“Interessi primordiali dei soci” e competenze implicite dell'assemblea
02 Marzo 2020
Massima
In materia di società per azioni, si ravvisa una competenza implicita dell'assemblea in relazione a tutte quelle decisioni che comportano una sostanziale modifica dell'oggetto sociale o che comunque attengono o influiscono in maniera significativa sulla struttura e sull'organizzazione dell'impresa, esulando le stesse dai poteri strettamente gestori che la legge attribuisce “esclusivamente” all'organo amministrativo (art. 2380-bis c.c.). Si tratta invero di decisioni che incidono su “interessi primordiali dei soci” e che, proprio in ragione dell'impatto in termini di alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento, debbono essere riservate a coloro che tale rischio corrono, ancorché non rientranti nel catalogo delle competenze tipicamente assembleari delineato dal codice civile e dalle leggi speciali. Il caso
La vicenda su cui si è pronunciato il Tribunale di Roma prende le mosse da talune condotte poste in essere dall'amministratore unico di una holding di partecipazioni costituita in forma di società per azioni il quale, adducendo generiche ragioni di riservatezza, negava ad un socio di minoranza l'esercizio di rilevanti diritti informativi in sede assembleare. Più in particolare, tale socio di minoranza aveva chiesto ripetutamente all'amministratore unico di poter esaminare la bozza di un accordo quadro da sottoscriversi ai sensi del quale la medesima società avrebbe cessato di detenere la partecipazione totalitaria nel capitale sociale della sua unica controllata ed avrebbe assunto ingenti obbligazioni debitorie al fine di ripianare le perdite pregresse dalla stessa subite. Per espressa previsione statutaria, al fine di poter dare esecuzione a tale operazione, l'amministratore unico necessitava di un'autorizzazione assembleare, autorizzazione nei fatti conferita dall'assemblea nel contesto di un'adunanza conclusasi con delibera assunta con voto favorevole dei soci diversi dal ricorrente, giacché quest'ultimo non aveva presenziato alla riunione lamentando di non essere adeguatamente informato in relazione agli argomenti posti all'ordine del giorno. A fronte dei ripetuti rifiuti opposti, l'azionista – oltre a promuovere un'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore unico – impugnava dunque la delibera assembleare, inter alia, per difetto di informazione ed agiva inoltre in via d'urgenza dinanzi al Tribunale chiedendo di ordinarsi la consegna di copia del suddetto accordo quadro, in virtù di un'asserita violazione del principio di parità di trattamento. Le questioni e la soluzione giuridica
In relazione ai fatti sopra esposti il Tribunale romano si è trovato a dover prendere una posizione circa i diritti di informazione dell'azionista in tal senso pretermesso, arrivando successivamente a tratteggiare una linea di confine tra le competenze gestorie dell'organo amministrativo e quelle invece spettanti all'assemblea di una società per azioni, e ciò sulla base delle considerazioni che seguono. In primo luogo, il Tribunale romano, pur riconoscendo e prendendo atto che il dettato di cui all'art. 2422 c.c. si limita a riconoscere ai soci il diritto di esaminare esclusivamente i libri sociali ivi richiamati (i.e., libro dei soci e libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee), ha esplicitamente riconosciuto un diritto informativo che prescinde dai limiti sopra citati laddove la documentazione in questione attenga ad operazioni incidenti su “interessi primordiali dei soci”, per tali intendendosi quelle operazioni che influiscono in maniera significativa sulla struttura ed organizzazione dell'impresa. Precisa infatti il Tribunale che in relazione a tali operazioni viene meno l'esclusiva competenza gestoria che l'art. 2380-bis c.c. riserva all'organo amministrativo, venendo invece in rilievo una necessaria competenza “implicita” assembleare (e non solo una mera autorizzazione assembleare, che nel caso di specie è stata neutralizzata, avendo il Tribunale reputato nulla la clausola statutaria che riserva all'approvazione assembleare una serie indefinita di decisioni gestorie). Nel percorso interpretativo seguito dal giudice di prime cure viene condivisa e sostenuta la tesi secondo cui le operazioni volte all'attuazione dell'oggetto sociale sono riservate esclusivamente all'organo amministrativo, in conformità a quanto disposto dall'art. 2380-bis c.c. (cd. “poteri di gestione”), mentre le operazioni che modificano l'oggetto sociale statutario (anziché attuarlo), nonché quelle aventi un potenziale impatto sulle condizioni di rischio dell'investimento del singolo azionista, vengono attribuite alla competenza dell'assemblea sulla base di una lettura parzialmente estensiva dell'art. 2361 c.c. (cd. “poteri di organizzazione”). Tanto opportunamente considerato, viene ritenuto abusivo e contrario ai canoni di buona fede il comportamento ostativo dell'amministratore unico nei termini di cui sopra e viene pertanto riconosciuto all'azionista di minoranza il diritto di essere informato in merito agli aspetti ed alle conseguenze economico–patrimoniali dell'operazione, giacché non risulta possibile opporre ragioni di riservatezza ai membri dell'organo collegiale competente a deliberarne l'esecuzione.
