Interruzione del processo per morte dell'unico difensore

Francesco Bartolini
04 Marzo 2020

Con il ricorso in Cassazione viene eccepita la nullità della sentenza in quanto pronunciata nonostante l'avvenuta interruzione del processo.
Massima

La morte, nel corso del giudizio, dell'unico difensore della parte costituita comporta automaticamente l'interruzione del processo anche se il giudice e le altre parti non ne abbiano avuto conoscenza e preclude ogni ulteriore attività processuale, con la conseguente nullità degli atti successivi e della sentenza eventualmente pronunciata. L'irrituale prosecuzione del giudizio, nonostante il verificarsi dell'evento interruttivo, può essere dedotta e provata anche in sede di legittimità.

Il caso

I proprietari di un immobile locato ad una società commerciale citarono in giudizio i conduttori per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni cagionati da un incendio sprigionatosi per asserita colpa esclusiva di costoro. Il tribunale respinse la domanda con argomenti desunti dal contenuto del contratto intercorso tra le parti. I proprietari, soccombenti, proposero appello e contestarono la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice nonché l'errata applicazione dell'art. 2051 codice civile. I conduttori si costituirono nel giudizio e chiesero il rigetto del gravame. La Corte di merito accolse l'impugnazione e condannò gli appellati a risarcire il danno e a rimborsare le spese del processo.

Con ricorso per cassazione i conduttori hanno eccepito la nullità della sentenza perché pronunciata dopo l'interruzione ex lege del processo di appello in conseguenza del decesso del loro avvocato, unico loro difensore; e solo in subordine hanno richiamato le difese svolte in appello.

La questione

Nell'atto di ricorso si è eccepita anche l'errata applicazione dell'art. 2051 codice civile alla fattispecie decisa. L'eccezione di nullità della sentenza, tuttavia, in quanto pronunciata nonostante l'avvenuta interruzione del processo, si è posta come questione assorbente e risolutiva in via preliminare. È infatti palese che, ove ravvisata, la dedotta radicale nullità della decisione rendeva ultroneo scendere all'esame delle altre ragioni di gravame.

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha evidenziato che il decesso del difensore dei ricorrenti era avvenuto nel corso del giudizio di secondo grado, prima della precisazione delle conclusioni, con il conseguente effetto di comportare una evidente violazione del contraddittorio, causa di nullità della successiva sentenza. Si afferma in proposito nella motivazione che dunque doveva nella specie «… applicarsi il principio consolidato di diritto secondo cui la morte (come la radiazione o la sospensione dall'albo) dell'unico difensore a mezzo del quale la parte è costituita nel giudizio di merito, determina automaticamente l'interruzione del processo, anche se il giudice o le altre parti non ne hanno avuto conoscenza (e senza, quindi, che occorra, perché si perfezioni la fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell'evento), con preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (Cass. civ., 2 novembre 2010, n. 22268; Cass. civ., 28 ottobre 2013, n. 24271; Cass. civ., ord., 8 settembre 2017, n. 21002; Cass. civ., ord., 12 novembre 2018, n. 28846), sicché l'irrituale prosecuzione del processo, nonostante il verificarsi dell'evento interruttivo, può essere dedotta e provata in sede di legittimità (Cass. civ., ord., 8 settembre 2017, n. 21002) ma solo dalla parte colpita dal predetto evento, a tutela della quale sono poste le norme che disciplinano l'interruzione, non potendo quest'ultima essere rilevata d'ufficio dal giudice né eccepita dalla controparte come motivo di nullità della sentenza (Cass. civ., 14 febbraio 2010, n. 25234)».

La Corte ha cassato la sentenza con rinvio al giudice di appello in diversa composizione.

Osservazioni

La decisione della Corte di cassazione è certamente ineccepibile. Il decesso dell'unico difensore di una delle parti nel giudizio di appello era stato dimostrato al collegio con la produzione del certificato di morte, produzione consentita in sede di legittimità dall'art. 372, primo comma, c.p.c. Non si ponevano questioni o dubbi da risolvere, per il Supremo giudice: la difesa tecnica era venuta meno in fasi processuali del giudizio di merito nelle quali sarebbe stato ancora possibile dare notizia formale dell'evento e ripristinare il contraddittorio mentre era invece sopravvenuta la sentenza, inosservante delle disposizioni dettate dall'art. 301 c.p.c.

I principi formulati dalla giurisprudenza a proposito delle conseguenze del venir meno della difesa tecnica nel corso del processo sono ben noti e possono essere facilmente ricapitolati come segue. Il decesso dell'avvocato durante il termine utile per la costituzione in giudizio non cagiona alcun effetto interruttivo, posto che è rimessa alla diligenza della parte la tempestiva nomina di un altro procuratore (Cass. civ., sez. V, 10 ottobre 2014, n. 21447; Cass. civ., Sez.Un. 27 novembre 1998, n. 12060; Cass. civ., sez. lav., 24 ottobre 1996, n. 9299; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1992, n. 10179). L'evento che invece sopraggiunge nel corso dello svolgimento del processo determina una sua interruzione automatica. Questo effetto interruttivo si verifica anche se il decesso sopraggiunge nelle seguenti situazioni: nell'intervallo temporale tra la precisazione delle conclusioni e l'udienza di discussione (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 2010, n. 244; Cass. civ., sez. III, 2 settembre 1998, n. 8720; Cass. civ., 16 aprile 1997, n. 3279); e nelle more della scadenza dei termini concessi per il deposito delle comparse conclusionali (Cass. civ., 8 settembre 2017, n. 21002). Quando la discussione non sia stata chiesta dalle parti (art. 275, comma 1, c.p.c.), l'udienza di precisazione delle conclusioni costituisce il momento ultimo per la proposizione di nuove eccezioni e deduzioni (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 1990, n. 8038). In appello, l'interruzione si verifica se il decesso riguarda il difensore per mezzo del quale la parte si era costituita in precedenza e se avviene dopo la notifica dell'atto di appello e prima del decorso del termine per la costituzione in giudizio e per la proposizione dell'appello incidentale (Cass. civ., sez. V, 10 ottobre 2014, n. 21447).

