Vendita mobiliare (PCT)

Annalisa Signorelli
28 Febbraio 2020

La vendita forzata mobiliare si inserisce nella fase cd. liquidativa del processo di espropriazione mobiliare, volta alla trasformazione del bene mobile pignorato in denaro da distribuirsi ai creditori, e realizza una soddisfazione coattiva dei crediti.
Inquadramento

La vendita forzata mobiliare si inserisce nella

fase cd. liquidativa del processo di espropriazione mobiliare

, volta alla trasformazione del bene mobile pignorato in denaro da distribuirsi ai creditori (Capponi, 2016), e realizza una soddisfazione coattiva dei crediti. La vendita, che consente di operare un trasferimento forzoso del bene mobile, conclude in tal modo il processo di espropriazione in senso stretto, ponendosi quale sub-procedimento retto da regole speciali deducibili dalla disciplina prevista in generale per la vendita e l'assegnazione (artt. 501 e ss. c.p.c.) e dalla disciplina specifica dell'espropriazione mobiliare presso il debitore (artt. 529 e ss. c.p.c.); per l'espropriazione presso terzi, l'art. 552 rinvia alle disposizioni di cui all'art. 529 e ss.

Il fondamento giuridico legittimante della vendita coattiva risiede nel

principio della responsabilità patrimoniale

di cui all'art. 2740 c.c., in virtù del quale il debitore risponde delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, sicché il creditore può farli espropriare per conseguire quanto gli è dovuto, nelle forme stabilite dal c.p.c.

La fase liquidativa, la cui funzione di chiusura del sistema è indubbia, non ha tuttavia luogo nei casi in cui il pignoramento abbia ad oggetto danaro contante, che ai sensi degli artt. 494, ult. comma, e 517, comma 2 c.p.c., dovrà essere distribuito agli aventi diritto ovvero assegnato all'unico creditore procedente, ovvero nei casi di conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.), che implica la sostituzione del bene pignorato con una somma di denaro, di riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.) e di cessazione della vendita forzata nella vendita in più lotti (art. 504 c.p.c.).

La natura giuridica anfibologica della vendita forzata e gli effetti della vendita mobiliare

Le annose querelle dottrinali sulla natura contrattuale (Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, II, Padova, 1930) ovvero pubblicistica e processuale (Mandrioli, Diritto processuale civile, 1994) della vendita forzata e sulla tipologia d'acquisto a titolo originario o derivativo dei beni pignorati denotano le difficoltà di inquadramento dell'istituto in esame, che partecipa di una natura giuridica anfibologica quanto al regime applicabile ai trasferimenti all'esito delle procedure espropriative.

L'orientamento pressoché maggioritario ha privilegiato la teoria della vendita forzata come

trasferimento coattivo

(ex multis, Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 2004, n. 3970) che si realizza mediante la pronuncia del decreto di trasferimento: benché non sussista differenza da un punto di vista economico tra vendita forzata e vendita contrattuale, certamente vi è differenza da un punto di vista giuridico (Satta, Diritto processuale civile, IX ed., Padova, 1981).

In particolare, l'art. 2921 c.c., ritenuto applicabile anche alla vendita mobiliare, milita in favore della natura processuale della vendita forzata, laddove tutela l'acquirente del bene espropriato evitto mediante l'azione generale di ripetizione dell'indebito (art. 2033 c.c.), esercitabile nei confronti dei creditori per la somma ricavata e del debitore per l'eventuale residuo.

Quanto alla

tipologia di acquisto

– a titolo originario o a titolo derivativo – si osserva che la regola generale posta dall'art. 2919 c.c. sull'effetto traslativo della vendita forzata subisce una deroga specifica in caso di vendita mobiliare, in ragione del bene oggetto dell'espropriazione.

Difatti, l'attuale disciplina codicistica degli effetti sostanziali della vendita forzata di beni mobili presenta alcune peculiarità in virtù del rilievo preminente dell'effetto dell'acquisto del possesso del bene staggito in buona fede (art. 1153 c.p.c.). Il regime di circolazione dei beni mobili (art. 1153 c.p.c.) può condurre al perfezionamento di acquisti a titolo originario, poiché l'acquirente in buona fede che entra in possesso del bene espropriato può divenire titolare di un diritto che previamente spettava a un terzo, cioè – in deroga alla comune efficacia traslativa a titolo derivativo della vendita – a un soggetto diverso dal debitore.

