Gli indici di allerta e la fondatezza della crisi

27 Febbraio 2020

Il Legislatore del nuovo Codice della crisi, sul solco delle regole comunitarie in materia d'insolvenza, ha focalizzato l'attenzione sulla tutela dell'impresa nella specifica (prioritaria) prospettiva della salvaguardia degli interessi dei creditori. In funzione di tale obiettivo, il testo di riforma ha imposto all'imprenditore una serie di stringenti doveri, così giungendo – di fatto – a “procedimentalizzare” la propria sfera d'azione.
Premessa

Il legislatore del nuovo Codice della crisi, sul solco delle regole comunitarie in materia d'insolvenza, ha focalizzato l'attenzione sulla tutela dell'impresa nella specifica (prioritaria) prospettiva della salvaguardia degli interessi dei creditori.

In funzione di tale obiettivo, il testo di riforma ha imposto all'imprenditore una serie di stringenti doveri, così giungendo – di fatto – a “procedimentalizzare” la propria sfera d'azione.

Il Codice della crisi e dell'insolvenza ha espressamente definito – ed insieme orientato – il concetto di “crisi”: lo stato di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa che renda probabile l'insolvenza.

L'insolvenza è “probabile” quando la liquidità aziendale assunta con riferimento ad un arco temporale prospettico non appaia adeguata a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Il nuovo Codice della crisi disciplina i doveri dell'imprenditore all'art. 3:

  • l'imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi al fine di assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte;
  • l'imprenditore collettivo deve adottare un assetto d'impresa adeguato ai sensi del (riformulato) art. 2086 c.c. ai fini della tempestiva rilevazione della crisi e dell'assunzione delle relative idonee iniziative.

Ai sensi del successivo art. 4, l'imprenditore, nell'ambito dell'esecuzione degli accordi volti alla composizione negoziata della crisi e/o delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza – ha il dovere di:

  1. illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza prescelto;
  2. assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori;
  3. gestire il patrimonio o l'impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza nell'interesse prioritario dei creditori.

In ultima analisi, l'imprenditore, al verificarsi dei segnali rilevatori della crisi (probabilità d'insolvenza), deve operare in funzione della conservazione dei valori del patrimonio aziendale, mezzo di garanzia per l'adempimento delle proprie obbligazioni (art. 2740 ss. c.c.).

Quanto sopra, attenendosi con la massima diligenza al catalogo “prescrittivo” impartito dal Codice della crisi e dell'insolvenza.

L'adeguatezza degli assetti d'impresa

L'art. 375, comma 2, CCI ha modificato l'art. 2086 c.c. (gestione dell'impresa), con efficacia dal 16 marzo 2019, aggiungendovi un secondo comma.

Tale nuova norma impone all'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva:

  1. di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensioni dell'impresa, anche (diremmo principalmente) in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale;
  2. di attivarsi senza indugio per l'adozione e la relativa attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi aziendale e per il recupero della continuità aziendale.

Il duplice dovere di istituire un adeguato assetto (anche) ai fini della prevenzione della crisi e di attivarsi tempestivamente ai fini della gestione della stessa va sostanzialmente ad integrare il codice genetico dell'impresa.

Tali doveri rappresentano infatti, da una parte, obblighi strumentali per l'impresa, dall'altra, condizioni necessarie perché la gestione aziendale possa dirsi completa, corretta e prudente.

In pratica, l'imprenditore non potrà più fare impresa se non istituendo e poi monitorando, tempo per tempo, un adeguato assetto aziendale “plurifunzionale” ai fini del monitoraggio della propria situazione economico-patrimoniale-finanziaria.

La norma – al riguardo – parla di assetti organizzativi, amministrativi e contabili d'impresa, non senza peraltro una qualche assonanza con il cd. “Sistema dei controlli interni”.

In ambito di vigilanza bancaria, l'insieme di regole volte ad individuare, nell'ambito di processi aziendali integrati, i vari ruoli e le correlate responsabilità affinché l'attività di governance sia efficace, efficiente ed idonea a salvaguardare i valori d'impresa.

