Interrogatorio formale: la tipica prova costituenda

03 Marzo 2020

L'interrogatorio formale rappresenta la prova costituenda che più di tutte valorizza due principi fondamentali del processo civile: il principio del contraddittorio e il principio dispositivo. Invero, da un lato, si tratta di una prova che si fonda sul contraddittorio delle parti, consentendo alla parte richiedente di provocare la confessione giudiziale della controparte; dall'altro, la disciplina dell'interrogatorio formale, come si avrà modo di evidenziare, è volta a sottrarre al giudice ogni potere inquisitorio nella ricerca della verità, consentendo alla parte (in presenza di alcuni presupposti) di effettuare una dichiarazione confessoria a sé sfavorevole in ordine al diritto fatto valere in giudizio, la quale sarà vincolante sia per la parte che per il giudice.
Definizione e finalità dell'interrogatorio formale

Non esiste nel codice civile una definizione di interrogatorio formale ma la stessa è ricavabile dalla peculiare finalità che tale strumento di prova assolve; esso è definibile, difatti, come quel mezzo istruttorio volto a provocare la confessione di fatti sfavorevoli alla parte cui è deferito.

Tanto si ricava dall'art. 228 c.p.c., secondo cui la confessione giudiziale può essere spontanea o (appunto) provocata mediante interrogatorio formale.

Il fondamento dell'interrogatorio formale, quindi, è rinvenibile nel principio secondo il quale chi confessa (riconosce come vero) un fatto a lui sfavorevole e favorevole alla controparte, dice la verità.

Proprio in quanto volta a provocare la confessione giudiziale della controparte, l'interrogatorio formale è una tipica prova costituenda, destinata a formarsi nel processo nel contraddittorio tra le parti, al pari del giuramento ex artt. 2736-2739 c.c. e 233-243 c.p.c. e della testimonianza ex artt. 2721-2726 c.c. e 244-257-bis c.p.c.

Oggetto della confessione

Dalla peculiare finalità dell'interrogatorio è possibile desumerne l'oggetto ed i presupposti, nonché le modalità con le quali deve essere formulata tale istanza istruttoria.

Ed invero, proprio perché la funzione dell'interrogatorio è quella di indurre la parte a rendere una dichiarazione in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla controparte, è necessario che la parte che intenda articolare l'istanza istruttoria “de qua” formuli degli articoli aventi carattere confessorio e, dunque, vertenti (direttamente o anche in via presuntiva) su fatti costitutivi, impeditivi od estintivi del diritto che la parte dichiarante ha dedotto in giudizio.

Da tanto si ricava, in primo luogo, che pacificamente non può avere valore confessorio la dichiarazione che sia favorevole al dichiarante (si pensi al caso in cui colui che fa valere il diritto in giudizio dichiari l'esistenza di un fatto costitutivo).

In secondo luogo, dovendo la dichiarazione confessoria riguardare necessariamente fatti obiettivi, è esclusa la possibilità di deferire un interrogatorio formale avente ad oggetto valutazioni, opinioni o giudizi (Cass. civ., sent. n. 21509/2011), così come è escluso che possa avere ad oggetto un diritto, nel qual caso la dichiarazione potrebbe al più configurare un'ipotesi di ricognizione di debito o di promessa di pagamento ex art. 1988 c.c.

Presupposti dell'interrogatorio formale

Tra le prove costituende, l'interrogatorio formale sembra essere quella che più di tutte attua il principio dispositivo in quanto, da un lato, non è un mezzo di prova disponibile d'ufficio e, dall'altro, ha come proprio presupposto (e limite) la disponibilità del diritto in una duplice accezione:

  1. Disponibilità soggettiva: attiene al soggetto dichiarante e consiste nella sua capacità di disporre del diritto a cui si riferiscono i fatti oggetto di confessione;
  2. Disponibilità oggettiva: attiene all'oggetto della dichiarazione e consiste nel carattere disponibile del diritto a cui si riferiscono i fatti confessati.

Più in particolare, la disponibilità soggettiva comporta che l'interrogatorio può essere deferito soltanto al soggetto legittimato a rendere la confessione a norma degli artt. 2730 e 2731 c.c., cioè a colui che abbia il libero esercizio del diritto conteso o un suo rappresentante; si pensi al caso dei genitori che, pur avendo la rappresentanza legale del minore, non hanno una capacità illimitata di disporre dei diritti del minore, con la conseguenza che non possono in alcuni casi rilasciare una dichiarazione confessoria in mancanza della previa autorizzazione del giudice tutelare.

Del pari, nei casi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. (ad esempio nel caso in cui il creditore eserciti l'azione surrogatoria), il sostituto non ha la capacità di porre in essere atti dispositivi del diritto controverso e, quindi, non può rilasciare dichiarazioni confessorie.