In particolare, l'art. 2920 c.c., nel conflitto tra il terzo che vanti diritti di proprietà o altri diritti reali sul bene mobile (ma che non abbia fatto valere le sue ragioni sulla somma ricavata) e l'acquirente in vendita forzata in buona fede, accorda preferenza al secondo, sempreché la buona fede esista al momento del trasferimento del possesso (art. 1153, comma 1, c.c.). Parimenti, le locazioni di beni mobili non registrati non sono opponibili al terzo acquirente di buona fede (secondo il principio emptio non tollit locatum: art. 2923 c.c.).

La disciplina della liquidazione forzata dei beni mobili risulta differenziata a seconda della

tipologia di bene oggetto della procedura espropriativa

. In ipotesi di titoli di credito e altre cose il cui valore risulta dal listino di borsa o di mercato, l'art. 529 c.p.c., in prospettiva di economia processuale, prevede che si possa procedere all'assegnazione senza un previo tentativo di vendita, poiché il prezzo risulta dal listino: anche se si procedesse alla vendita, presumibilmente non si realizzerebbe un valore maggiore. Secondo parte della dottrina si tratta di ipotesi di assegnazione-vendita (Satta, sub art. 529 c.p.c., in Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965), mentre secondo altra parte anche di assegnazione satisfattiva (Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962).

Se oggetto della procedura espropriativa sono oggetti d'oro e d'argento, l'assegnazione è dovuta dopo un solo tentativo di vendita fallito (art. 539 c.p.c.). Per tutti gli altri beni che non hanno un prezzo di mercato risultante da listini o mercuriali, la vendita forzata costituisce un passaggio obbligato, per cui si potrà procedere ad assegnazione solo dopo un primo tentativo di vendita fallito. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che le ipotesi disciplinate dall'art. 529 c.p.c. sono da considerarsi tassative, con la conseguenza che, al di fuori di tali casi, il debitore esecutato che vanti un interesse giuridicamente rilevante al regolare svolgimento dell'esecuzione e alla realizzazione del giusto prezzo del bene pignorato, è legittimato ad opporsi al provvedimento con cui è disposta l'assegnazione al creditore del bene pignorato, senza il previo esperimento di un tentativo di vendita (Cass. civ., 7 maggio 1975, n. 1776).

Nell'

espropriazione presso terzi

, la liquidazione dei beni mobili segue lo stesso regime previsto per la liquidazione mobiliare dall'art. 529 e ss. c.p.c., mentre qualora siano pignorati crediti del debitore il discrimen tra vendita e assegnazione sarà dato dall'immediata o prossima esigibilità del credito: i crediti scaduti o che scadano entro novanta giorni devono essere assegnati senza un previo tentativo di vendita.

L'istanza di vendita e l'udienza per la determinazione delle modalità di vendita mobiliare

La vendita forzata inizia con l'

istanza di vendita o assegnazione dei beni pignorati

– nell'espropriazione mobiliare non preventivamente individuati dal creditore – che è atto di impulso processuale immediatamente successivo al pignoramento, da proporsi nella forma del ricorso scritto ovvero della dichiarazione orale se il giudice abbia disposto udienza ex art. 485 c.p.c. (Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, III, Roma, 1956). La presentazione dell'istanza è soggetta al

termine

dilatorio di dieci giorni dal compimento del pignoramento (salvo che si tratti di cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l'assegnazione o la vendita immediata) e al termine acceleratorio di novanta giorni, posto a pena di inefficacia del pignoramento medesimo (art. 497 c.p.c.). Il termine dilatorio è funzionale a consentire al debitore di evitare la vendita o l'assegnazione dei beni (Cass. civ., 16 gennaio 2003, n. 564); di conseguenza, la sua inosservanza dà luogo a nullità sanabile, non è rilevabile d'ufficio dal g.e. né deducibile oltre l'udienza fissata per l'autorizzazione della vendita (che ha funzione preclusiva rispetto agli atti compiuti in data anteriore alla stessa, a meno che il debitore non alleghi di non avere ricevuto comunicazione del decreto di fissazione dell'udienza). La giurisprudenza non è unanime nell'individuazione del rimedio esperibile da parte del debitore: secondo un primo orientamento, il debitore sarà tenuto ad impugnare il decreto di fissazione dell'udienza mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Un secondo orientamento esclude invece l'opposizione formale avverso il decreto di fissazione, ritenendo che si tratti di un atto endoprocessuale non autonomamente impugnabile. Un terzo indirizzo ritiene infine che il debitore, al fine di far dichiarare l'inefficacia del pignoramento e l'estinzione dell'esecuzione, deve proporre istanza di estinzione del processo esecutivo nella sua prima difesa successiva al verificarsi del fatto estintivo, ovvero nell'udienza per la fissazione della vendita (Cass. civ., 16 giugno2003, n. 9624).