Sotto altro profilo, il riferimento al requisito di “adeguatezza” degli assetti richiama il “modello” di organizzazione, gestione e controllo ex D.Lgs. n. 231/2001, il quale – per quanto non obbligatorio – ha lo scopo di prevenire la commissione di azioni penalmente rilevanti da parte della struttura aziendale.

L'adeguatezza del modello vale poi a costituire causa d'esclusione ovvero limitazione della responsabilità da parte dell'ente (l'adeguatezza del sistema ed il suo corretto funzionamento sono valutati dall'O. di V.).

Peraltro, in ambito di normativa codicistica, già l'art. 2381 c.c. faceva riferimento al dovere da parte dell'organo delegato delle s.p.a. di far sì che l'assetto organizzativo, amministrativo e contabile fosse “adeguato” alla natura ed alle dimensioni dell'impresa.

Con il nuovo Codice, tale norma viene ad applicarsi (“ove compatibile”) anche alle s.r.l. – e ciò per effetto del richiamo all'art. 2381 c.c. ad opera dell'art. 2475, comma 5, c.c., come introdotto dall'art. 377, comma 4, CCI.

Passando a prospettive di concretezza, con riferimento al tessuto economico nazionale ed alla diffusa presenza d'imprese di piccole-medie dimensioni, si tratterà di individuare la “giusta” misura degli assetti aziendali, in relazione alla natura, dimensione e complessità delle singole strutture societarie.

In ogni caso, gli assetti interni dovranno permettere all'imprenditore, al verificarsi dei primi sintomi della crisi, di attivarsi per la gestione della mutata situazione di difficoltà aziendale, accedendo ad uno degli strumenti previsti dal nuovo testo di riforma.

Se il legislatore ha indotto l'imprenditore ad adottare modelli basati sulla programmazione in funzione preventiva, l'assetto interno d'impresa dovrà comunque rimanere ben ancorato ai dati consuntivi, fondandosi su efficaci regole di controllo.

Non può esservi infatti efficienza nello sviluppo di flussi previsionali aziendali se non vi sia concretezza, precisione ed affidabilità nel sistema di rendicontazione consuntiva.

Resterà peraltro un certo grado di discrezionalità in capo all'imprenditore circa le “misure” da adottare affinché gli assetti d'impresa possano dirsi adeguati ai sensi del nuovo art. 2086 c.c.

D'altra parte, l'art. 13, comma 3, CCI prevede che ove l'imprenditore non ritenga adeguati alle proprie caratteristiche gli indicatori “standard” della crisi potrà darne conto in nota integrativa, rappresentando quali siano quelli, diversi, più idonei a far presumere la sussistenza di uno stato di crisi (tramite attestazione).

In ogni caso, un eventuale giudizio negativo ex post, sotto il profilo della responsabilità gestoria circa possibili inadeguatezze degli assetti interni d'impresa, dovrebbe fondarsi su standard di prassi secondo la migliore scienza aziendale.

E ciò per non “allentare” oltremisura il margine di tenuta del pur sempre vigente principio di business judgement rule.

Cause della crisi, indicatori significativi e segnalazioni interne

Il tema dell'adeguatezza degli assetti interni d'impresa porta – direttamente – al sistema dell'allerta.

Gli strumenti d'allerta configurano obblighi di segnalazione: essi affiancano i menzionati obblighi organizzativi posti a carico dell'imprenditore ex art. 2086 c.c.

E ciò ai fini, da una parte, della tempestiva rilevazione degli indizi della crisi, dall'altra, della sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione.

Abbiamo visto che la crisi rileva solo quando determini la probabilità d'insolvenza.

Ovvero quando le disponibilità liquide attuali ed i flussi di cassa prospettici non siano adeguati a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, ovvero a quelle attuali ed a quelle prospettiche (art. 2 CCI).

L'art. 13, comma 1, individua quali fattori (in realtà, trattasi di cause) della “probabile” insolvenza le situazione di squilibrio reddituale, patrimoniale o finanziario rapportate alle specifiche caratteristiche dell'impresa.

