Equa riparazione e competenza del giudice adito: presupposto processuale o requisito di ammissibilità della domanda?
26 Febbraio 2020
Massima
In materia di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, conv. dalla l. n. 134/2012, la competenza del giudice adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di ammissibilità della domanda, sicché la Corte d'appello, adita con l'opposizione di cui all'art. 5-ter della stessa legge, ove ritenga di non essere investita della competenza a provvedere, non può rigettare la domanda, ma deve dichiarare la propria incompetenza e, indicato il giudice competente, fissare il termine di riassunzione del procedimento in applicazione dell'art. 50 c.p.c. Il caso
Con decreto del 21.3.2017 la Corte d'appello de L'Aquila rigettava l'opposizione proposta da M.V. avverso il provvedimento del Consigliere Delegato che aveva dichiarato inammissibile la domanda di indennizzo da irragionevole durata di una procedura fallimentare svoltasi innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in forza dell'errore di competenza commesso dal ricorrente, che avrebbe dovuto adire la Corte d'appello di Ancona (nel cui distretto è ricompreso il Tribunale di Ascoli Piceno). Il rigetto, in particolare, era motivato con il fatto che, secondo la corte distrettuale, a seguito della dichiarazione di incompetenza da parte del Consigliere delegato, M.V. avrebbe dovuto riassumere il giudizio innanzi al giudice territorialmente competente e non interporre opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001. Avverso tale statuizione proponeva ricorso per cassazione M.V. La questione
Con il ricorso in Cassazione si deduceva la violazione e falsa applicazione della l. n. 89/2001, art. 3, comma 4 dell'art. 640, commi 1 e 2, degli artt. 38 e 50 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4 per avere la Corte territoriale considerato la competenza territoriale come requisito di ammissibilità della domanda e non come presupposto processuale, con la conseguenza che il giudice d'appello, adito in sede di opposizione, avrebbe dovuto non già dichiarare inammissibile la domanda, ma declinare la propria competenza, fissando il termine per la riassunzione dinanzi al giudice indicato come competente. Il ricorrente rilevava, inoltre, che l'unico rimedio avverso la dichiarazione di incompetenza del Consigliere delegato consisteva nell'opposizione, non anche nella riproposizione del ricorso e denunciava, quale secondo motivo di ricorso, il vizio di motivazione del provvedimento impugnato. Il ricorso era accolto dalla Suprema Corte, che rinviava per nuovo esame alla Corte d'appello di L'Aquila in diversa composizione. Le soluzioni giuridiche
Ai sensi dell'art. 3 l. n. 89/2001 la domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della Corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto (ciò a seguito delle modifiche apportate, in punto di competenza, dall'art. 1, comma 777, lettera g, l. n. 208/2015, che ha eliminato il riferimento all'art. 11 c.p.p. per l'individuazione del giudice competente a conoscere dei ricorsi ex l. Pinto). Sulla domanda, per quanto qui rileva, decide, in forza delle modifiche procedurali apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, il presidente della Corte d'appello, o un magistrato della Corte a tal fine designato, con decreto motivato da emettere entro trenta giorni dal deposito del ricorso. A quel punto, se la domanda è accolta, il giudice ingiunge all'amministrazione contro cui è stata proposta la domanda di pagare senza dilazione la somma liquidata a titolo di equa riparazione, autorizzando in mancanza la provvisoria esecuzione. Se, invece, il ricorso è in tutto o in parte respinto, la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell'articolo 5-ter della medesima legge, quindi nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento ovvero dalla sua notificazione e dinanzi all'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, che decide in camera di consiglio. Vi è, pertanto, una prima fase necessaria, di carattere sostanzialmente monitorio e destinata a svolgersi dinanzi ad un giudice monocratico ed una seconda fase, eventuale, di opposizione, dinanzi alla Corte d'appello in composizione collegiale, che decide in unico grado di merito. La legge, invero, non regola l'ipotesi in cui con la domanda di equa riparazione, ex art. 3 l. n. 89/2001, venga adito un giudice diverso da quello individuato come competente dalla medesima norma. Proprio di simile ipotesi si occupa, invece, la pronuncia in commento, che nasce dalla dichiarazione di incompetenza da parte del consigliere designato per la trattazione del ricorso per equa riparazione. Tale dichiarazione, in particolare, conduceva alla chiusura in rito del procedimento, ritenendo, evidentemente, l'estensore del provvedimento che il criterio di competenza dettato dall'art. 3, comma 1, l. 89/2001 fosse