Quanto alla

legittimazione

a formulare l'istanza, si ritiene che spetti al creditore pignorante e – nel caso di trasformazione cd. soggettiva del titolo esecutivo (Cass. civ., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61) – anche degli altri creditori muniti di titolo esecutivo abilitati a porre in essere gli atti di impulso della procedura esecutiva.

A seguito dell'istanza, il giudice dell'esecuzione fissa l'

udienza per l'audizione delle parti

ai sensi dell'art. 530, comma 1, c.p.c., che costituisce il termine ultimo, a pena di decadenza, per la proposizione di eventuali opposizioni agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) e, a seguito della recente riforma dell'art. 615 c.p.c. introdotta con d.l. 3 maggio 206, n. 59 (conv. con modif. in l. n. 119/2016), anche dell'opposizione all'esecuzione. Il legislatore ha così accolto quelle istanze della dottrina che riteneva che nella successiva fase di distribuzione non potesse esservi spazio per un'opposizione all'esecuzione, dovendo tutte le possibili contestazioni al riparto essere convogliate nell'opposizione distributiva (Capponi, Manuale, cit.), mentre le contestazioni sull'an dell'esecuzione dovessero essere incardinate in un momento antecedente.

La previsione risponde al generale principio di stabilità degli effetti della vendita forzata (art. 2929 c.c.), in forza del quale gli eventuali motivi di invalidazione della vendita a causa del mancato rispetto di norme del processo espropriativo devono essere fatti valere con l'opposizione agli atti esecutivi nell'ambito di quel processo. All'udienza possono prospettarsi tre diverse situazioni (art. 530, comma 3, c.p.c.): se nessuna opposizione è proposta ovvero sulle opposizioni interviene l'accordo delle parti, il g.e. disporrà con ordinanza l'assegnazione o la vendita; viceversa, l'opposizione viene decisa con sentenza. Se rigettata, il g.e. con successiva ordinanza dispone la vendita o l'assegnazione; se accolta (sempre che medio tempore non si sia perfezionato il meccanismo di sospensione-estinzione ex art. 624 c.p.c.), il g.e. dispone la rinnovazione degli atti nulli e successivamente la vendita e l'assegnazione, sempreché la rinnovazione sia possibile: diversamente, il giudice dichiara l'estinzione del processo esecutivo.

In un crescendum di apertura verso l'impiego della telematica nel processo esecutivo (avviato con la l. 22 febbraio 2010, n. 24, poi l. 11 agosto 2014, n. 114), il legislatore ha optato per la gara telematica quale procedura ordinaria e obbligatoria di vendita forzata (art. 530, comma 6, c.p.c.), salvo che le modalità telematiche siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per le esigenze di celerità processuale.

Infine, è previsto un procedimento semplificato per l'ipotesi della cd.

piccola espropriazione mobiliare

, che, ai sensi dell'art. 525, comma 2, c.p.c., ricorre allorché il valore dei beni pignorati, determinato approssimativamente ex art. 518 c.p.c. dall'ufficiale giudiziario all'atto del pignoramento, non sia superiore ai ventimila euro. In tal caso, il termine per spiegare intervento tempestivo è anticipato al momento della presentazione, ai sensi dell'art. 529 c.p.c., dell'istanza di vendita o di assegnazione. In considerazione del ristretto margine di tempo (dieci giorni) a disposizione per l'intervento, la dottrina ammette che dovrebbe riconoscersi ai creditori interessati la possibilità di impugnare (in sede di distribuzione del ricavato: art. 512 c.p.c.) il presupposto applicativo della disciplina della piccola espropriazione mobiliare, cioè la stima approssimativa del valore del compendio pignorato compiuta dall'ufficiale giudiziario (Carnacini, La piccola espropriazione mobiliare, in AA.VV., Scritti giuridici in onore di Francesco Carnelutti, II, Padova, 1950).

