Limiti ai poteri di indagine del CTU
10 Marzo 2020
Il quadro normativo
La consulenza tecnica d'ufficio non può essere, generalmente, considerata un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché la sua funzione non consiste nel determinare direttamente il convincimento del giudice circa la verità o la non verità di determinati fatti, bensì nell'offrire all'attività del giudice, in tutti i suoi aspetti, l'ausilio di cognizioni tecnicheche questi normalmente non possiede, come si desume dall'art. 61 c.p.c. L'attività del consulente tecnico serve, quindi, ad integrarel'attività del giudice come organo decisorio, in quanto può offrire sia elementi per valutare le risultanze di determinate prove, sia elementi per favorire la soluzione di questioni che necessitino di specifiche competenze tecniche, scientifiche o umanistiche. È, pertanto, pacifico in giurisprudenza che la CTU non può essere utilizzata per sopperire alle inerzie ed alle carenze probatorie della parte su cui grava il relativo onere (Cass. civ., n. 14306/05) o per compiere indagini esplorative dirette all'accertamento di elementi, fatti e circostanze non provati (Cass. civ., n. 10373/19; Cass. civ., n. 30218/17; Cass. civ., n. 3130/11). Consulente deducente e percipiente
In giurisprudenza si è, tuttavia, ritenuto che la CTU, pur avendo, di regola, la funzione di fornire al giudice la valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti, possa costituire essa stessa fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (Cass. civ., n. 26083/05), come nel caso di accertamento della responsabilità medico-chirurgica, attesa l'innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie non solo alla comprensione dei fatti, ma alla loro stessa rilevabilità (Cass. civ., n. 4792/13). Si distingue, allora, tra consulente deducente, al quale il giudice affida l'incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (nel qual caso il consulente è chiamato ad un'attività di deduzione di un fatto principale ignoto da un fatto secondario percepito), e consulente percipiente, che ha invece il compito di accertare i fatti stessi (Cass. civ., n. 6155/09; Cass. civ., n. 27002/05, in relazione ad una CTU disposta in una controversia locatizia al fine di rilevare le caratteristiche tecniche e la categoria catastale dell'immobile locato), fermo restando che, in tale seconda ipotesi, è comunque onere della parte interessata quanto meno dedurre ed allegare i fatti e gli elementi specifici posti a base della propria pretesa, spettando al giudice di merito lo stabilire se l'accertamento demandatogli richieda o meno l'impiego di cognizioni tecniche da lui non possedute o se vi siano altri motivi (si pensi, ad es., ad un'ispezione corporale) che impediscano o sconsiglino di procedere direttamente all'accertamento (Cass. civ., n. 3717/19; Cass. civ., n. 20695/13; Cass. civ., n. 24620/07; Cass. civ., Sez. Un., n. 9522/96). In sostanza, è consentito assegnare all'indagine peritale funzione percipiente quando si verte su elementi allegati dalla parte ma che solamente un tecnico è in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (Cass. civ., n. 1190/15). In ogni caso, anche quando la CTU sia percipiente, il consulente, come si vedrà in prosieguo, non può avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena l'inutilizzabilità, per il giudice, delle conclusioni del consulente fondate sugli stessi (Cass. civ., n. 18770/16, in relazione al nesso causale tra le lesioni subite e l'incidente stradale verificatosi tra le parti). La consulenza tecnica è, peraltro, un mezzo istruttorio che non è posto nella disponibilità delle parti, ma è rimesso, quanto all'opportunità e necessità di disporlo, al criterio discrezionale del giudice del merito (Cass. civ., n.11742/18). Pertanto, il mancato uso di tale potere non può costituire in sé oggetto di censura in sede di legittimità. In particolare, il giudice non è tenuto a disporre la consulenza tecnica quando non la ritenga concludente o quando la consideri superflua in rapporto agli elementi probatori già acquisiti, ben potendo egli non solo fare ricorso alle conoscenze specialistiche che abbia acquisito direttamente attraverso lo studio e le ricerche personali, ma anche, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche (Cass. civ., n. 30733/17; Cass. civ., n. 14759/07). Tuttavia, è altresì vero che, pur essendo la decisione di ricorrere o meno ad una