Appunti in tema di responsabilità da inadeguatezza dell'assetto organizzativo

28 Febbraio 2020

Il nuovo art. 2086 c.c. impone agli imprenditori collettivi di dotare l'impresa di un assetto organizzativo adeguato alle dimensioni e all'attività esercitata in concreto. È facile prevedere che con l'entrata in vigore della riforma, le azioni di responsabilità da prosecuzione illecita...
Gli assetti organizzativi e la frontiera delle nuove azioni di responsabilità

Il nuovo art. 2086 c.c. impone agli imprenditori collettivi di dotare l'impresa di un assetto organizzativo adeguato alle dimensioni e all'attività esercitata in concreto. È facile prevedere che con l'entrata in vigore della riforma, le azioni di responsabilità da prosecuzione illecita dell'attività di impresa per l'intervenuta erosione del capitale sociale saranno assai meno numerose: il procedimento di allerta arresterà le imprese prima che si trovino con un patrimonio netto negativo, mentre già alla soglia dell'OCRI, organo gestorio, organo di controllo e revisore potrebbero essere chiamati a rispondere dell'adeguatezza dell'assetto organizzativo.

L'obbligo di dotare l'impresa di assetti organizzativi adeguati: un nuovo limite alla business judgement rule

Il codice della crisi di impresa e dell'insolvenza affida una decisiva rilevanza all'adeguatezza degli assetti organizzativi, che dovrebbero intercettare precocemente i primi segnali di possibile crisi, attraverso un costante monitoraggio dell'attività di impresa, un'adeguata base informativa contabile e una corretta esecuzione del piani strategici tramite procedure condivise che assicurino imparzialità e separazione di funzioni all'interno dell'organigramma.

Se fino ad oggi solo le società per azioni e le società quotate trovavano esplicitato un simile obbligo rispettivamente nell'art. 2381, quinto comma, c.c., nell'art. 2403 c.c. e nell'art. 149 TUF, con l'entrata in vigore del CCII quest'obbligo sarà generalizzato per ogni tipologia di attività di impresa.

Semplicemente l'obbligo in discorso verrà declinato in modo diverso: come “misura organizzativa” nell'attività di impresa dell'imprenditore individuale e come “assetto organizzativo” per l'imprenditore collettivo. Dunque, esso varrà anche per le società di persone.

Sono queste, in estrema sintesi, le disposizioni che tratteggiano i nuovi doveri del debitore nell'art. 3 del CCII che, al secondo comma, rinvia all'art. 2086 c.c, nel quale è stato inserito un secondo comma.

Quest'ultima disposizione:

  1. declina l'obbligo dell'adozione di un adeguato assetto, che deve essere rapportato alle dimensioni e alla natura dell'impresa;
  2. lo destina alla funzione di rilevare tempestivamente la crisi e di reagire mediante l'adozione di adeguate misure.

L'assoluta direzione trasversale dell'obbligo in oggetto fa ritenere che possa essere rivisitata la regola tradizionale dell'insindacabilità delle scelte gestorie: in tanto è possibile assumere un rischio di impresa, in quanto vi sia un assetto adeguato al rischio che l'imprenditore intende assumere.

Senza un assetto adeguato, l'iniziativa di impresa è da considerarsi illecita (ma non tout court causativa di un danno) al pari dell'attività di impresa con patrimonio netto negativo per una società di capitali (al netto delle esenzioni ex lege).

Viene così delineandosi una possibile analogia tra la funzione del capitale sociale e l'assetto organizzativo: entrambi mitigano e dunque rendono lecita l'assunzione di un rischio di impresa.

La funzione del capitale sociale è tuttavia limitata alla consistenza patrimoniale della società, mentre gli assetti intendono cogliere e investire aspetti non solo patrimoniali, ma finanziari, gestori e amministrativi.

Essi infatti si pongono a stretto contatto con gli indicatori della crisi che si declinano in indici, la cui catalogazione può essere talmente ampia e sartorializzata sul modello di business da rendere possibile la creazione di indici ad hoc per l'impresa che riguardino, per esempio, il numero di dipendenti che si licenziano, la customer satisfaction o la capacità del management di tradurre in concreto le direttive del consiglio di amministrazione .

La necessaria ampiezza e genericità dell'adeguatezza degli assetti richiesta dal nuovo art. 2086 c.c,, pur contestualizzata alla natura e alle dimensioni dell'impresa, espone gli amministratori e l'organo di controllo ad una rischiosa verifica ex post dell'adempimento del dovere di aver dotato la propria organizzazione di una struttura adeguata a intercettare e risolvere i primi segnali di crisi.

E, infatti, mentre per le società soggette ad un pervasivo etero-controllo organizzativo per l'esercizio di attività regolamentate, come gli istituti di credito e le quotate, esistono dei protocolli che individuano in concreto i contenuti dell'assetto, per la maggior parte delle imprese non è possibile riferirsi a contenuti preconfezionati che attribuiscano la patente di adeguatezza ad un'organizzazione aziendale.

Né talvolta le dimensioni del volume d'affari e i margini operativi possono sopportare i costi fissi di una struttura eccessivamente appesantita, che potrebbe erodere la redditività e ingessare l'attività di impresa con controlli e procedure eccessivamente invasive.

Sorge quindi il bisogno di fissare a priori le regole di un assetto organizzativo adeguato, per andare esenti da una verifica postuma di inadeguatezza, cui potrebbe conseguire una responsabilità da illecito gestorio.