Nei casi di rappresentanza la giurisprudenza ha riconosciuto che la dichiarazione resa dal rappresentante potrà avere efficacia confessoria allorquando il rapporto di rappresentanza sia in vita nel momento in cui viene resa la dichiarazione e, naturalmente, purché la stessa rientri tra i poteri attribuiti al rappresentante dalla procura, in caso di rappresentanza volontaria, o dalla legge, in caso di rappresentanza legale (Cass. civ., n. 28711/2008).

Con riguardo alla disponibilità oggettiva, invece, deve considerarsi inammissibile l'interpello allorquando sia da escludere la possibilità che l'interrogando abbia diretta conoscenza delle circostanze sulle quali dovrebbe essere interrogato.

In tale prospettiva, la giurisprudenza ha riconosciuto che è inammissibile l'interrogatorio formale del curatore fallimentare, attesa la indisponibilità dei diritti della massa dei creditori (Cass. civ., sent., n. 15570/2015); principio applicabile anche al commissario liquidatore della liquidazione coatta amministrativa per mancanza della capacità di disporre dei diritti dell'impresa (Cass. civ., sent., n. 9881/1997).

Modo di formulazione dell'interrogatorio

L'art. 230, comma 1, c.p.c. dispone che l'interrogatorio formale, essendo rimesso alla iniziativa della parte, debba essere dedotto e formulato mediante articoli precisi e separati i quali, come anticipato, devono riguardare le circostanze fattuali sulle quali la parte è chiamata a rispondere personalmente.

Da tanto consegue che la parte, per non incorrere in preclusioni istruttorie o articolare una richiesta istruttoria inammissibile, è tenuta a:

  • presentare la richiesta nei termini previsti per la formulazione delle istanze istruttorie;
  • individuare i fatti oggetto di interrogatorio mediante articoli specifici, autonomi.

Un eventuale difetto di specificità o di rilevanza dei capi di prova avrà come unica conseguenza la inammissibilità dell'istanza istruttoria. La giurisprudenza ha, difatti, precisato che il giudice non può interpretare i capitoli di prova genericamente formulati al fine di estrapolare le circostanze fattuali sulle quali dovrebbe vertere l'interrogatorio, trattandosi di prova costituenda non disponibile d'ufficio (Cass. civ., sent. n. 12292/2011). Al pari della testimonianza, inoltre, non è nemmeno ammesso fare domande su fatti diversi da quelli formulati nei capitoli ammessi dal giudice, salvo che le parti concordino sulla necessità di formulare quesiti aggiuntivi e che il giudice li ritenga utili a chiarire alcuni aspetti controversi della decisione.

Valore probatorio della confessione

La mancanza del presupposto della disponibilità in senso soggettivo od oggettivo incide sul valore probatorio della dichiarazione resa.

Ed invero, solo nel caso in cui sussistano entrambi i presupposti la confessione, quale prova di massima attendibilità, ha valore di prova legale, essendo vincolante non solo per la parte dichiarante, a cui non consente alcuna prova avverse, ma anche per il giudice, che deve sempre subordinare ad essa il proprio convincimento.

Di converso, qualora la dichiarazione confessoria attenga a diritti indisponibili da parte del dichiarante essa sarà liberamente apprezzata dal giudice.

Qualora, invece, dovesse mancare la disponibilità soggettiva (si pensi al caso del minore che renda una dichiarazione a contenuto confessorio oppure a tutte le ipotesi in cui la dichiarazione sia resa da chi non è parte del giudizio) la dichiarazione resa da soggetto incapace avrà valore di mero indizio.

Il medesimo principio è stato sancito in giurisprudenza anche con riguardo alle dichiarazioni rese in giudizio dal difensore concernenti fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte, le quali non possono avere efficacia di confessione ma una valenza meramente indiziaria (Cass. civ. n. 7015/2012). Un caso in cui può essere attribuito valore confessorio alle dichiarazioni rese negli scritti difensivi dal difensore munito di procura ad litem è quello in cui tali scritti rechino la sottoscrizione della parte stessa.

In termini non dissimili è stato affrontato il problema della valenza probatoria dell'interrogatorio formale in caso di processo con pluralità di parti.

Sul punto, la giurisprudenza, partendo dall'assunto secondo il quale la confessione giudiziale produce effetti solo nei confronti della parte che la rende e della parte che la provoca, in quanto il confitente non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri soggetti (seppur parti del medesimo processo), ha precisato che non può essere deferito l'interrogatorio formale su un punto dibattuto in quello stesso processo tra il soggetto deferente e un terzo diverso dall'interrogando. Anche in siffatta ipotesi, pertanto, mancando il presupposto della disponibilità soggettiva, le risposte eventualmente affermative fornite dall'interrogato non potranno avere valore confessorio (Cass. civ., sent. n. 4486/2011).