Detti squilibri devono essere rilevati da appositi indici (più propriamente: indicatori) che diano evidenza:

  • della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi
  • della permanenza di prospettive di continuità per l'esercizio in corso ovvero, quando la durata residua sia inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi.

Fra l'altro, quanto al profilo della continuità aziendale, il nuovo Codice va oltre i correnti principi di revisione, secondo i quali la continuità è misurata dalla capacità dell'impresa di operare in una situazione di “normale” funzionamento per almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio (ISA Italia 570).

E per “normale” funzionamento si intende la capacità dell'impresa di realizzare, in base all'attività di gestione ordinaria, flussi economico-finanziari idonei a dar compiutezza al ciclo produttivo e, dunque, a far fronte con regolarità alle obbligazioni aziendali.

Il nuovo Codice restringe il periodo rilevante ai fini dell'intercettazione della crisi, assumendo, quale arco temporale di riferimento, l'esercizio in corso ovvero, quando la sua durata residua sia inferiore al semestre, il semestre successivo.

Proseguendo, il primo comma dell'art. 13 fa riferimento ai seguenti indicatori, che la norma qualifica come “significativi” ai fini dell'individuazione delle situazioni di crisi:

  • sostenibilità degli oneri finanziari rispetto ai flussi di cassa prospettici;
  • adeguatezza dei mezzi propri rispetto ai mezzi di terzi;
  • ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche ex art. 24:
  1. debiti per retribuzioni scaduti da almeno 60 giorni per ammontare pari ad oltre la metà dell'ammontare mensile delle retribuzioni;
  2. debiti verso fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore ai debiti non scaduti;
  3. superamento nell'ultimo bilancio approvato o comunque per oltre 3 mesi degli indici ex art. 13, commi 2 e 3.

Come noto, il legislatore, al secondo comma dell'art. 13, ha delegato il Consiglio azionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ad elaborare, con cadenza almeno triennale, per ogni tipologia d'attività – e con specificità in ordine a start-up innovative, PMI innovative, imprese neo-costituite, imprese in liquidazione –, gli indici che, sotto il profilo “numerico”, diano concreta espressione, nell'ambito di una valutazione unitaria, agli indicatori delineati, in via normativa, al primo comma dell'art. 13.

I nuovi indici del CNDCEC

Il Gruppo di lavoro costituito in seno al CNDCEC, dopo un approfondito esame anche di carattere empirico circa la prassi in materia di modelli previsionali di crisi aziendale, ha pubblicato il proprio elaborato in funzione dell'esecuzione della delega sopra indicata.

Tale documento è stato fra l'altro presentato nell'ambito del Convegno nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili tenutosi a Firenze nei giorni 25-26 ottobre 2019.

Il CNDCEC, con il documento in oggetto, ha opportunamente premesso come non appaia sufficiente – né, invero, necessario – il mero superamento degli indici ex art. 13, comma 1, CCI perché gli indizi di una situazione di crisi aziendale possano considerarsi “fondati”.

In effetti, il requisito della “fondatezza” è richiamato unicamente dall'art. 14 del Codice della crisi e dell'insolvenza, in tema d'obbligo di segnalazione interna da parte degli organi di controllo societari, e non anche dall'art. 13.

Ne consegue che il mero superamento degli indici ex art. 13 CCI dovrebbe rappresentare un semplice “indizio” di crisi.

Al fine di “scongiurare” l'emersione di ‘falsi negativi” (c'è crisi, ma l'indice non lo dice) ovvero di “falsi positivi” (non c'è crisi, ma l'indice la segnala), sarà così necessaria un'accurata analisi da parte dei soggetti deputati al controllo interno, sotto il profilo probatorio, onde valutare se, nella concretezza del caso, gli indizi della crisi siano “fondati” (presupposto per la segnalazione).

Per consentire di verificare la sussistenza di tale requisito, il CNDCEC ha individuato e delineato un percorso da seguire, il quale sostanzialmente assume valenza di processo di autodiagnosi della salute aziendale ai fini degl'obblighi segnaletici.

Esso si dipana verticalmente.

In cima, si pongono due accertamenti da effettuare.