L'intervenuta morte del difensore, se non comunicata, può essere denunciata come motivo di impugnazione, ai sensi dell'art. 161 c.p.c. In particolare, la nullità della sentenza di merito, per il difetto di contraddittorio cagionato dal venir meno della difesa tecnica di una delle parti, è deducibile nel giudizio di legittimità, previa, occorrendo, la produzione dei documenti che la dimostrano (Cass. civ., n. 21002/2017 cit.). Se una siffatta deduzione non fosse consentita nell'ultimo grado di processo, l'evento lesivo della pari difesa delle parti sarebbe destinato a rimanere privo di conseguenze.

Analogamente ben conosciuto è il principio per cui la causa interruttiva può essere fatta valere unicamente dalla parte a cui pregiudizio essa si verifica. La ratio sottesa a questo principio è da sempre ravvisata nell'esigenza di tutelare il soggetto che rimane sprovvisto della necessaria difesa professionale; mentre nessuna facoltà di eccezione o deduzione è riconosciuta alla parte avversa, che continua ad essere tutelata dal permanere della sua assistenza o rappresentanza iniziale. La ratio ispiratrice della normativa è condivisibile, in linea generale. Ma la vicenda esaminata dalla Corte di cassazione impone al lettore una riflessione e suggerisce una domanda: che tipo di favore assicura, davvero, la riserva della deduzione dell'evento interruttivo alla sola parte che ne è direttamente colpita?

Nel caso di specie la morte del difensore avvenne il 1° aprile 2013, nel corso del giudizio di appello. La precisazione delle conclusioni fu effettuata all'udienza del 4 ottobre 2016 (dopo un rinvio da data precedente) e la sentenza seguì il successivo 9 marzo 2017. Risulta pertanto che la parte convenuta nel grado di appello tacque il decesso del proprio unico difensore (per più di tre anni) omettendo di farne dichiarazione e di munirsi di altro procuratore pur avendone avuto la possibilità almeno sino al momento in cui gli appellanti precisavano le loro domande e chiedevano la sentenza. La parte convenuta faceva utilizzo legittimo delle sue facoltà e di questa legittimità non può dubitarsi. Spettavano soltanto a lei far presenti il sopraggiunto evento significativo per il processo e la scelta del momento di darne comunicazione. E tuttavia …

In assenza di quella comunicazione gli appellanti proseguirono le attività processuali, comparirono per precisare le conclusioni, domandarono al collegio la sua pronuncia ed ottennero una decisione favorevole. Tutto questo inutilmente perché i convenuti tenevano in serbo l'eccezione che avrebbe ricondotto il processo all'indietro nei gradi e nel tempo e reso nullo quanto effettuato ex adverso e deciso dalla Corte di merito, se fosse risultato ad essi sfavorevole. Era sufficiente, per loro, attendere il momento utile a proporre il ricorso per cassazione per ottenere di rendere nulla la sentenza ove avesse disposto la loro condanna al risarcimento. Essi erano protetti dalle norme processuali, come vuole la ratio legislativa: ma chi tutelava la controparte?

Se essa avesse conosciuto la morte del difensore avversario avrebbe avuto a disposizione un mezzo per garantirsi la prosecuzione del processo, per sua riassunzione, citando i convenuti a comparire con un nuovo procuratore, pena la loro contumacia. Ma se, invece, l'evento morte non fosse stato conosciuto da chi aveva interesse a coltivare l'impugnazione in appello, il processo sarebbe proseguito alla mercè di chi, tacendo, si precostituiva una ragione in diritto per rendere inutili gli atti compiuti ex adverso e dal giudice.

Non è il caso di scomodare le nozioni di lealtà e probità dei comportamenti delle parti in giudizio. Gli appellati hanno ritenuto di difendersi con l'esercizio di un potere loro assegnato dalle norme processuali e sotto questo profilo nessuna questione in diritto è consentita. Resta però una considerazione che ci sembra non irrilevante. Qualche volta ciò che è predisposto a tutela di un soggetto si rivela di insopprimibile danno per un altro, senza colpa di questi e senza rimedio per lui.

Forse la riforma del codice di procedura civile da tempo indicata come prossima potrebbe preoccuparsi di fare in modo che un legittimo esercizio di facoltà e di poteri processuali non si trasformi, nelle mani di accorte difese, in uno strumento che concorra alla tanto deprecata quanto invincibile durata temporale eccessiva dei processi (la vicenda di specie, maturata alla fine del secolo scorso, è giunta nel 2020 ad una sentenza interlocutoria).

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