Irrilevanza dello stato d'animo del confitente

In passato era discussa la natura giuridica della confessione giudiziale, non mancando qualche autore che ne sosteneva la natura negoziale, con tutte le conseguenze applicative in termini di disciplina applicabile (soprattutto in tema di invalidità della dichiarazione).

Attualmente secondo l'opinione prevalente la confessione giudiziale costituisce una dichiarazione di scienza, avendo ad oggetto un fatto e non potendo essere fonte di un comando giuridico.

Invero, non manca in dottrina chi ritiene che anche la confessione possa costituire una dichiarazione di volontà, soprattutto nel caso in cui attraverso la confessione di un fatto inesistente possa costituirsi un diritto a favore dell'altra parte.

Qualificare la confessione quale dichiarazione di scienza significa riconoscere che, una volta resa la stessa, gli effetti dispositivi che ne derivano nel campo del diritto sostanziale (data l'efficacia di prova legale) sono stabiliti dalla legge. Da tanto discende come ulteriore conseguenza che risulta del tutto irrilevante una indagine sullo stato soggettivo del confitente o sul fine perseguito nel renderla, essendo sufficiente che sussista il cd. animus confitendi, consistente nella consapevolezza da parte del dichiarante di riconoscere un fatto vantaggioso per l'altra parte con la previsione di non poterlo in seguito contrastare.

Differenze con l'interrogatorio libero

Tutti i caratteri dell'interrogatorio formale sin d'ora richiamati consentono di distinguerlo dall'interrogatorio libero ex art. 117 c.p.c., diverso dal primo per finalità, modalità di svolgimento e valore probatorio. In particolare, l'interrogatorio libero presenta i seguenti caratteri:

  • ha la funzione di precisare le posizioni delle parti;
  • è rimesso alla iniziativa del giudice, potendo le parti esclusivamente sollecitare l'esercizio del potere discrezionale del giudice;
  • viene esperito d'ufficio nella prima udienza di trattazione e può essere rinnovato in ogni stato e grado del processo;
  • non richiede che la parte formuli gli articoli di prova, essendo le domande formulate dal giudice e non dalle parti.

Secondo la giurisprudenza prevalente, proprio tali differenze rispetto all'interrogatorio formale consentono di escludere che le risultanze dell'interrogatorio libero possano essere poste dal giudice direttamente a fondamento della decisione.

Invero, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità che (sussistendo alcune condizioni) anche le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero possano avere efficacia di confessione giudiziale (Cass. civ., sent. n. 11403/2006). In particolare, la parte che intenda rendere una dichiarazione confessoria in sede di interrogatorio è tenuta a rispettare le seguenti condizioni:

  • dal processo verbale deve risultare che la dichiarazione non sia stata provocata dalle domande rivolte alla parte dal giudice ma sia stata spontaneamente resa;
  • la parte confitente deve sottoscrivere il verbale, assumendosi la responsabilità delle proprie affermazioni;
  • devono sussistere i presupposti dell'animus confitendi e della capacità di disporre del diritto controverso.
Mancata risposta della parte

Una volta ammesso l'interrogatorio formale e fissata l'udienza per l'assunzione del mezzo di prova, la legge non prevede un'ipotesi di fictio confessoria in caso di mancata risposta all'interrogatorio.

Ai sensi dell'art. 232 c.p.c. se la parte non si presenta o rifiuta di rispondere senza giustificato motivo (così come nel caso di risposte generiche o reticenti), il giudice ha la facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio solo dopo aver valutato ogni altro elemento di prova. Ne consegue che la mancata comparizione della parte a rendere l'interrogatorio non può condurre a ritenere provati i fatti ivi dedotti ove la domanda della controparte sia sfornita di qualsivoglia elemento di prova a supporto delle richieste; in tal caso il giudice potrà negare al comportamento della parte qualsiasi valore, fermo restando l'obbligo di motivazione delle ragioni che sorreggono la valutazione negativa.

Viceversa, il giudice può ritenere come ammessi i fatti dedotti allorquando vi siano elementi di prova di carattere indiziario a sostegno dei medesimi fatti (es. documenti forniti dalla stessa parte che li produce), nonché nell'ipotesi in cui la parte non abbia indicato elementi di prova a sostegno delle proprie eccezioni.

Prova degli atti con forma scritta e della simulazione

Partendo dal presupposto secondo cui non può provarsi mediante confessione l'esistenza di un atto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam, la giurisprudenza si è interrogata sulla possibilità di provare la simulazione di un contratto tra le parti mediante interrogatorio formale.