CTU espressione di un potere discrezionale del giudice, quest'ultimo è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell'istanza di ammissione proveniente da una delle parti, che non può mai ritenersi tardiva (proprio perché non si tratta di prova in senso tecnico), dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l'istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza, specie a fronte di una istanza di parte in tal senso, costituisce una grave carenza nell'accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza, integrando ipotesi di motivazione apparente ovvero assente (Cass. civ., n. 30980/19; Cass. civ., n. 17399/15). Il consulente compie le indagini che gli sono affidate dal giudice e fornisce, in udienza ed in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede (art. 62 c.p.c.). Egli assiste alle udienze alle quali è invitato dal giudice istruttore; compie, anche fuori della circoscrizione giudiziaria, le indagini affidategli, da sé solo o insieme col giudice secondo che questi dispone (art. 194 c.p.c.). Quando il consulente compie delle indagini senza la presenza del giudice, deve comunicare alle parti il giorno, l'ora ed il luogo delle operazioni. Se sorgono questioni sui suoi poteri o sui limiti dell'incarico conferitogli, il consulente deve informarne il giudice, che, sentite le parti, dà i provvedimenti opportuni (art. 92 disp. att. c.p.c.) Delle indagini del consulente si forma processo verbale, quando sono compiute alla presenza del giudice istruttore, ma questi può anche disporre che il consulente rediga una relazione scritta. Se le indagini sono compiute senza l'intervento del giudice, il consulente deve farne relazione scritta, nella quale inserisce anche le osservazioni ed istanze delle parti, depositandola poi nel termine stabilito. In particolare, l'art. 195, comma 3, c.p.c., come modificato dalla l. n. 69/2009, prevede, per esigenze di accelerazione dei giudizi e di effettiva garanzia del contraddittorio tra le parti in merito alle conclusioni del CTU, che la relazione deve essere trasmessa dal CTU alle parti nel termine appositamente stabilito dal giudice con l'ordinanza resa all'udienza di conferimento dell'incarico peritale. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse. La mancata assegnazione alle parti del termine per contrastare le opinioni del CTU configura nullità della consulenza (Cass. civ., n. 31886/19, secondo cui, peraltro, a tale nullità non si può ovviare con la comparsa conclusionale, che è un atto difensivo che si aggiungea quello previsto dall'art. 195 c.p.c., e non lo sostituisce). Il giudice non può, inoltre, fissare i termini di cui all'art. 195, comma 3, c.p.c. in modo che ricadano durante il periodo di sospensione feriale, se il processo è soggetto alla detta sospensione e salva rinuncia delle parti ad avvalersi di essa (Cass. civ., n. 18522/18). Nel regime precedente alla modifica dell'art. 195c.p.c. ad opera della l. n. 69/2009, nessuna norma del codice di rito imponeva al CTU di fornire ai consulenti di parte una “bozza” della propria relazione (Cass. civ., n. 24792/10), cosicché non era affetta da nullità — ma da mera irregolarità, che restava irrilevante ove non tradottasi in nocumento del diritto di difesa — la CTU, qualora il consulente, pur disattendendo le prescrizioni del provvedimento di conferimento dell'incarico peritale, avesse omesso di mettere la sua relazione a disposizione delle parti per eventuali osservazioni scritte, da consegnargli prima del deposito della relazione stessa (Cass. civ., n. 5897/11). In ogni caso, anche l'omesso invio alle parti della bozza di relazione dà luogo a un'ipotesi di nullità a carattere relativo, suscettibile di sanatoria se il vizio non è eccepito nella prima difesa utile successiva al deposito della perizia; la sanatoria può avvenire anche per rinnovazione, quando il contraddittorio sia recuperato dal giudice dopo il deposito della relazione, con la rimessione in termini delle parti per formulare le proprie osservazioni, al fine di consentire il pieno esercizio dei poteri di cui all'art. 196 c.p.c. (Cass. civ., n. 21984/18; Cass. civ., n. 23493/17). La regolamentazione procedimentale di cui al novellato art. 195 c.p.c. non impedisce, però, alle parti di sollevare, nell'udienza successiva al deposito della relazione, ulteriori questioni: ciò sarebbe confermato dal carattere non perentorio dei termini assegnati dal giudice.