Osservazioni
Partendo dal tema sollevato dalle parti, ovverosia la questione relativa al se i diritti di informazione di un socio di società per azioni possano estendersi oltre i limiti dettati dall'art. 2422 c.c. allorquando il socio sia chiamato ad esercitare il proprio diritto di voto in sede assembleare in merito a decisioni afferenti “interessi primordiali dei soci”, il giudice non pare aver esitazioni nel ritenere sussistente tale diritto informativo ad “oggetto ampliato” (i.e., non limitato al contenuto del libro dei soci e del libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblea). Ed, invero, è pacifico in dottrina che in ogni occasione in cui l'assemblea sia chiamata a deliberare in materia di gestione dell'impresa (e, dunque, a prescindere dal fatto che si tratti di deliberazioni decisorie, autorizzative o consultive), gli amministratori, in forza di un dovere di collaborazione fondato sui precetti di correttezza e buona fede, siano tenuti a fornire ai soci tutte le informazioni necessarie per addivenire ad una decisione consapevole e ad illustrarne le possibili conseguenze (si veda, per tutti, V. Pinto, Commento sub art. 2364, in Le Società per azioni – Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2016, 858). Chiarita in questi termini la questione relativa ai diritti informativi, pare opportuno proseguire la trattazione analizzando il vero fulcro del ragionamento fatto proprio dal Tribunale, in ogni caso strettamente collegato al predetto ragionamento relativo ai diritti informativi. Invero, la pronuncia in esame propone (e apre le porte a) un'ampia e particolarmente significativa disamina in merito alla ripartizione di competenze gestorie tra organo amministrativo e assemblea di società per azioni. Come menzionato, vengono tratteggiati i confini tra le competenze gestorie dei due organi sociali, e ciò ancorché alcuni tra i più autorevoli esponenti della dottrina societaristica – che a più riprese si sono interrogati sul tema – risultano tuttora discordi (si sono espressi in maniera difforme, tra gli altri, F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. a dieci anni dalla riforma del 2003, 2013, 20 ss.; N. Abriani, Assemblea, in Le società per azioni, a cura di Abriani, Ambrosini, Cagnasso, Montalenti, 2010, 433 ss., ai quali si rimanda per opportuni approfondimenti). La tesi che viene accolta dal Tribunale di Roma fa capo a quella parte della dottrina (si veda, P. Abbadessa, La gestione dell'impresa nella società per azioni. Profili organizzativi, 1975, 40 ss.); G.B. Portale, Rapporti tra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum G.F. Campobasso, 2006, 5 ss.; G.B. Portale e N. De Luca, Il sovrano non ha abdicato. Interessi primordiali degli azionisti e competenze implicite dell'assemblea, in BBTC, 2019, 765 ss.; V. Pinto, op. cit., 856 ss.; S. Cerrato, Il ruolo dell'assemblea nella gestione dell'impresa: il “sovrano” ha veramente abdicato?, in Rivista di diritto civile, 2009, 133 ss.) che parte dalla nozione di “interessi primordiali dei soci” per giungere ad escludere dalla competenza gestoria che l'art. 2380-bis c.c. riserva all'organo amministrativo tutte quelle operazioni che proprio per il loro diretto o indiretto impatto sugli “interessi patrimoniali” del singolo azionista, debbono giocoforza passare da una decisione assembleare. I fautori di questa tesi, seppur con sfumature talvolta differenti, partono da un'esegesi dello stesso art. 2380-bis c.c., norma che sancisce la competenza esclusiva (e dunque anche la correlativa responsabilità) degli amministratori per la gestione sociale, per tale intendendosi le “operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale”. Merita accennare a tal proposito anche il fenomeno di “eccesso di delega” che ha caratterizzato la genesi della norma de quo, e ciò nella misura in cui la legge delega di riforma del diritto societario (Legge 3 ottobre 2001, n. 366) si limitava ad imporre una regola di mera “responsabilità” esclusiva dell'organo amministrativo per la gestione sociale e non anche, invece, di “competenza” (per approfondimenti sul tema si veda, inter alia, S. Cerrato, op. cit., 140 ss). Le argomentazioni dottrinali fatte proprie dal giudice di prime cure partono altresì dall'analisi di entrambi i commi dell'art. 2361 c.c., secondo cui, da un lato, l'assunzione di partecipazioni in altre imprese non è consentita se ne risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale statutario e, dall'altro, le operazioni di acquisto di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata dei soci debbono essere deliberate dall'assemblea. La dottrina de quo ha operato una analogia legis, di talché le operazioni che hanno quale risultato la modifica dell'oggetto