Se nessun creditore spiega intervento tempestivo, il g.e. provvede direttamente sull'istanza di assegnazione o di vendita con decreto, senza la previa udienza di comparizione delle parti e senza neppure sentire il debitore. In assenza della celebrazione dell'udienza, deve ritenersi che le parti non incorrano nella decadenza prevista per l'opposizione agli atti esecutivi, per la proposizione della quale rimane fermo soltanto il termine stabilito dall'art. 617, comma 2, c.p.c.

Diversamente, qualora vi siano dei creditori intervenuti tempestivamente - il g.e. deve fissare un'udienza destinata all'audizione degli stessi e del creditore procedente. Pertanto, non hanno diritto né ad essere convocati, né a partecipare all'udienza i creditori che, pure essendo intervenuti prima del decreto di fissazione della medesima, sono tardivi per aver depositato ricorso ex art. 499 c.p.c. dopo la presentazione dell'istanza di assegnazione o di vendita.

Le modalità della vendita mobiliare

In ossequio ai principi di trasparenza, uguaglianza e parità delle condizioni iniziali tra tutti i potenziali partecipanti alla gara, il provvedimento del g.e. con cui è disposta la vendita è soggetto – entro il termine di dieci giorni (art. 530, comma 7, c.p.c.) – alla

pubblicità ordinaria

di cui al comma 1 dell'art. 490 c.p.c. (affissione per tre giorni continui nell'albo del tribunale davanti al quale si svolge il procedimento esecutivo; adempimento obbligatorio dopo il d.l. n. 83/2015) e, a discrezione del giudice, anche alla pubblicità che avviene attraverso l'inserzione dell'avviso di vendita in appositi siti internet, almeno dieci giorni prima della data dell'incanto.

Alla norma generale di cui all'art. 503 c.p.c. (rubricato “Modi della vendita forzata”) che attribuisce al g.e. la scelta circa la possibilità di ricorrere alla vendita ai pubblici incanti o meno, seguono le disposizioni particolari sulle modalità di vendita mobiliare: vendita all'incanto e vendita a mezzo di commissionario.

La

vendita all'incanto

garantisce maggiore trasparenza e certezza delle operazioni, in quanto si svolge ai pubblici incanti con affidamento al cancelliere o all'ufficiale giudiziario all'uopo autorizzato (art. 534, comma 1, c.p.c.); inoltre, l'avviso del provvedimento di autorizzazione della vendita è soggetto obbligatoriamente a pubblicità ordinaria (art. 490, comma 1, c.p.c.) e, a discrezione del giudice, anche a pubblicità straordinaria (art. 490, comma 3, c.p.c.) sui quotidiani a diffusione locale, nazionale o divulgato con le forme della pubblicità commerciale.

La mancanza o l'irregolarità del compimento delle forme di pubblicità sarebbero soggette a regimi giuridici diverse a seconda che le stesse riguardino le forme ordinarie ovvero quelle straordinarie (Satta, sub art. 503 c.p.c., in Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965): le prime produrrebbero la nullità dell'atto di trasferimento coattivo, ma – in forza del disposto dell'art. 2929 c.c. – la stessa dovrebbe essere rilevata (nelle forme dell'opposizione agli atti esecutivi) prima della vendita forzata, non potendo altrimenti essere opposta all'aggiudicatario o all'acquirente. Diversamente, la mancanza o l'irregolarità attinenti le forme di pubblicità straordinaria potrebbe soltanto determinare una ragione di risarcimento dei danni nei confronti di chi era obbligato ad eseguirla.

La giurisprudenza di legittimità ritiene invece che le forme di pubblicità stabilite dal giudice dell'esecuzione a norma dell'art. 490 c.p.c., siano atti strutturali del procedimento di vendita e la loro mancanza o vizio si rifletta sull'ordinanza di aggiudicazione, con conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all'art. 2929 c.c.: in tal caso, infatti, la nullità degli atti presupposti si riverbera sul preteso atto di trasferimento ed è opponibile all'aggiudicatario (Cass. civ., 23 novembre 1985, n. 5826; Cass. civ., 10 gennaio 2003, n. 193; Cass. civ., 9 luglio 2019, n. 18344).