A norma dell'art. 90 disp. att. c.p.c. il CTU può dare comunicazione alle parti del giorno, dell'ora e del luogo di inizio delle operazionimediante dichiarazione inserita nel processo verbale di udienza, a nulla rilevando l'eventuale assenza dei difensori, perché il contenuto del verbale di udienza si presume noto e non va comunicato alle parti. L'obbligo di comunicazione non riguarda le indagini successive, incombendo alle parti l'onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi (Cass. civ., n. 6195/14). Il mancato rispetto delle esigenze del contraddittorio dà luogo a nullità della consulenza se si sia concretato nell'omissione di comunicazione (che non va fatta al contumace: Cass. civ., n. 11442/90; contra Cass. civ., n. 16413/12) circa l'inizio delle operazioni (Cass. civ.,n. 14532/16) e solo se ed in quanto abbia influito sulle conclusioni del consulente e pregiudicato il diritto di difesa delle parti (Cass. civ., n. 3893/17; Cass. civ., n. 10933/16 in relazione alla comunicazione fatta alla parte personalmente e non al difensore costituito; Cass. civ., n. 18598/08), cosicché l'eccezione di nullità non può essere generica, dovendo la parte specificare quali lesioni di tale diritto siano conseguite alla denunciata irregolarità (Cass. civ., n. 5491/18; Cass. civ., n. 15874/10; Cass. civ.,n. 13428/07). Si tratta, comunque, di nullità relativa che rimane sanata se non eccepita nella prima udienza o difesa successiva al deposito della consulenza (Cass. civ., n. 746/11; Cass. civ., n. 7243/06), anche se si tratta di udienza di mero rinvio per esame della CTU (purchè non vi sia sostanziale contestualità fra l'udienza ed il deposito dell'elaborato: Cass. civ., n. 12008/91), atteso che la denuncia dei vizi formali non richiede la conoscenza del contenuto della relazione (Cass. civ., n. 3716/13). Se tale eccezione viene disattesa, la parte ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere rinunciata (Cass. civ., n. 13230/14). Informazioni e documenti acquisibili dal CTU
In linea di principio, ai sensi dell'art. 90, comma 2, disp. att. c.p.c., il CTU non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e le istanze di parte consentite dall'art. 194 c.p.c., mentre l'art. 87 disp. att. c.p.c. non prevede la possibilità di depositare documenti durante lo svolgimento delle indagini peritali. Egli può, invece, acquisire notizie aliunde purché rispetti, a pena di nullità, le esigenze del contraddittorio (Cass. civ., n. 4644/89); il CTU può, ad es., chiedere informazioni a terzi (che non possono, però, trasformarsi in prove testimoniali) o chiarimenti alle parti (da intendersi come quelli idonei ad illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, senza introduzione nel giudizio di nuovi temi di indagine), per l'accertamento dei fatti collegati con l'oggetto dell'incarico, senza bisogno di una preventiva espressa autorizzazione del giudice (Cass. civ., n. 4729/15), ricorrendo anche a notizie e dati non rilevabili dagli atti processuali, purché indichi le fonti delle informazioni acquisite, in modo da permettere il controllo delle parti (Cass. civ., n. 26893/2017; Cass. civ., n. 1901/10; Cass. civ., n. 13428/07). E tuttavia occorre chiarire entro quali limiti è legittimo l'esercizio di tale facoltà da parte del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde. Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell'incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti del rispettivo onere probatorio. Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al CTU sia necessario, per portare a termine l'indagine richiesta, acquisire documenti, in genere pubblici, non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per rispondere ai quesiti peritali e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette. Potrà anche, nel contraddittorio delle parti, acquisire documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo, qualora ne emerga l'indispensabilità all'accertamento di una situazione di comune interesse. Quindi l'acquisizione di dati e documenti da parte del CTU ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti. Non è invece consentito al consulente sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua e che non gli siano stati forniti (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa), acquisendoli dalla parte che non li abbia tempestivamente prodotti, nonostante l'opposizione della controparte, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplire al carente espletamento dell'onere probatorio, in violazione sia dell'art. 2697 c.c., che del principio del contraddittorio, nonché in spregio al principio del giusto processo, presidiato dall'art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (Cass. civ., n. 21487/17; Cass. civ., n. 8989/11), principi, questi ultimi, affermati anche dall'art. 6, § 1, CEDU, cui rinvia l'art. 6, comma 3, del Trattato sull'Unione Europea (nel testo consolidato risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona del 13.12.2007, ratificato e reso esecutivo con l. n. 130/08). In effetti, attribuire al CTU poteri istruttori officiosi altera la parità delle parti e costringe le parti stesse a confrontarsi con fonti di prova acquisite dopo il maturare delle preclusioni istruttorie, rispetto alle quali non potrebbe negarsi loro il diritto alla controprova, con conseguente allungamento dei tempi del processo (Cass. civ., n. 31886/19). Deve concludersi, quindi, che le attività consentite al consulente dall'art. 194 c.p.c. incontrano due limiti insormontabili: a) il primo limite è il divieto di indagare su questioni che non siano state prospettate dalle parti nei rispettivi scritti difensivi ed entro i termini preclusivi dettati dal codice di rito, altrimenti il consulente allargherebbe di sua iniziativa il thema decidendum; b) il secondo limite è il divieto di compiere atti istruttoriormai preclusi alle parti (come acquisire documenti dopo lo spirare del termine di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.) oppure riservati al giudice (come ordinare esibizioni od ispezioni, interrogare testimoni). In particolare, per quanto attiene ai documenti, il CTU può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse (Cass. civ., n. 1611/15; Cass. civ., n. 28669/13; Cass. civ., n. 19816/13; Cass. civ., n. 3191/06; Cass. civ., n. 9060/03); in caso contrario, non si tratterebbe di utilizzare dei semplici elementi di fatto, ma di valutare una prova documentale, la quale può essere utilizzata in giudizio solo nel caso in cui il giudice, su espressa richiesta delle parti, ne abbia ordinato l'esibizione ai sensi dell'art. 210 c.p.c. (Cass. civ., n. 2770/73). Così, ad esempio, il CTU può acquisire, di propria iniziativa, senza ledere il diritto di difesa ed al contraddittorio delle parti:
Per chiarire ulteriormente la distinzione tra documenti acquisibili e non acquisibili dal CTU, si consideri, ad es., che, in un giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità d'un medico per avere malamente interpretato un'immagine diagnostica, quest'ultima e il relativo referto saranno “fatti costitutivi” della domanda, in quanto dimostrativi della diligenza o negligenza del sanitario; invece, l'accertamento del grado di accuratezza consentito dal macchinario usato per la diagnosi, o la sua tecnica costruttiva, costituiscono “fatti tecnici secondari”, come tali accertabili dal CTU richiedendo informazioni alla ditta costruttrice o venditrice (Cass. civ., n. 31886/19). Il CTU può, inoltre, avvalersi dell'opera di esperti specialisti, al fine di acquisire, mediante gli opportuni e necessari sussidi tecnici, tutti gli elementi di giudizio, senza che sia necessaria, anche in tal caso, una preventiva autorizzazione del giudice (autorizzazione però indispensabile sotto il profilo del rimborso delle spese dovute per l'opera di costoro: cfr. art. 56 d.P.R. n. 115/02), né una nomina formale, purché egli assuma la responsabilità morale e scientifica dell'accertamento e delle conclusioni raggiunte dal collaboratore e fatta salva una valutazione in ordine alla necessità del ricorso a tale esperto “esterno” svolta successivamente dal giudice (Cass. civ., n. 16471/09). Non è neppure necessaria la partecipazione dei consulenti di parte alle indagini eventualmente commissionate dal CTU ad un esperto, purchè il CTU le utilizzi poi come fonti strumentali del proprio convincimento (Cass. civ., n. 4628/83). Non è