requisito di ammissibilità della domanda, come tale non sussistente nel caso al suo esame. Una statuizione reiettiva era adottata anche dalla Corte di Appello in sede di opposizione ex art. 5 ter l. 89/2001, la quale riteneva che a fronte della declaratoria di incompetenza da parte del consigliere delegato il ricorrente avrebbe dovuto riassumere il giudizio dinanzi al giudice individuato come territorialmente competente. La conclusione non era, invece, ritenuta corretta dalla Suprema Corte, che, richiamando anche altri precedenti conformi (Cass. civ., sez. VI, 1 settembre 2015, n. 17380; Cass. civ., sez. VI, 23 maggio 2017, n. 12891), affermava che «in materia di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, la competenza del giudice adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di ammissibilità della domanda, sicché la corte d'appello, adita con l'opposizione di cui all'art. 5 ter stessa legge, ove ritenga di non essere investita della competenza a provvedere, non può rigettare la domanda, ma deve dichiarare la propria incompetenza e, indicato il giudice competente, fissare il termine di riassunzione del procedimento in applicazione dell'art. 50 c.p.c.». Nella medesima prospettiva, la Corte richiamava altro precedente che aveva dichiarato inammissibile il regolamento di competenza proposto avverso il decreto emesso dal magistrato designato dal presidente della corte d'appello, trattandosi di provvedimento contro il quale può essere proposta l'opposizione al collegio di cui alla l. 4 marzo 2001, n. 89, art. 5 ter e che, pertanto, diventa definitivo solo in caso di mancata opposizione (Cass. civ., sez. VI, 24 luglio 2014, n. 16806). Da qui la conclusione della non conformità a legge del provvedimento impugnato, che avrebbe dovuto pronunciarsi sulla competenza, anziché affermare che la parte avrebbe dovuto riassumere il giudizio innanzi al giudice territorialmente competente indicato dal Consigliere delegato.
Osservazioni
La competenza (per materia, valore o territorio) è normalmente presupposto processuale della domanda, che come tale deve preesistere alla sua proposizione (restando, invece, irrilevanti eventuali mutamenti successivi: cfr. art. 5 c.p.c.) e deve valutarsi secondo le regole di cui agli artt. 7 e ss. c.p.c. L'eventuale incompetenza, nel rito ordinario di cognizione, è dichiarata con ordinanza (art. 279 c.p.c.), impugnabile con regolamento di competenza, che può essere necessario, qualora il provvedimento abbia statuito solo in punto di competenza, senza decidere anche il merito della causa, ovvero facoltativo, in caso di questione di competenza decisa unitamente al merito, che lascia ferma la possibilità di ricorrere agli altri mezzi di impugnazione ordinari (in quest'ultimo caso, tuttavia, non potrà impugnarsi unicamente il capo della sentenza attinente alla competenza, dovendo l'impugnazione ordinaria investire anche il merito della controversia). L'ordinanza che dichiari l'incompetenza del giudice adito deve, altresì, indicare il giudice ritenuto competente, dinanzi al quale le parti devono riassumere il processo nel termine indicato nella medesima ordinanza, ovvero in mancanza, in quello di tre mesi della comunicazione di essa, altrimenti il processo si estingue (art. 50 c.p.c.). In caso, invece, di tempestiva riassunzione, restano salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, in forza del meccanismo della traslatio iudicii. Può accadere, tuttavia, che la competenza sia condizione di ammissibilità della domanda e non presupposto processuale dell'azione: ciò accade, ad esempio, nel caso del ricorso per ingiunzione che, ove presentato dinanzi a giudice incompetente, viene rigettato senza rimessione dinanzi al giudice ritenuto competente, posto che la riassunzione del procedimento innanzi al giudice competente prima dell'instaurazione del contraddittorio non avrebbe alcuna utilità, non valendo a conservare effetti che non si sono ancora prodotti (ad esempio, la prescrizione, interrotta solo dalla notifica del decreto ingiuntivo emesso) e che non possono prodursi in mancanza di una condizione di ammissibilità della domanda. Per le stesse ragioni, ove l'incompetenza sulla domanda del ricorrente in monitorio (attore in senso sostanziale) sia rilevata dal giudice dell'opposizione, quest'ultimo deve limitarsi a dichiarare nullo il decreto ingiuntivo opposto e a revocarlo, con provvedimento che ha forma di sentenza e non di ordinanza, dato il duplice contenuto, di accoglimento in rito dell'opposizione e di caducazione per nullità del decreto (cfr. Cass. civ, sez. VI, 21 agosto 2012, n.14594) e che non mira a rimettere le parti dinanzi al giudice riconosciuto come competente. Come distinguere, tuttavia, il caso della competenza come presupposto processuale dell'azione da quello della competenza come condizione di ammissibilità della domanda? La regola generale è, indubbiamente, quella della competenza