I rischi di una nuova frontiera delle azioni di responsabilità

È infatti assai probabile che, se il sistema dell'allerta inizia a funzionare a dovere, le tradizionali azioni di responsabilità da illecita prosecuzione dell'attività di impresa con una società in patrimonio netto negativo perdano terreno, poiché il sistema dovrebbe essere in grado di arrestare l'impresa ben prima che il capitale sociale sia eroso al di sotto dei limiti di legge.

Viceversa, già nella c.d. allerta esterna formale, dinanzi agli Organismi di Composizione della Crisi, l'impresa si presenterà (insieme all'organo di controllo) con le prime macchie: se è intervenuta una segnalazione all'OCRI, infatti, l'assetto organizzativo potrebbe rivelarsi agli occhi degli esperti già inadeguato, perché non risultato in grado da solo di risolvere i primi segnali di crisi scongiurando l'attivazione di un pericoloso confronto esterno con i tre esperti in Camera di Commercio, che dovranno altrimenti risolvere la possibile difficoltà in un lasso di tempo assai compresso che potrebbe comportare soluzioni drastiche.

In quella sede, l'impresa è sospettata già di aver violato il precetto che le impone di risolvere al suo interno i primi segnali di crisi.

Se poi si riflette che gli esperti dell'OCRI saranno scelti in massima parte tra i curatori, i liquidatori giudiziali e i commissari (art. 362-356 CCII), l'inclinazione professionale di questi ultimi a rilevare gli illeciti gestori renderà ancor più probabile che in sede di audizione del debitore venga richiesto un contributo personale dell'amministratore e dei sindaci (e addirittura, inspiegabilmente del revisore), che non abbiano dotato la società di un assetto organizzativo in grado di impedire l'emersione della crisi verso il procedimento di allerta esterna oppure non abbiano vigilato correttamente su questo aspetto.

Ne consegue il rischio di una deriva nella quale gli esperti (e ancor più il curatore nella liquidazione giudiziale) potrebbero essere indotti ad individuare un capro espiatorio a buon mercato, riconducendo ogni crisi e ogni dissesto all'inadeguatezza dell'assetto organizzativo dell'impresa in difficoltà.

Sarebbe una evidente semplificazione, perché non ogni violazione di legge determina un danno, esattamente come non si determina un sinistro stradale ogni volta che si passa al semaforo con il rosso.

Un simile rischio potrebbe trovare una attenuazione se gli assetti organizzativi fossero definiti a priori e rispettati in funzione dell'attenuazione di un rischio di impresa, in modo da impedire una facile derivazione di responsabilità a posteriori.

Una proposta per evitare una deriva giustizialista

L'impresa che non ritenga adeguati gli indici elaborati con cadenza triennale dal CNCDEC, può dotarsi di indici su misura specificandone le ragioni, richiedendo un'attestazione speciale di un professionista indipendente che ne illustri le motivazioni (art. 13, comma terzo, CCII).

Simili indici potrebbero ben essere aggiuntivi rispetto a quelli già previsti dal consiglio nazionale, ad esempio in un'ottica prudenziale calata nel rischio specifico dell'impresa che, per sua natura, ha caratteristiche di insostituibilità per poter offrire i propri prodotti e servizi sul mercato e, pertanto, dispone di una individualità che può essere riversata nella specificità degli indici.

Ebbene, se gli indici devono essere in grado di intercettare i primi segnali di crisi, essi devono essere supportati dalla declinazione di un assetto organizzativo in grado di monitorare i dati contabili e la loro ricorrenza nella vita dell'impresa.

L'attestazione richiesta dall'art. 13, comma terzo, CCII, presuppone, dunque, la definizione di un assetto organizzativo e l'assunzione di una responsabilità da parte dell'attestatore circa l'adeguatezza dell'assetto progettato per intercettare gli indici su misura e per risolvere i primi segnali di crisi.

In quest'ottica, l'adeguatezza dell'assetto viene calata nella realtà dell'impresa, tenendo conto della sostenibilità dei costi della struttura, della natura e delle dimensioni dell'impresa.

Nella logica del looking forward, gli indici propri varranno solo successivamente alla loro adozione e, se rispettati, potranno contribuire a persuadere che l'assetto era idoneo a controbilanciare il rischio d'impresa assunto e che, comunque, organo gestorio e organo di controllo hanno adempiuto al dovere sancito dall'art. 2086 c.c. all'interno di un protocollo organizzativo elaborato da un esperto in grado di attestarne l'adeguatezza.

In tal modo, tuttavia, la responsabilità gestoria potrebbe risultare traslata in capo al professionista attestatore, che ha elaborato gli indici su misura: sarebbe a tal fine auspicabile che il consiglio nazionale tentasse di delineare principi di attestazione in materia che proteggano, se rispettati, anche da questo possibile scenario.

Per l'imprenditore in crisi, infine, la possibilità di adottare un piano attestato anche all'esito di un procedimento di composizione della crisi delinea già una rotta per evitare censure in tema di mancata adozione degli assetti: infatti, il nuovo art. 56 CCI (che ripropone l'istituto di cui all'attuale art. 67, terzo comma ,lett. d), L. fall.) impone che il piano indichi i tempi delle azioni da compiersi, che consentano di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi e la situazione in atto.

La norma richiama, pertanto, scopi e strumenti che attengono agli assetti organizzativi, poiché impongono di monitorare l'attività di impresa e porre rimedio ad eventi che possano allontanare l'impresa dall'esecuzione del piano e quindi possano da soli costituire indizi di una nuova difficoltà: il piano dovrà prevedere una sezione dedicata ad essi, eventualmente modificando gli assetti già esistenti in funzione del monitoraggio rafforzato che impone l'adozione di uno strumento di regolazione della crisi.

(Fonte: IlFallimentarista.it)

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