Il provvedimento di autorizzazione della vendita stabilisce il giorno, l'ora e il luogo in cui deve eseguirsi la vendita, indica il prezzo base, nonché, qualora la vendita avvenga a lotti, l'importo globale fino a cui la vendita deve proseguire ai sensi dell'art. 504 c.p.c. (Castoro, Il processo d'esecuzione nel suo aspetto pratico, VIII ed., Milano, 1998); può altresì eventualmente indicare l'importo della cauzione, il termine per il versamento, nonché la misura minima del rilancio; ove queste indicazioni non siano previste, al riguardo può provvedere il soggetto incaricato dell'incanto.

Il giudice dell'esecuzione è in ogni caso investito dell'ulteriore potere discrezionale di stabilire se affidare lo svolgimento delle operazioni di vendita con incanto al cancelliere, all'ufficiale giudiziario, o al competente Istituto vendite giudiziarie.

Nella vendita mobiliare all'incanto il giudice stabilisce un prezzo minimo per l'incanto, fissa la data e nei giorni antecedenti alla vendita l'incaricato si reca presso il custode al fine di prelevare il bene mobile staggito: la presenza fisica del bene mobile durante le operazioni di vendita sembra escludere – a differenza di quanto avviene nella vendita immobiliare – le possibilità di vendita di aiud pro alio.

Nella vendita all'incanto dei beni mobili, il trasferimento della proprietà in capo all'acquirente in vendita forzata avviene al momento del pagamento del prezzo, con sostanziale differenza rispetto al regime del trasferimento della proprietà nella compravendita contrattuale fondato sul principio consensualistico.

La l. n. 24/2010 ha abrogato il primo comma dell'art. 540 c.p.c., in tal guisa eliminando l'obbligo del pagamento per contanti, e introdotto l'art. 169-quater disp. att. c.p.c., in base al quale il prezzo di acquisto può essere versato con sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di credito o prepagate o con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica disponibili nei circuiti bancario e postale.

Con la riforma introdotta dalla l. n. 52/2006, la

vendita a mezzo di commissionario

(artt. 532-533 c.p.c.) è stata equiparata alla vendita senza incanto (Farina, Il nuovo regime della vendita e dell'assegnazione nell'espropriazione mobiliare, in REF, 2007), con una scelta discrezione del g.e. in favore dell'Istituto vendite giudiziarie o di altro soggetto specializzato ex art. 169-sexies disp.att. c.p.c. se i beni pignorati presentino caratteristiche peculiari. Il commissionario procede alla vendita in totale autonomia, per cui risponde degli eventuali danni cagionati secondo il modello della responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.). Peraltro, egli è l'unico responsabile per le operazioni di vendita, anche per quanto riguarda l'eventuale inadempienza dell'acquirente cui sia stato venduto il credito. Al commissionario spetta un compenso (art. 33 del d.m. n. 109/1997), che è stabilito dal giudice e costituisce titolo esecutivo a carico del creditore procedente che l'abbia anticipato, anche nell'ipotesi di estinzione della procedura esecutiva o se la vendita non ha avuto luogo per cause non dipendenti dal detto commissionario (Cass. civ., 28 marzo 2017, n. 7932).

La l. n. 24/2010 ha modificato l'art. 533 c.p.c., prevedendo la possibilità per gli interessati all'acquisto di esaminare le cose poste in vendita anche con modalità telematiche almeno tre giorni prima della data fissata per la vendita. Peraltro, i soggetti incaricati sono tenuti a fornire al termine di ciascun semestre un prospetto informativo, redatto su supporto informatico, riepilogativo di tutte le vendite effettuate nel periodo al g.e., al presidente del tribunale e all'ufficiale giudiziario dirigente. Il prospetto deve contenere indicazioni, per ciascuna procedura esecutiva, della tipologia dei beni pignorati, del valore ad essi attribuito ai sensi dell'art. 518 c.p.c., della stima effettuata dall'esperto e del prezzo di vendita (art. 169-quinquies disp. att. c.p.c.).