sociale, così come le operazioni destinate a coinvolgere l'intero (o quasi l'intero) patrimonio sociale e ad esporre gli azionisti ad un rischio concernente il proprio investimento debbano egualmente essere decise con delibera assembleare (si vedano, per tutti, G.B. Portale, op. cit, 29 ss, V. Pinto, op. cit., 861 e N. De Luca, Da “Holzmüller e Gelatine” a “Bulli e Pupe”. Competenze implicite dell'assemblea e limiti legali ai poteri degli amministratori nelle società di capitali, in BBTC, 2017, 380 ss). Tale problema interpretativo non si pone, per contro, in materia di società a responsabilità limitata, atteso che l'art. 2479, comma 2, n. 5 c.c. riserva espressamente alla competenza dei soci ogni “decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci”. Ciò considerato, la summenzionata distinzione tra “poteri di gestione” e “poteri di organizzazione” operata dal Tribunale sembra trovare il proprio fondamento proprio nella lettura congiunta dell'art. 2380-bis c.c. e dell'art. 2361 c.c.. Ed, invero, sembrano potersi escludere dalla competenza esclusiva dell'organo amministrativo tutte quelle decisioni che, anziché “attuare” l'oggetto sociale, lo “modificano”, così come le operazioni che, anche se non costituiscono un'assunzione di partecipazione in altre imprese ai sensi dell'art. 2361 c.c., comportano comunque un atto dispositivo dell'intero (o quasi) patrimonio sociale. Tali operazioni, di fatti, hanno un impatto sulle condizioni di rischio dell'investimento del singolo azionista e vengono pertanto attribuite alla competenza dell'assemblea, organo collegiale composto da colori i quali corrono il rischio stesso. Giova inoltre precisare, come rilevato da una recente ed autorevole dottrina (cfr. G.B. Portale e N. De Luca, op. cit., 776), che, in assenza di una competenza (implicita) assembleare i soci – in particolare, quelli di minoranza – non solo sarebbero privati dei diritti di informazione, ma sarebbero altresì privati della possibilità di esercitare i tipici poteri di reazione che l'ordinamento ha introdotto quale contraltare all'operatività del principio maggioritario: il diritto di recesso (ove applicabile ai sensi dell'art. 2437 c.c.) e l'impugnazione della delibera assembleare (ad es., per abuso di maggioranza, ai sensi dell'art. 2377 c.c.).
Conclusioni
La posizione assunta dal Tribunale di Roma pare alquanto netta, nonostante – come detto – alcuni autorevoli esponenti della migliore dottrina risultino essere tuttora di diversa opinione. Prendendo le mosse dai principi espressi dalla pronuncia in esame, e tenendo in adeguata considerazione la nozione di “interessi primordiali dei soci”, concetto che – per sua natura – è generico e non assiomaticamente circoscrivibile, occorre trarne alcune regole di prudenza di cui tener conto nella quotidianità dei processi decisionali delle società per azioni. Pare infatti prudenzialmente opportuna una convocazione dell'assemblea qualora l'organo amministrativo di una società per azioni ritenga, per ragioni rientranti nella (e coperte dalla) business judgement rule, di procedere ad operazioni di cessione d'azienda, di ramo d'azienda (a patto che esso consti in una parte rilevante dell'azienda stessa) e/o dismissione di assets strategici del patrimonio sociale (quali, a titolo esemplificativo, il marchio storico). Il passaggio assembleare consente, da un lato, a tutti gli azionisti di valutare adeguatamente gli impatti dell'operazione sul patrimonio sociale e sulle condizioni di rischio del proprio investimento, onde assumere in tal senso decisioni consapevoli e, dall'altro, agli azionisti di minoranza (che, alla luce dell'operatività del principio maggioritario, si ritrovano il più delle volte a subire le decisioni della maggioranza) di azionare i rimedi che la legge e/o la giurisprudenza più recente mettono a loro disposizione (i.e., diritto di recesso e impugnazione della delibera assembleare ex art. 2377 c.c.). É vero anche, in ultima analisi, che laddove la decisione de quo sia assunta direttamente dall'organo amministrativo in assenza di una previa delibera assembleare, i soci avrebbero la possibilità di azionare il rimedio dell'impugnazione anche nei confronti della decisione dell'organo amministrativo, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2388, comma 4, c.c.. Occorre tuttavia precisare che, in tale ipotesi, l'onere in capo ai soci di dimostrare il danno subito per effetto della decisione dell'organo amministrativo costituisce una complicazione da non sottovalutare, non foss'altro per i dubbi che tuttora permangono nello stabilire cosa possa (o non possa) ricomprendersi nel significato di “deliberazione lesiva” dei diritti dei soci.
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