Il primo riguarda l'esame del patrimonio netto aziendale.

Assume a tali fini rilevanza il “patrimonio netto” ex art. 2424 c.c., al netto di eventuali crediti verso soci per versamenti dovuti, dividendi deliberati ma non contabilizzati, riserve a copertura di strumenti finanziari ex art. 2426, comma 1, n. 11-bis), c.c.

Il patrimonio netto deve rimanere ad un livello non inferiore ai minimi di legge.

Il secondo, contestuale accertamento riguarda la verifica della presenza di reiterati/significativi ritardi nei pagamenti.

L'elaborato del Gruppo di lavoro ha assunto, a tale ultimo fine, i seguenti fatti rilevanti:

  • non episodiche azioni esecutive da parte dei creditori;
  • interruzione delle forniture o loro subordinazione a pagamenti a vista, con pregiudizio per il normale afflusso degli approvvigionamenti;
  • ricorrenti ritardi nei pagamenti dei tributi, contributi e retribuzioni superiori a 30 giorni;
  • ritardi nei pagamenti dei debiti bancari per una durata superiore a 90 giorni con revoca dei fidi o decadenza dal beneficio del termine.

Ove il patrimonio netto sia negativo o comunque inferiore ai minimi di legge ovvero vi siano rilevanti ritardi nei pagamenti, si è in presenza di una crisi “fondata”, ciò che fa scattare l'obbligo di segnalazione ex art. 14 CCI.

Qualora il patrimonio netto non intacchi i minimi di legge, né vi siano reiterati, significativi ritardi nell'assolvimento delle obbligazioni aziendali, si dovrà comunque scendere adun secondo livello di controlli.

Occorrerà cioè verificare se l'impresa sia capace di sostenere i debiti aziendali per un arco temporale di almeno sei mesi.

Il Gruppo di lavoro all'interno del CNDCEC ha individuato, a tal fine, l'indice DSCR (Debt Service Coverage Ratio) a 6 mesi, con valore pari ad 1.

Al numeratore vi sono i flussi finanziari al servizio del debito, al denominatore, l'entità del debito da “servire”.

Il documento individua due diversi approcci metodologici, rimettendone la scelta agli operatori.

Entrambi gli approcci sono basati su flussi prospettici.

Secondo il primo approccio, il DSCR trae fondamento dal budget di tesoreria, e dunque dal rapporto fra entrate ed uscite, in termini di liquidità, rispetto ad un arco temporale di sei mesi.

In base al secondo approccio, il DSCR è determinato attraverso il rapporto – sempre in una prospettiva semestrale – tra flussi di cassa destinabili al servizio del debito ed entità del debito non operativo da rimborsare.

Il Debt Service Coverage Ratio funziona nella misura in cui siano disponibili i dati prognostici aziendali.

Si richiama, sul punto, quanto già rilevato circa la necessità che l'assetto amministrativo/contabile interno sia capace di produrre flussi informativi precisi ed affidabili (adeguatezza degli assetti d'impresa).

Ove il DSCR a sei mesi segni un valore inferiore all'unità, si è in presenza di una condizione di fondatezza della crisi, ciò che farà ancora scattare l'obbligo di segnalazione ex art. 14 CCI.

Qualora il DSCR non sia disponibile per carenze interne o per altri motivi, ovvero qualora i dati prognostici aziendali non siano ritenuti affidabili dagli organi di controllo interni, la verifica dello stato dell'impresa in funzione segnaletica dovrà accedere ad un livello ulteriore di controlli.

Tale fase passa attraverso la costruzione combinata di cinque indici “settoriali”, basati – questi – su dati consuntivi; ai fini della definizione dei singoli settori economici, il documento assume a riferimento la classificazione ATECO ISTAT 2007.

I cinque indici di settore vanno ad esprimere, numericamente, “soglie” di allerta che variano in funzione di ciascuna tipologia di attività economica.

Tali indici – perché vi sia “fondatezza” della crisi – devono essere “violati” tutti, contestualmente.