come presupposto processuale, come dimostrato dalle norme di portata generale dedicate a tale fattispecie, in particolare gli artt. 38, 50, 44 e 45 c.p.c., contenuti nel libro primo del codice di rito, che mirano fondamentale a garantire la conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale proposta innanzi a un giudice incompetente. In tale prospettiva è, invece, eccezionale, la configurazione della competenza quale requisito di ammissibilità della domanda, che, appunto, non consente l'operatività del meccanismo della traslatio iudicii (cfr. il richiamato caso del ricorso per ingiunzione, ovvero l'ipotesi della volontaria giurisdizione cd. gestoria, in cui il rapporto giudice/parte non è biunivoco, per la congenita assenza di un contraddittore), ma, specularmente, non conosce il rischio del giudicato, perché consente alla parte di riproporre la domanda rigettata allo stesso ovvero ad un diverso giudice (come chiaramente disposto dall'art. 640 c.p.c. per tutti i casi di rigetto della domanda monitoria, incluso, quindi, il caso della riconosciuta incompetenza del giudice adito). La distinzione appare particolarmente problematica nel caso della domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo, posto che l'art. 3 della l. 89/2001, a seguito delle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, delinea una struttura parzialmente monitoria del procedimento per equa riparazione, tant'è che vengono richiamati anche i primi due commi dell'art. 640 c.p.c. per l'ipotesi di rigetto/integrazione della domanda. Vi è, però, una differenza dirimente rispetto al procedimento per ingiunzione, che ha portato la giurisprudenza di legittimità, sin dai primi anni dell'entrata in vigore della modifica normativa, ad affermare la tesi della competenza come presupposto processuale della domanda e non come condizione dell'azione (cfr. la già citata Cass. civ., n. 17380/2015). Nella disciplina dell'equa riparazione, infatti, il rigetto, a differenza di quanto previsto nel procedimento monitorio, è ostativo alla riproposizione della domanda (per come esplicitamente disposto dal comma 6 dell'art. 3 l. n. 89/2001 e per come implicitamente ricavabile già dal richiamo ai primi due commi dell'art. 640 c.p.c. e non anche al comma terzo della medesima disposizione normativa che, appunto, esclude qualsiasi efficacia di giudicato della pronuncia reiettiva, consentendo la libera riproposizione della domanda rigettata). Ciò significa che ove si ipotizzasse la possibilità di un rigetto “secco” per incompetenza, eventualmente confermato anche all'esito di opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001, il ricorrente si vedrebbe definitivamente preclusa la possibilità di una decisione in merito in forza di una decisione in rito, in contrasto con il principio ricavabile dall'art. 310 c.p.c., da cui si ricava che la stabilità delle statuizioni sulla competenza non è incompatibile con un nuovo giudizio di merito. Da qui la conclusione per cui in materia di equa riparazione ai sensi della l. n. 89/2001, anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012, la competenza del giudice adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di ammissibilità della domanda. Conseguenza è che la Corte d'appello, adita con l'opposizione ai sensi dell'art. 5 ter stessa legge, ove ritenga di non essere investita della competenza a provvedere, non può rigettare la domanda, ma deve dichiarare la propria incompetenza e, indicato il diverso giudice competente, deve fissare il termine di riassunzione del procedimento innanzi a lui, in applicazione dell'art. 50 c.p.c. (con conseguente salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda in caso di tempestiva riassunzione). Altra conseguenza della descritta opzione ermeneutica è che non è possibile, in caso di rigetto della domanda per incompetenza da parte del consigliere delegato ex art. 3 l. 89/2001, interporre regolamento di competenza, trattandosi di provvedimento contro il quale può essere proposta l'opposizione al collegio di cui all'art. 5-ter della l. n. 89/2001 e che, pertanto, diventa definitivo solo in caso di mancata opposizione (Cass. civ., sez. VI, 23 maggio 2017, n.12891). Qualora, invece, la corte d'appello adita declini la propria competenza territoriale a favore di altra Corte di Appello dinanzi alla quale rimetta le parti, la corte d'appello presso cui la causa sia stata riassunta, ove ritenga di essere a sua volta incompetente, è legittimata, trattandosi di competenza inderogabile, a proporre d'ufficio regolamento di competenza ex art. 45 c.p.c., a nulla rilevando che la pronuncia d'incompetenza sia stata adottata con decreto, trattandosi della forma prevista dall'art. 3, comma 6, della l. n. 89/2001 (Cass.civ., sez. VI, 3 febbraio 2016, n.2139).
Riferimenti
Giordano, Procedimento ex lege Pinto: competenza, incompetenza ed evoluzione giurisprudenziale, in www.Ilprocessocivile.it. |