La vendita avviene con un atto che ha natura, caratteristiche ed effetti di un ordinario atto negoziale di compravendita (Luiso, Diritto processuale civile, III, VII ed., Milano, 2013), in quanto l'atto traslativo interviene tra il terzo delegato e l'acquirente in vendita forzata e gli effetti sono solo recepiti nel processo esecutivo.

La vendita forzata di beni mobili registrati

Nell'ottica di maggiore competitività di sistema, il legislatore del 2015 (d.l. n. 83/2015, conv. con modif. in l. n. 132/2015), ha modificato il testo dell'art. 534-bis c.p.c., convertendo la facoltà discrezionale di delega degli adempimenti liquidativi nell'espropriazione di beni mobili registrati a professionisti esterni all'esecuzione in obbligo. L'attuale disciplina della vendita forzata di beni mobili registrati, modellata su quella della vendita su delega di beni immobili (art. 591-bis c.p.c.) prevede infatti che il g.e. deleghi le

operazioni di vendita

, con o senza incanto, all'Istituto vendite giudiziarie o, in mancanza, ad un professionista iscritto nell'apposito elenco del tribunale ai sensi dell'art. 179-ter disp. att. c.p.c.

Parte della dottrina ha ritenuto che la delega debba essere esclusa per le esecuzioni speciali che seguono procedimenti particolari (espropriazione di navi, galleggianti, aeromobili e autoveicoli: v. anche par. 7), mentre trovi applicazione per le procedure esecutive speciali che si ricollegano all'espropriazione mobiliare (Soldi, 2017). La giurisprudenza aveva esteso l'ambito applicativo della delega anche alle quote di partecipazione a società a responsabilità limitata che, sebbene non rientrino in senso tecnico tra i beni mobili iscritti nei pubblici registri di cui all'art. 534-bis c.p.c., richiedono le medesime esigenze tecniche, pratiche e normative che hanno indotto il legislatore a prevedere e regolare espressamente l'intervento di un ausiliario particolarmente qualificato nell'ambito dei procedimenti di esecuzione forzata aventi ad oggetto i beni di maggior rilievo economico (Trib. Napoli, 8 luglio 2002).

La previsione dell'

obbligo di delega

ha posto l'esigenza di strutturare un regime di controllo degli atti dei professionisti, nonché dei provvedimenti del g.e. che operi il controllo sugli atti dei professionisti/commissionari: l'art. 534-ter c.p.c. prevede infatti il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o commissionario e del decreto del g.e. (analogamente a quanto previsto dall'art. 26 l. fall. contro i decreti del giudice delegato) che risolve le difficoltà legate alla vendita operata dal delegato. Parte della dottrina ritiene che si tratti di una vera e propria impugnazione degli atti del delegato/commissionario (Soldi, 2017). Su questa linea interpretativa, la giurisprudenza di legittimità ha escluso l'esperibilità dell'opposizione agli atti esecutivi direttamente avverso gli atti del professionista o commissionario (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2006, n. 14707; Cass. civ., sez. VI, ord., 20 gennaio 2011, n. 1335). Comunque, già prima della riforma del 2015, nella prospettazione della giurisprudenza, l'art. 591-ter c.p.c. espressamente richiamato dall'art. 534-bis c.p.c., nel disporre che «restano ferme le disposizioni di cui all'art. 617», doveva essere interpretato nel senso che l'opposizione agli atti esecutivi fosse il mezzo esperibile contro le ordinanze del g.e. pronunciate a seguito del reclamo delle parti del processo esecutivo, e non anche il mezzo per contestare gli atti del delegato.

Il ricorso al g.e. non ha effetti sospensivi automatici, ma è il giudice stesso a poter disporre la sospensione discrezionalmente concorrendo gravi motivi.