Il problema si pone in quanto nei rapporti tra le parti la forma tipica e normale di prova della simulazione è data dalla produzione di controdichiarazioni, cioè di documenti che forniscono la dimostrazione della simulazione (assoluta o relativa) compiuta.

Le controdichiarazioni accertano la simulazione in forma documentale e possono essere anteriori, contemporanee o anche posteriori all'atto simulato, purché provengano da un contraente che abbia la disponibilità del diritto cui il negozio si riferisce.

Secondo una parte della dottrina, nei rapporti tra le parti la prova della simulazione potrebbe essere fornita esclusivamente tramite la controscrittura. Le eccezioni ai limiti probatori previste dalla legge riguarderebbero tassativamente i soli terzi, come tali impossibilitati a fornire la prova scritta di atti negoziali, i quali, peraltro, rispetto a coloro che non sono contraenti, sono res inter alios acta.

Tale impostazione non viene seguita dalla giurisprudenza, la quale riconosce che le limitazioni di legge per i contraenti si riferiscono alla prova testimoniale e alle presunzioni; dunque la parte contraente che ha dedotto la simulazione può provarla - oltre che con le controdichiarazioni, corrispondenza tra gli interessati, querela di falso - mediante un giuramento o un interrogatorio formale.

Si è osservato, in particolare, che tramite tale ultimo mezzo di prova non si pretenderebbe di provare un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento ma semplicemente di far emergere la vera volontà negoziale, diversa da quella risultante dall'atto scritto.

Tanto premesso, al fine di verificare quando si può provare la simulazione mediante confessione, sembra utile distinguere diverse ipotesi applicative:

  • una prima forma di confessione (stragiudiziale e scritta) della simulazione è rappresentata dalle lettere inviate da uno all'altro contraente, come tali aventi la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale;
  • è ammissibile l'interrogatorio formale tra contraenti ove lo stesso abbia ad oggetto l'inesistenza del contratto simulato (simulazione assoluta), anche qualora lo stesso esiga la forma scritta ad substantiam;
  • non è ammissibile, invece, l'interrogatorio formale tra contraenti ove lo stesso sia volto a fornire prova dell'esistenza di un diverso contratto rispetto a quello stipulato (simulazione relativa) qualora lo stesso esiga la forma scritta ad substantiam. Ad esempio, nel caso in cui si intenda provare la simulazione relativa soggettiva di una compravendita immobiliare sarà necessario dar prova della controdichiarazione, non potendo la confessione supplire al difetto dell'atto scritto (Cass. civ., sent. 6262/2017);
  • di converso, è ammissibile inter partes l'interrogatorio formale tra contraenti volto a provare la simulazione relativa qualora esista nel negozio apparente il requisito di forma richiesto per il negozio dissimulato e si abbia di mira l'accertamento di un rapporto non originato dall'accordo simulatorio (Cass. civ., sent. n. 4704/1981).

Alla luce di tale impostazione, quindi, è possibile sostenere che la differenza tra simulazione assoluta e relativa assume rilevanza ai fini della ammissibilità dell'interrogatorio formale solo nel caso in cui si voglia far valere il contratto dissimulato, ma non quando si miri a far valere gli effetti meramente negativi della simulazione.

In conclusione

La disciplina dell'interrogatorio formale che si è tentato brevemente di analizzare evidenzia la duplice esigenza, da un lato, di lasciare alle parti il compito di disporre degli strumenti di prova a sostegno di quanto asserito e, dall'altro, di evitare che lo strumento della confessione possa essere utilizzato in maniera impropria; difatti, pur essendo ormai generalmente qualificata come dichiarazione di scienza, la confessione potrebbe mascherare un atto di volontà, in quanto l'efficacia di prova legale consente alle parti, nella sostanza, di disporre del diritto dedotto in giudizio.

È per tale ragione che non si può riconoscere efficacia di prova legale alla dichiarazione resa da uno solo dei litisconsorti necessari, non potendosi ammettere che le altre parti siano vincolate ad un atto dispositivo che non hanno compiuto.

Facendo applicazione di tale principio, la giurisprudenza ha riconosciuto in tema di incidenti stradali che la dichiarazione confessoria resa dal responsabile del sinistro al soggetto danneggiato (eventualmente raccolta nel modulo di constatazione amichevole) non può in alcun modo vincolare la compagnia assicuratrice; invero, si ritiene che tale dichiarazione confessoria non costituisca prova legale nemmeno nei confronti del confitente, potendo emergere in corso di causa una diversa dinamica della vicenda (Cass. civ., sent. n. 8451/2019).

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