ammissibile, invece, una delega dello svolgimento dell'incarico commissionato al CTU (Cass. civ., n. 4435/81). Lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al thema decidendum della controversia o l'acquisizione ad opera dell'ausiliare di elementi di prova (ad es., documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica: è tuttavia controverso quale sia il regime di tale nullità, atteso che, secondo l'orientamento tradizionale, la stessa è soggetta al disposto di cui all'art. 157 c.p.c., avendo carattere di nullità relativa e dovendo, quindi, essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanata (Cass. civ., n. 15747/18; Cass. civ., n. 2251/13; Cass. civ., n. 5422/02); secondo altro, recente, orientamento, si tratterebbe, invece, di una nullità a carattere assoluto, rilevabile d'ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti (Cass. civ., n. 31886/19), in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti (per l'affermazione di tale ultimo principio, cfr. anche Cass. civ., n. 16800/18). Secondo tale ultimo orientamento, quindi, occorre operare una distinzione tra le nullità relative in cui può incorrere il CTU (l'omissione di avvisi alle parti; l'omesso invio della bozza di consulenza ai difensori delle parti; l'ammissione alle operazioni peritali di un difensore privo di mandato o di un consulente di parte privo di nomina), come tali sanabili se non eccepite nella prima difesa successiva al compimento dell'atto nullo; e le nullità consistenti nella violazione, da parte del CTU, del principio dispositivo, commessa vuoi indagando su fatti mai prospettati dalle parti, vuoi acquisendo da queste ultime o da terzi documenti che erano nella disponibilità delle parti, e che non furono tempestivamente prodotti. Quest'ultimo tipo di nullità, infatti, consiste nella violazione di norme (gli artt. 112, 115 e 183 c.p.c.) dettate a tutela di interessi generali, sicchè trattasi di nullità assolute, non sanabili dall'acquiescenza delle parti e sempre rilevabili d'ufficio (salvo il giudicato), a nulla rilevando che non siano eccepite nella prima difesa successiva al compimento dell'atto nullo. Non dà luogo, invece, a nullità della CTU l'omessa verbalizzazione delle operazioni compiute senza l'intervento del giudice, così come delle osservazioni e delle istanze delle parti e dei loro consulenti (Cass. civ., n. 9890/05; Cass. civ., n. 15/03). Anche l'inosservanza, da parte del consulente tecnico d'ufficio, del termine assegnatogli per il deposito della consulenza non comporta di regola alcuna nullità, se non in particolari casi nel rito del lavoro (Cass. civ., n. 6195/14; Cass. civ., n. 22708/10, in relazione all'art. 441 c.p.c.). Non costituisce motivo di nullità della consulenza neppure il fatto che l'ausiliario abbia attinto elementi di giudizio anche dalle cognizioni e dalle percezioni di un proprio collaboratore, nel rispetto del contraddittorio e sotto il controllo delle parti tempestivamente avvertite e poste in grado di muovere le loro osservazioni, ferma restando la necessità che l'operato del collaboratore non sostituisca integralmente quello del consulente, ma questi elabori il proprio documento peritale in modo da farvi contenere anche autonome considerazioni (Cass. civ., n. 4257/18). Infine, nei giudizi in materia di indennità e rendita per infortuni sul lavoro e malattie professionali, la mancata presentazione dell'interessato alla visita disposta dal CTU può far ritenere insussistente la prova in ordine al dedotto stato invalidante solo se concorre la mancanza di cause di giustificazione; invece, in presenza di tali cause il giudice deve valutarne la fondatezza escludendo ogni valenza probatoria in presenza di circostanze idonee a giustificare in modo assoluto, sotto il profilo logico-giuridico, la mancata presentazione (Cass. civ., n. 7123/05). Valutazione delle risultanze della CTU
