Cliente fallito durante il giudizio di cassazione: il mandato alle liti si scioglie immediatamente

Redazione scientifica
10 Marzo 2020

L'insinuazione al passivo fallimentare del credito maturato in favore dell'avvocato che abbia patrocinato, nel giudizio di cassazione, il cliente dichiarato fallito mentre era in corso lo svolgimento di quel giudizio va effettuata a far data dalla dichiarazione di fallimento, la quale determina l'immediato scioglimento del mandato alle liti e la cessazione dell'incarico

Il caso. Nel corso di un giudizio di cassazione, una delle parti è dichiarata fallita. Il suo difensore, conclusosi il giudizio di legittimità, chiede di essere ammesso al passivo del fallimento per il credito maturato in dipendenza dell'attività difensiva svolta in quella sede. La domanda è però dichiarata inammissibile perché tardiva, e la successiva opposizione allo stato passivo spiegata dal professionista è respinta: ritiene difatti il tribunale che la dichiarazione di fallimento abbia provocato lo scioglimento del mandato alle liti, e dunque la cessazione dell'incarico, sicché l'avvocato avrebbe dovuto formulare la domanda di insinuazione a far data dal giorno della dichiarazione di fallimento, e non da quello di conclusione del giudizio di cassazione, in violazione del termine annuale di cui all'art. 101 l.f.

Fallimento del cliente: non opera il principio di ultrattività del mandato alle liti. La Corte di cassazione, su ricorso dell'avvocato, cassa e rinvia. Ma — attenzione — non già perché non condivida, nel fondo, il ragionamento del giudice di merito. Secondo la S.C., una volta dichiarato il fallimento, il mandato alle liti si scioglie automaticamente, come si desume dall'art. 43 l.f., ed il difensore non ha più alcun titolo per continuare la sua attività difensiva, senza che possa trovare applicazione il principio di ultrattività: né depone in senso opposto la circostanza che il giudizio di cassazione prosegua e non si interrompa, rimanendo indifferente alla dichiarazione di fallimento, giacché ciò discende dalla sua connotazione officiosa, e non dall'operatività di quel principio.

Ergo, una volta decorso l'anno previsto per le «tardive» dall'art. 101 l.f., non c'è più nulla da fare, fatta salva l'applicazione della disciplina delle «ultra-tardive».

… Ma il difensore si salva per il rotto della cuffia … E proprio quella disciplina gioca alla fine in favore dell'avvocato. La ricostruzione che precede — ritiene infatti la S.C. — è nuova: e ciò fa ritenere giustificato il comportamento del professionista che, invece di attivarsi al momento della dichiarazione di fallimento, ha atteso la conclusione del giudizio: sicché egli può invocare l'ultima parte del citato art. 101 l.f., secondo cui le cd. domande «ultra-tardive» sono ammissibili se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.

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