Il termine per la nota di variazione in diminuzione IVA decorre dal deposito del decreto di chiusura del fallimento

11 Marzo 2020

Con la risposta ad interpello n. 438/2019, l'Agenzia delle Entrate si è soffermata sul momento a partire dal quale il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione ai fini IVA, qualora il proprio debitore sia stato interessato da una procedura di fallimento.
Il caso in esame

Con la risposta ad interpello n. 438/2019, l'Agenzia delle Entrate si è soffermata sul momento a partire dal quale il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione ai fini IVA, qualora il proprio debitore sia stato interessato da una procedura di fallimento.

In particolare, una società creditrice di un società dichiarata fallita nel 2006 dal competente Tribunale, è stata informata solo nel 2019, a seguito di annotazione nel medesimo anno del relativo provvedimento presso il registro delle imprese, che la procedura è stata chiusa nel 2013.

Pertanto, è stato chiesto se il termine per l'emissione della nota di variazione decorra dal deposito del decreto di chiusura ovvero dall'annotazione dello stesso presso il Registro delle imprese.

Prima di procedere ad esaminare la risposta dell'Agenzia è necessario soffermarsi sulla relativa normativa.

Il quadro normativo in materia di IVA

Si deve ricordare che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/1973.

Le principali fattispecie che consentono l'emissione delle note di variazione in diminuzione sono le seguenti:

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili (art. 26, co. 2, primo periodo, del d.P.R. 633/72);
  • mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (art. 26, co. 2, secondo periodo, del d.P.R. 633/72);
  • applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente (art. 26, co. 2, terzo periodo del d.P.R. 633/1972);
  • rettifica di inesattezze della fatturazione (art. 26, co. 3, del d.P.R. 633/72);
  • risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento di una delle due parti; tipicamente, il mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente (art. 26, co. 9, del d.P.R. 633/72). In merito si ricorda che l'Agenzia delle Entrate ritiene che, laddove le parti abbiano pattuito una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e il fornitore si avvalga della suddetta clausola per "supposto" mancato adempimento della controparte che contesta l'addebito in sede giudiziale, l'emissione della nota di variazione in diminuzione sia subordinata all'esito del giudizio (principio di diritto del 2.4.2019 n. 13).

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un'operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis L.F. , ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), L.F. , pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, la nota di variazione deve essere emessa, al più tardi, entro i termini per l'esercizio della detrazione IVA ex art. 19, co. 1, del d.P.R. 633/72, vale a dire entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all'anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione (Circolare n. 1/E/2018).

È stato, infatti, chiarito che "le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell'imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione." (risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002).
Si ricorda che, per effetto delle modifiche recate all'articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, "Il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l'imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all' anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.".

A norma del successivo comma 2-bis, tale disposizione si applica alle fatture e alle bollette doganali emesse dal 1° gennaio 2017.

Pertanto, laddove il dies a quo per l'emissione delle note di variazione sia antecedente al 1° gennaio 2017, il diritto alla detrazione può essere esercitato "con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto"; a decorrere invece dal 1° gennaio 2017, la detrazione può essere esercitata al più tardi "con la dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto" (Risposta interpello Agenzia Entrate del 18.12.2018 n. 113).

Infine, si ricorda che l'Agenzia delle Entrate ha fornito alcune risposte a FAQ, con le quali sono state fornite alcune indicazioni per emettere della note di variazione a seguito dell'entrata in vigore della normativa sulla fatturazione elettronica (ad esempio la risposta a Faq n. 96 del 19.07.2019)

La nota di credito nell'ambito del fallimento

In forza dell'attuale normativa, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura concorsuale.

In via generale, vale la pena d‘osservare che in base all'attuale previsione dell'art. 26 secondo comma dP.R. n. 633/72, la suddetta circostanza si verifica allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, interamente o parzialmente, per l'insussistenza di somme disponibili per la relativa soddisfazione una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai numerosi chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria.

Pertanto, secondo l'orientamento erariale, il cedente o prestatore dell'operazione può emettere la nota di variazione in diminuzione:

  • per il fallimento, in presenza di piano di riparto, in seguito alla pubblicazione del decreto con il quale il giudice delegato stabilisce tale piano (risoluzione n. 120/E/2009) o, più prudentemente, decorso il termine per le osservazioni al piano di riparto (circolare n. 77/E/2000);
  • per il fallimento, in assenza del piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura (risoluzione n. 155/E/2001 e risoluzione n. 2008/E/195).
In conclusione

La risposta all'interpello in esame ricorda che la condizione di infruttuosità della procedura fallimentare si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale ovvero, in assenza, alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento. Dal momento che, nel caso in esame, non pare esserci stato un piano di riparto finale, l'esercizio del diritto alla variazione risulterebbe subordinato alla scadenza del termine per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento.

Considerato che quest'ultima condizione si è verificata nel 2013, l'Agenzia ritiene che la variazione in diminuzione doveva essere fatta facendo riferimento a tale data.

Pertanto, il diritto alla detrazione poteva essere esercitato, “ratione temporis”, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.

In questo senso, l'Agenzia delle Entrate ha dato risposta negativa alla società, non condividendo la tesi in forza della quale il diritto alla detrazione decorrerebbe dall'annotazione del decreto di chiusura presso il registro delle imprese, in quanto la predetta annotazione costituirebbe per i terzi l'unico strumento per venire a conoscenza dell'avvenuta chiusura del fallimento.

La tesi sostenuta dall'Amministrazione è coerente con altre prospettazioni interpretative.

Malgrado parte contribuente abbia richiesto di considerare sorto il diritto alla detrazione in un periodo successivo a quello ritenuto corretto dall'Agenzia delle Entrate, si ricorda che parte della dottrina (AIDC di Milano con la denuncia n. 13 del 6 maggio 2019) e della giurisprudenza (CTP di Vicenza con sentenza 17 aprile 2019 n. 145/2/19), ritiene che il riconoscimento del diritto all'emissione della nota di variazione e, conseguentemente, della detrazione dell'IVA può avvenire precedentemente ai momenti sopra individuati, e, in particolare, ogniqualvolta il cedente/prestatore ravvisi "con ragionevole certezza" che il credito non potrà essere incassato, giustificando il tutto, ad esempio, mediante attestazione del curatore che attesti l'irrecuperabilità del credito.

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