Il legislatore del 2015 ha poi sostituito il rimedio impugnatorio originariamente previsto, ossia l'opposizione agli atti esecutivi, con il reclamo cautelare ex art 669-terdeciesc.p.c. avverso un generico «provvedimento del giudice» (art. 534-ter, comma 2, c.p.c.). La previsione sibillina ha dato adito a divergenze interpretative. Per alcuni autori (Saletti, Commento all'art. 591-ter c.p.c. in Saletti-Vanz-Vincre, Le nuove riforme dell'esecuzione forzata, Torino, 2016) il provvedimento de quo sarebbe l'ordinanza che decide sul reclamo, con alcune contraddizioni di sistema: il successivo decreto di trasferimento resterebbe comunque impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi per vizi suoi propri nonché per vizi dei atti precedenti e il provvedimento reso dal collegio, per sua natura, è inidoneo al giudicato e non è suscettibile di ulteriori impugnazioni; ne emergerebbe un problema di coordinamento tra il provvedimento “cautelare” non definitivo ex art. 2909 c.c. e la sentenza di definizione dell'opposizione agli atti passata in giudicato.

Altri (Capponi, Manuale, cit.), prospettando un'opinione preferibile da un punto di vista sistematico, affermano che il riferimento vada operato all'ordinanza sulla sospensione – in linea con quanto previsto dall'art. 624, comma 2, c.p.c., di cui sono richiamati anche i “gravi motivi” –, e non all'ordinanza che definisce il reclamo (che continuerebbe ad essere impugnabile con l'opposizione agli atti). Evidenti sono le conseguenze dell'una o dell'altra opzione interpretativa. Se si ammette che il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. sia proponibile avverso l'ordinanza del g.e. sul ricorso, se ne deduce che – posto che la proposizione del reclamo cautelare non sospende ex se il provvedimento cautelare e in assenza della sospensiva facoltativa della vendita – l'unica forma di inibitoria (dell'efficacia del provvedimento reclamato) di cui potrà beneficiare l'interessato sarà quella disposta ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 669-terdecies c.p.c., e sarà dunque la maggiore celerità della decisione assunta all'esito del rimedio a dover sopperire alla mancanza (sostanziale) del potere di sospensione (Farina, L'ennesima espropriazione immobiliare «efficiente» (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata, in Riv. dir. proc., 2016). Viceversa, ove si ritenesse che il rimedio cautelare sia esperibile avverso l'ordinanza di sospensione, non si porrebbe nemmeno un problema di tutela inibitoria, posto che – come supra ricordato – la proposizione del reclamo non sospende automaticamente l'efficacia del provvedimento impugnato.

La fase distributiva e le controversie ex art. 512 c.p.c.

La fase distributiva della procedura di espropriazione mobiliare può svolgersi secondo due modalità:

distribuzione giudiziale

(comune anche all'espropriazione immobiliare) e

distribuzione amichevole o concordata

. A differenza dell'espropriazione immobiliare, la distribuzione del ricavato nella vendita mobiliare presuppone un'istanza di parte, che può promanare anche da uno solo dei creditori (anche sine titulo).

La distribuzione amichevole si attua mediante un piano concordato dai creditori, che può essere predisposto fuori dal processo in forma scritta e presentato congiuntamente da tutti i creditori ovvero perfezionarsi nell'udienza dedicata alla distribuzione del ricavato attraverso la manifestazione verbale di consenso al progetto predisposto da uno dei creditori ad opera di tutti gli altri e nel qual caso l'accordo di distribuzione deve essere recepito nel processo verbale (Garbagnati, Il concorso dei creditori nel processo d'espropriazione, Milano, 1959).

È discusso se all'

accordo fra creditori sul piano di riparto

debba aderire anche il debitore, il quale – giusto il disposto dell'art. 541 c.p.c. – dev'essere sentito dal g.e. prima dell'omologazione dell'accordo. Secondo alcuni autori (Satta, sub art. 541, in Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965; Denti, Distribuzione della somma ricavata, in ED, XIII, Milano, 1964), la mancata approvazione del piano da parte del debitore non potrebbe in alcun modo pregiudicare l'approvazione del piano, intervenendo l'accordo solo fra creditori e non avendo il debitore alcun interesse a sindacare le concrete modalità di distribuzione; mentre avrebbe comunque a disposizione lo strumento delle controversie distributive di cui all'art. 512 c.p.c. per eventuali contestazioni circa l'an e il quantum dei crediti.

