Si tratta della riassunzione del giudizio che era stato a suo tempo proposto davanti al TAR Lazio e che il TAR Lazio aveva definito con una declinatoria di giurisdizione a favore del giudice ordinario e che già aveva visto una “puntata” allorquando il Tribunale di Roma si era pronunciato in sede cautelare circa la posizione di uno dei resistenti (v. F. Valerini, Il divieto di terzo mandato vale anche per il CNF, ma dubbi su come sostituire l'eletto ineleggibile).
Secondo il Tribunale – che ha accolto sul punto le tesi dei ricorrenti - l'ineleggibilità dei nove Consiglieri trova spiegazione nella violazione dell'art. 34, comma 1 e comma 3, l. n. 247/2012.
In parte perché c'è una norma che limita a due mandati consecutivi l'ufficio di Consigliere del CNF (e tale limite – c.d. limite soggettivo - risulta superato per quattro degli eletti), in parte perché c'è anche una norma che esclude che possa esserci un consigliere che, per più di due mandati consecutivi, venga eletto nei distretti nei quali il numero degli iscritti agli albi è inferiore a diecimila (c.d. limite territoriale che risulta superato per sette avvocati (due degli avvocati, quindi, avevano due motivi di ineleggibilità concorrenti).
Legittimazione attiva e passiva. Innanzitutto, per il Tribunale non vi può essere alcun dubbio sulla legittimazione attiva al ricorso in capo agli avvocati ricorrenti e intervenuti: quella legittimazione «ha il suo fondamento nella posizione giuridica di cui essi sono portatori quali iscritti negli albi: posizione giuridica differenziata rispetto a quella di tutti gli altri consociati».
Viceversa, le associazioni forensi, che pure avevano proposto ricorso, non hanno legittimazione diversamente dai singoli avvocati.
Quanto alla legittimazione passiva, il Tribunale di Roma ha escluso quella del Ministero della Giustizia e della Commissione ministeriale: è vero che nel giudizio davanti al TAR erano state correttamente evocate (in quella sede, infatti, si chiedeva l'annullamento di taluni loro atti (convocazione della Commissione ministeriale; verbale della seduta della Commissione; nota di trasmissione del verbale recante l'accertamento dei risultati elettorali), ma in questo giudizio (pure riassunto dopo la declinatoria di giurisdizione da parte del TAR) la loro partecipazione «non ha più giustificazione» poiché oggetto del giudizio «è l'accertamento del diritto di elettorato passivo degli Avvocati resistenti, che né il Ministero né la hanno mai dichiarato» (la proclamazione dei risultati, come prevede l'art. 34, comma 3, l. n. 247/2012, è atto del CNF in carica, che cessa dalle sue funzioni alla prima riunione del nuovo Consiglio).
Fumus boni iuris… per il limite soggettivo… Quanto al fumus boni juris per il limite soggettivo oltre i due mandati consecutivi, il Tribunale ritiene che, per affermare la sua esistenza, «assume … rilievo dirimente l'affermazione e il rispetto di un principio informatore delle regole elettorali, che vale per ogni autonomo soggetto che coesiste nell'ordinamento (nel caso specifico i COA), oltre che per quest'ultimo (nel caso specifico il CNF). Si tratta del principio dell'alternanza delle cariche elettive, volte a promuovere il pluralismo democratico e la partecipazione più ampia possibile dei governati al governo degli ordinamenti di cui fanno parte».
Ne deriva che quel principio deve trovare applicazione a prescindere da ciò che i due sistemi elettorali, quello per l'elezione dei consigli locali e quello per l'elezione del CNF, siano diversi (e sulla loro diversità non c'è dubbio alcuno).
Aderendo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il Tribunale osserva che quello sull'ineleggibilità dopo il secondo mandato consecutivo è un principio generale che opera salvo eccezione (che qui non ricorre) e che, quindi, (a) «non costituisce estensione interpretativa di una norma eccezionale che impinge il diritto, di rilevanza costituzionale, di elettorato passivo» e (b) «non ha alcuna efficacia retroattiva» (argomentazioni queste che vennero evocate anche davanti alla Corte Costituzionale (e prima ancora nelle ordinanze di rimessione del CNF) che, però, le dichiarò infondate con la sentenza n. 173/2019).