Gli indici settoriali sono i seguenti:

  1. oneri finanziari/fatturato (sostenibilità oneri indebitamento)
  2. patrimonio netto/debiti totali (leverage)
  3. cash flow/attivo (ritorno liquido dell'attivo)
  4. attività a breve/passivo a breve (liquidità)
  5. debito previdenziale-tributario/attivo.

Il Consiglio nazionale, nell'assumere e definire gli indici di cui sopra, ha fatto riferimento agli schemi generali di bilancio, ex artt. 2424-2425 c.c.

Il CNDCEC ha poi fatto presente che le imprese che adottino i principi contabili internazionali sono tenute a calcolare gli indici in esame avendo riguardo alle equivalenti voci di bilancio, con la precisazione che nel calcolo del patrimonio netto sono escluse le riserve specifiche derivanti dall'applicazione degli IAS/IFRS (riserve di fair value, riserve attuariali, stock option, ecc.).

Le imprese che redigano il bilancio con le semplificazioni ex artt. 2435-bis e 2435-ter c.c. (imprese minori e micro-imprese) calcoleranno gli indici ricorrendo alla situazione contabile impiegata per la redazione del bilancio.

In questo caso, i dati utilizzati devono essere disponibili per la consultazione da parte dei controllori interni.

Il CNDCEC ha poi fatto una precisazione in relazione alle cooperative ed ai consorzi, rilevando che per tali enti gli indici terranno conto degli effetti peculiari legati al prestito sociale e/o al debito verso soci riferibile allo scambio mutualistico.

Come detto, con la delega ex art. 13, comma 2, il legislatore del Codice della crisi ha richiesto al CNDCEC di elaborare indici “specifici” per i seguenti operatori economici:

  • start-up innovative ex D.L. n. 179/2012
  • PMI innovative ex D.L. n. 3/2015
  • imprese costituite da meno d'un biennio
  • società in liquidazione.

Il Consiglio nazionale vi ha provveduto, operando come segue.

Per le imprese di nuova costituzione (attività avviata da meno di due anni), rileva, ai fini degli obblighi di segnalazione, unicamente il patrimonio netto negativo.

Peraltro, qualora l'impresa o la società neocostituita sia succeduta e/o subentrata ad altra già esistente nella conduzione dell'attività economica, si renderanno applicabili tutti gli indici secondo lo schema generale sopra delineato, ivi inclusi gli indici “settoriali”.

Per le società in liquidazione che abbiano cessato la propria attività, rileva il rapporto tra valore di realizzo dell'attivo patrimoniale ed ammontare dei debiti aziendali.

Per tali imprese, peraltro, rilevano anche i “reiterati” inadempimenti delle obbligazioni aziendali, così come il Debt Service Coverage Ratio, ove inferiore all'unità (non assume al contrario rilevanza l'entità del patrimonio netto, in genere negativo per le società che abbiano dichiarato lo scioglimento).

Tanto per le start-up innovative, quanto per le PMI innovative, sotto un profilo generale, assume rilevanza la propria capacità creditizia, ovvero la capacità d'ottenere – dalla compagine sociale e/o da terzi finanziatori – le risorse finanziarie necessarie ai fini della prosecuzione dell'attività d'impresa.

Con riferimento a tali imprese, ai fini degli obblighi segnaletici assume specifica rilevanza il Debt Service Coverage Ratio, rapportato al fabbisogno finanziario “minimo” per la prosecuzione dell'attività di studio e sviluppo sottesa alla realizzazione del progetto.

Il CNDCEC ha infine preso posizione sulla questione della periodicità del calcolo degli indici segnaletici – ed ha al riguardo raccomandato, in modo condivisibile, che i controlli rispettino una cadenza almeno trimestrale.

Tale scansione temporale appare coerente sia con il precetto in capo all'imprenditore di valutare “costantemente” l'equilibrio finanziario d'impresa, sia con il presupposto per il riconoscimento delle misure premiali ex art. 25 CCI (presentazione all'OCRI dell'istanza di composizione della crisi nei tre mesi dal superamento degli indici).

Deve peraltro segnalarsi come tale cadenza trimestrale sia di fatto in termine “massimo”.

