debitore perso la disponibilità di tali beni, è possibile per il creditore intimare con precetto il pagamento dell'equivalente monetario di tali beni?

Le soluzioni giuridiche

La risposta che forniscono i giudici di legittimità nella pronuncia in commento è negativa: vi si afferma, infatti, che una pronuncia di condanna alla consegna di un bene mobile è suscettibile di essere posta in esecuzione unicamente nelle forme di cui agli articoli 605 e seguenti, con l'effetto che ove la parte creditrice intenda ottenere, in luogo della consegna del bene, il pagamento di un equivalente monetario dello stesso, dovrà attivare un autonomo giudizio di cognizione, finalizzato ad accertare la sussistenza di tale diritto e l'entità della somma eventualmente spettante.

E ciò, sembra dire la Cassazione, indipendentemente dal fatto che un tale equivalente monetario possa essere agevolmente determinato sulla base di valori di mercato (nel caso di specie, stando alla scarna esposizione delle circostanze fattuali all'origine della controversia, parrebbe che i beni da consegnare fossero costituiti da titoli azionari o obbligazionari).

La motivazione della sentenza è invero piuttosto succinta e si risolve, quanto meno con riguardo alla questione di maggiore interesse, nella enunciazione del seguente principio di diritto: «in caso di condanna alla consegna di beni mobili di cui il debitore abbia perduto la disponibilità, il diritto del creditore ad ottenere il pagamento dell'equivalente monetario dei (…) beni - non più consegnabili dall'obbligato – va fatto valere in un nuovo processo di cognizione che ne accerti la effettiva sussistenza e che in concreto ne liquidi l'importo non potendo essere azionato direttamente in via esecutiva sulla base del semplice titolo di condanna alla consegna, di per sé non idoneo a fondare l'esecuzione per espropriazione ma solo quella di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c., tanto meno in base ad una "autoliquidazione" del valore dei beni perduti effettuata dal creditore, anche laddove si assuma esistere un prezzo ufficiale di mercato di essi».

In sostanza, afferma la pronuncia in esame, ove la condanna abbia ad oggetto una delle prestazioni previste nella sezione seconda del titolo quarto del sesto libro del Codice Civile (sezione che disciplina le ipotesi di esecuzione in forma specifica), deve ritenersi che non sia in facoltà del creditore “convertire” una tale pronuncia in una condanna al pagamento di una somma equivalente al valore della prestazione che sarebbe dovuta in base al titolo.

E ciò, afferma la Cassazione, anche quando l'esecuzione in forma specifica non sia più possibile nel momento in cui viene prospettata l'attività esecutiva.

Non solo, ma su una tale conclusione non incide, ad avviso dei giudici di legittimità, la circostanza che sia possibile o finanche agevole pervenire ad una determinazione dell'equivalente monetario della prestazione dovuta e non più eseguibile.

Osservazioni

Una soluzione, quella offerta dalla Corte di cassazione, nella sostanza condivisibile, ma solo all'apparenza priva di nodi interpretativi, che può invece essere utile, nella presente nota, provare ad affrontare.

La distinzione fra esecuzione in forma specifica ed esecuzione per espropriazione viene solitamente individuata nel fatto che si ha la prima allorché si faccia valere un diritto al quale le norme sostanziali riservano una tutela specifica o reale, ricorrendo invece la seconda ogni volta che l'interesse pregiudicato venga meno, trasformandosi nel diritto a percepire una somma di denaro (si veda Soldi, Manuale dell'Esecuzione Forzata, 2017, Milano, pag. 1784).

Si tratta, dunque, di due obblighi profondamente diversi (il cui accertamento, peraltro, si pone a monte del processo esecutivo, ossia in sede di cognizione, allorché viene stabilito se un determinato diritto sia suscettibile di reintegrazione nella sua specificità, oppure no), cosicché risulta davvero difficile riuscire a configurare, già in astratto, una automatica “convertibilità” della prestazione oggetto di esecuzione in forma specifica in un mero obbligo di pagamento di una somma di denaro.

Si pensi così ad un obbligo che abbia ad oggetto un facere, ad esempio lo spostamento o l'abbattimento di un manufatto: ben difficilmente si potrebbe ipotizzare che un tale obbligo possa essere convertito, puramente e semplicemente da parte del creditore, in una prestazione pecuniaria.

Oppure, per restare nell'ambito dell'obbligo di consegna, si pensi all'obbligo di consegnare alcuni documenti privi di un intrinseco valore economico: come potrebbe la parte creditrice di tale prestazione pretendere, in luogo dell'esecuzione di un tale obbligo, il pagamento di un equivalente monetario?

È pur vero, poi, che nello specifico caso sottoposto all'esame della Cassazione vi erano due peculiarità: l'obbligo di consegna di beni mobili risultava non più possibile per aver perso la disponibilità degli stessi la parte debitrice; inoltre i beni mobili oggetto dell'obbligo di consegna risultavano, quanto meno nella prospettazione della creditrice che aveva intimato il pagamento dell'equivalente, agevolmente valorizzabili nel loro valore pecuniario.

Ma tali elementi non possono evidentemente ritenersi sufficienti a superare le criticità sopra evidenziate, configurandosi nel caso in esame, come pare evincersi dalla pronuncia in commento, un vero e proprio difetto di titolo quanto al pagamento di somme preteso dal creditore intimante il precetto.

Ma, come esposto in precedenza, la sentenza in esame si preoccupa anche di delineare una soluzione all'apparente inestricabile situazione nella quale si viene a trovare la parte che abbia diritto alla consegna di un bene che, tuttavia, non possa più essere consegnato.

Indubbiamente, ove il debitore abbia perso la disponibilità del bene oggetto della statuizione di condanna, il titolo che prevede l'obbligo di consegna non potrà essere fatto valere dal creditore in sede esecutiva e, ove il creditore dovesse agire in via esecutiva per la consegna del bene, il giudice dell'esecuzione, una volta verificata l'impossibilità di conseguire la prestazione dedotta nel titolo, non potrà far altro che dichiarare l'estinzione della procedura esecutiva.

Resta aperta, però, la possibilità per il creditore di adire il giudice della cognizione per ottenere la condanna della parte che era tenuta alla consegna di un bene mobile al pagamento di una somma di denaro a titolo di ristoro per il suo inadempimento a tale obbligo.

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