Secondo altra dottrina, invece, l'accordo de quo avrebbe natura di negozio a carattere transattivo, di cui sono parti tutti i creditori e il debitore che – a norma dell'art. 541 cit. – dev'essere sentito proprio allo scopo di saggiarne l'adesione o meno al piano di riparto; il debitore ha infatti diritto alla restituzione dell'eventuale residuo in sede di distribuzione ed è sempre e comunque portatore dell'interesse ad escludere un creditore illegittimo (Capponi, Manuale, cit., p. 348; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, p. 404). Pertanto, la mancanza di accettazione ad opera del debitore escluderebbe l'applicabilità delle norme in materia di distribuzione amichevole di cui all'art. 541, imponendo, invece, l'osservanza delle disposizioni relative alla distribuzione giudiziale ex art. 542 c.p.c.

Se i creditori non raggiungono l'accordo ovvero il giudice non lo approva formalmente, ciascuno di creditori può richiedere che si proceda alla distribuzione giudiziale, che nell'espropriazione mobiliare mutua le forme di quella immobiliare con la successione delle diverse fasi di formazione del progetto, sottoposizione del piano al contraddittorio delle parti, approvazione espressa o tacita e attribuzione delle singole quote agli aventi diritto.

Le eventuali controversie che dovessero insorgere in fase distributiva sono disciplinate dal novellato art. 512 c.p.c. (l. n. 80/2005), che attribuisce al g.e. il potere si svolgere una

cognizione sommaria

– con fini interni all'esecuzione – delle contestazioni tra creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'esecuzione circa la sussistenza o l'ammontare dei crediti ovvero circa la sussistenza dei diritti di prelazione ed eventualmente disporre la sospensione della distribuzione (art. 512, comma 2, c.p.c.). L'ordinanza che definisce la controversia è impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi, al fine di consentire un accertamento pieno, con efficacia di giudicato, delle questioni controverse.

La citata riforma della disciplina dell'opposizione all'esecuzione (d.l. n. 59/2016), che ha introdotto uno sbarramento temporale alla proponibilità della stessa coincidente con l'udienza ex art. 530 c.p.c. ha fatto venir meno i problemi di coordinamento tra le opposizioni all'esecuzione e le controversie distributive ex art. 512 c.p.c. Lo strumento di raccordo tra i due incidenti di cognizione – il primo esoprocessuale e il secondo endoprocessuale – non sarà più la sospensione dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c. in sede di opposizione all'esecuzione (adesso cronologicamente antecedente alla fase distributiva), bensì la sospensione disposta eventualmente dal g.e. ai sensi dell'art. 512, comma 2, c.p.c. in sede di controversia distributiva. In particolare, la sospensione (totale o parziale) della fase distributiva sarà valido strumento di tutela con cui il g.e. prenderà atto della sussistenza di un giudizio di cognizione già altrove pendente in ordine all'accertamento del diritto contestato, con una valutazione discrezionale disancorata – per opzione legislativa – dal presupposto dei “gravi motivi” previsto invece dall'art. 624 c.p.c..

La vendita mobiliare forzata e le altre forme di esecuzione mobiliare

Accanto alla vendita forzata di beni mobili pignorati, si registrano anche

forme speciali

di vendita mobiliare ammesse dalla clausola di salvaguardia dell'art. 502 c.p.c.: la vendita delle cose date in pegno ed associate a privilegio speciale (artt. 2795 e ss. e 2756 c.c.), la vendita e l'acquisto coattivi o in danno del compratore o del venditore (artt. 1515 e 1516 c.c.) e la vendita coattiva di autoveicoli ipotecati (artt. 7 e 9 del R.d. 15 marzo 1927, n. 436).

Il denominatore comune delle fattispecie in questione è dato dal fatto che

la procedura di vendita prescinde dal possesso del titolo esecutivo

; mentre però nei primi due casi si verte in ipotesi di vere e proprie esecuzioni di carattere privatistico (Soldi, 2017), tali da costituire appiglio per i fautori della teoria contrattualistica della vendita forzata, mentre la terza ha carattere di procedimento giurisdizionale a carattere espropriativo speciale condotto dal giudice dell'esecuzione.

Riferimenti
  • Capponi, Manuale di diritto dell'esecuzione civile, IV edizione, Torino;
  • Musio,Per una rilettura civilistica della vendita forzata, in Europa e Diritto Privato, fasc.4, 1° dicembre 2018, pag. 1261;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, VI edizione, Padova.

Fonte: il Processo Civile

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