Il giudice di merito può apprezzare in piena libertà ed autonomia le conclusioni espresse dal consulente tecnico che egli ritenga convincenti, senza essere tenuto ad esprimere le particolari ragioni del suo convincimento, né a confutare espressamente le diverse risultanze della consulenza eventualmente presentata dalla parte, che non costituisce un mezzo legale di prova (Cass. civ., n. 5809/01). Pertanto, il giudice può, da un lato, far proprie le conclusioni del consulente (ed in tal caso non è tenuto neppure ad una particolareggiata motivazione, sempre che abbia tenuto conto delle argomentazioni tecniche relative e ad esse abbia fatto riferimento de relato) e, dall'altro, dandone adeguata motivazione (Cass. civ., Sez. Un., n. 26972/08), onde rendere possibile il relativo controllo, discostarsene sia non condividendo in sé tali argomentazioni (senza, peraltro, bisogno di una minuta confutazione di ognuna, specie se ne è indicata la scarsa attendibilità), sia traendo il suo convincimento dalla libera valutazione di tutti gli elementi acquisiti (Cass. civ., n. 3881/06; Cass. civ., n. 333/99). Invero, nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d'ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche (Cass. civ., n. 30733/17). Il giudice, tuttavia, non può esimersi da una più puntuale motivazione, allorquando le critiche mosse alla CTU siano specifiche e tali, se fondate, da condurre ad una decisione diversa da quella adottata (Cass. civ., n. 2061/18; Cass. civ., n. 26694/06). Il giudice, nonostante la richiesta della parte, non è, invece, tenuto a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo rientra tra i suoi poteri discrezionali, senza che sia necessaria un'espressa pronuncia sul punto (Cass. civ., n. 22799/17; Cass. civ., n. 17693/13; contra Cass. civ., n. 9379/11). Una fattispecie particolare di consulenza tecnica è l'esame contabile di cui all'art. 198 c.p.c., caratterizzato dal fatto che il consulente ha anche il compito di tentare di conciliare le parti. Quando, infatti, il giudice ritiene necessario l'esame di documenti contabili e registri, ne può affidare il compito al consulente tecnico con l'incarico, appunto, di tentare la conciliazione. Il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti (purchè accessori: Cass. civ., n. 21760/16) e registri non prodotti in causa. Anche in tal caso, infatti, si deve escludere l'ammissibilità della produzione tardiva di prove documentali concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento della domanda e delle eccezioni di merito, essendo, al riguardo irrilevante il consenso della controparte, atteso che, ai sensi dell'art. 198 c.p.c., tale consenso può essere espresso solo con riferimento all'esame di documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal giudice (Cass. civ., n. 19427/17; Cass. civ., n. 8403/16, che ha confermato l'inammissibilità della produzione di nuova ed ulteriore documentazione volta ad accertare la morosità della controparte ed il calcolo, su di essa, dei relativi interessi; Cass. civ., n. 24549/10, in relazione all'inammissibilità della produzione di contabili bancarie in corso di CTU relativa a revocatoria fallimentare di rimesse). Le indagini tecniche si concludono:
È opportuno precisare che il disposto dell'art. 199 c.p.c., secondo cui il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale di conciliazione, si riferisce alle sole controversie in materia contabile; al di fuori di tale ipotesi, l'eventuale conciliazione raggiunta con l'ausilio del CTU ha rilevanza solo sul piano sostanziale, come transazione stragiudiziale, non dotata di efficacia esecutiva ed idonea a determinare la cessazione della materia del contendere (Cass. civ., n. 13578/08; Cass. civ., n. 909/81); se il giudice conferisse efficacia esecutiva al verbale di conciliazione in una causa non contabile con l'ausilio del CTU, si tratterebbe di provvedimento abnorme, suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., salvo che la parte interessata faccia acquiescenza, anche tacita, al provvedimento (Cass. civ., n. 10162/93; Cass. civ., n. 2978/91). Di recente, si è, però, precisato che il provvedimento che dichiara esecutivo il verbale di conciliazione può essere impugnato con ricorso straordinario per cassazione solo quando non sia contenuto in una statuizione giurisdizionale soggetta a specifico mezzo di gravame, sicché, laddove sia ricompreso nella sentenza che definisce il giudizio di primo grado, va impugnato con l'appello avverso la stessa (Cass. civ., n. 23210/16). |