Peraltro – ha precisato il Tribunale di Roma – «l'autorevolezza dei due precedenti, richiamati testualmente nelle loro parti fondamentali, e la chiarezza logica e concettuale delle argomentazioni illustrate esimono da ogni ulteriore considerazione. È solo il caso di precisare che, diversamente da quanto sostengono i resistenti, la portata generale e fondante del principio di alternanza negli incarichi elettivi è tale da trascendere il dato, puramente accidentale, che quei precedenti siano intervenuti per dirimere un contrasto sulla normativa dei COA».
… e per il limite territoriale. Per il Tribunale di Roma sussiste il fumus boni juris anche con riferimento alla seconda ipotesi di ineleggibilità fatta valere con il ricorso riguardo al divieto di appartenenza, per più di due volte consecutive al medesimo COA, da parte di un componente del CNF eletto in distretto con meno di diecimila iscritti.
A tal proposito, il Tribunale ha anche rigettato la questione di legittimità costituzionale che pure era stata prospettata da alcuni resistenti in quanto, inter alia, «il legislatore del 2012 ha ritenuto, con scelta già valutata corretta e conforme a Costituzione (…), di affermare il principio di alternanza nelle cariche rappresentative dei COA e del CNF (oltre a quello di parità fra i generi). Le limitazioni introdotte al diritto di elettorato passivo attraverso il limite soggettivo e quello territoriale sono funzionali a garantire il rispetto del principio (cfr., di nuovo, punti 3.1.3.1., 3.1.3.2. e 3.1.3.3. della sentenza della Corte costituzionale). La norma sul cd. limite territoriale non reca dunque alcun vulnus all'art. 51 Cost.».
Periculum in mora. Infine, per il Tribunale di Roma sussiste certamente anche il periculum in mora dal momento che siamo in presenza di diritti costituzionalmente protetti e peraltro che non possono essere soddisfatti per equivalente.
Secondo il Tribunale «la rilevanza costituzionale del diritto di elettorato passivo, del quale si controverte, non tollera compressioni di sorta per il tempo necessario a farlo valere in giudizio nelle vie ordinarie, ancorché sommarie».
Ecco allora che, da quanto sopra, discende inevitabilmente che «non appena si abbia il ragionevole convincimento che quel diritto sia stato male attribuito e, dunque, sia stata violata la corretta composizione dell'organo rappresentativo, devono essere adottati i provvedimenti necessari a ristabilire la legalità violata».
Che succederà? Resta, infine, ancora aperta la questione di che cosa succederà ora.
Quella attuale (come la precedente) è sicuramente un'ordinanza cautelare che però, è immediatamente efficace (salvo che poi possa essere la misura sospesa e/o revocata in sede di reclamo ovvero in sede di merito).
Occorrerà quindi procedere alla integrazione del Consiglio Nazionale Forense per ovviare ai componenti “decaduti”: ed infatti, il Tribunale di Roma aveva già avuto modo di rilevare con l'ordinanza depositata il 17 dicembre 2019 (v. F. Valerini, Il Tribunale di Roma sostituisce il componente ineleggibile del CNF con il primo dei non eletti) «il diritto del ricorrente a essere nominato in luogo dell'eletto ineleggibile non presenta – al momento, ovviamente, trattandosi di tutela cautelare – un elevato grado di verosimiglianza sufficiente per accogliere anche questo capo di domanda cautelare».
Del resto, i sistemi elettorali del CNF e dei Consigli locali sono diversi tant'è che – aveva rilevato il Tribunale - dovrà essere esaminata funditus la questione di quale sia il metodo di integrare il consiglio (nazionale) nel momento in cui sia stato dichiarato ineleggibile un suo membro.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it