La particolare diligenza che il nuovo Codice richiede a tutti i soggetti che ineriscono l'organizzazione aziendale di governance porta a ritenere che la periodicità dei controlli interni – almeno nelle strutture più efficienti – si attesterà, sotto il profilo dello sviluppo sostanziale e formale degli indicatori della crisi, su base mensile ovvero bimestrale (concetto di continuum).

In conclusione

Alcuni cenni su profili d'apparente criticità circa l'obbligo di segnalazione interna ex art. 14 CCI.

I controllori verificano che gli amministratori abbiano cura di valutare “costantemente” l'adeguatezza degli assetti interni, monitorando la sussistenza dell'equilibrio economico-patrimoniale-finanziario, nonché il prevedibile andamento della gestione.

Gli organi di controllo societari (sindaci e/o revisori, ciascuno in funzione del proprio, diverso ruolo) devono segnalare, immediatamente, agli amministratori l'esistenza di fondati indizi della crisi.

Ciò implica che – di fatto – il percorso a step delineato dal CNDCEC sia verificato/attuato costantemente, non solo dagli amministratori, ma anche dagli stessi soggetti controllori.

Fra l'altro, in caso di coesistenza di collegio sindacale (organo sociale) e società di revisione (soggetto esterno legato all'impresa da rapporto contrattuale), il percorso sarà verosimilmente verificato in via autonomia fra loro, vista la peculiarità degli interessi in gioco (in primis, esclusione da profili di responsabilità solidale post segnalazione).

Quanto sopra potrebbe portare a diversità di risultati fra controllori ed amministratori – i quali dovranno così ben confrontarsi fra loro in relazione alle eventuali discordanze, prima che sia dato avvio alle segnalazioni, e ciò considerato che, ai sensi del secondo comma dell'art. 14, la segnalazione dev'essere “motivata” e fatta per iscritto.

Con l'allerta, a ben vedere, il “confronto” fra organo amministrativo e soggetti controllori diverrà, da un lato, prevedibilmente serrato, dall'altro, necessariamente tracciabile.

Sarà così opportuno che le reciproche condotte restino documentalmente dimostrabili in ogni fase – anche giurisdizionale – della gestione della crisi aziendale.

Ancora, la segnalazione agli amministratori da parte dei controllori interni contiene la fissazione di un termine non superiore a trenta giorni entro cui i primi riferiscano ai secondi circa le soluzioni individuate, nonché le iniziative intraprese.

In caso d'omessa ovvero inadeguata risposta, così come di mancata adozione, nei successivi sessanta giorni, delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, i controllori dovranno informare, senza indugio, l'OCRI, fornendo elementi utili per le relative determinazioni.

Sono tempi – quelli dati – davvero stringenti: gli amministratori avranno un termine per riferire ai controllori di non oltre trenta giorni: ci si chiede – mettiamo che i controllori fissino un termine di 15 giorni – come possano, gli amministratori, in detto termine, fondatamente riferire loro, portando soluzioni già definite e comunque idonee a superare la situazione di crisi.

Perplessità vi sono anche sul termine di 60 giorni a disposizione degli amministratori per adottare le misure ritenute necessarie per superare la crisi, come appalesatasi dall'applicazione degli indici segnaletici.

È possibile, ad esempio, in sessanta giorni, per l'imprenditore, giungere ad aver presentato la domanda per la regolazione giurisdizionale della crisi o dell'insolvenza (dunque senza passare dall'OCRI)? O sarà sufficiente aver dato a tal fine l'incarico ad un pool di professionisti?.

O è invece sufficiente, per l'imprenditore, nelle more del termine assegnato dai controllori, adire l'OCRI con apposita istanza ai fini della composizione assistita della crisi, ai sensi dell'art. 19 CCI, ove anche, ad esempio, la crisi sia particolarmente “matura”, alle soglie dell'insolvenza?

Si aprirà dunque – oltre ai già evidenziati quesiti posti recentemente da autorevole dottrina su questo portate – un problema anche di natura interpretativa su quale sia il grado di definizione del termine “adottare” le misure necessarie per la gestione della crisi.

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