Coronavirus e rapporti di lavoro dopo il decreto “Cura Italia”Fonte: DL 17 marzo 2020 n. 18
18 Marzo 2020
Il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e del Decreto del Presidente del Consiglio deiMinistri del 1° marzo 2020, che dava attuazione a tale decreto sono state le prime disposizioni assunte.
In particolare, la normativa distingueva fra zone bianche nelle quali vi era solo l'obbligo di osservare in pubbliche e private attività determinate misure igienico-sanitarie, zone gialle (Veneto, Piemonte, Friuli, Emilia Romagna, Liguria), ove era prevista una sospensione solo delle attività scolastiche fino all'8 marzo, sospensione competizioni sportive e grandi manifestazioni e cerimonie e procedure concorsuali; zone rosse (i comuni tassativamente indicati in cui si sono sviluppati i focolai: nella Regione Lombardia: Bertonico; Casalpusterlengo; Castelgerundo; Castiglione D'Adda; Codogno; Fombio; Maleo; San Fiorano; Somaglia; Terranova dei Passerini. Nella Regione Veneto: Vo'.) nelle quali era prevista anche la sospensione delle attività lavorative (ad esclusione delle imprese che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità).
Il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 ha poi previsto la cassa integrazione ordinaria (art. 13) per le unità produttive operanti nei comuni delle cd “zone rosse” e per i lavoratori ivi domiciliati (il ricorso alla cassa integrazione è esteso ai datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale – FIS); la possibilità di sospensione della Cassa integrazione straordinaria (art. 14) per le imprese sempre nei comuni “zona rossa”, che vi avessero fatto ricorso prima dell'emergenza sanitaria e sostituzione con Cassa integrazione ordinaria; la cassa integrazione in deroga (art. 15) per i datori di lavoro del settore privato, compreso quello agricolo, con unità produttive operanti nei comuni delle cd “zone rosse” e per i lavoratori ivi domiciliati, che non potevano beneficiare degli strumenti di sostegno al reddito, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo massimo di tre mesi. Mentre per le imprese di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia veniva prevista la cassa integrazione in deroga solo nei casi di accertato pregiudizio e previo accordo con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative (art. 17).
Veniva contemplata anche un'indennità di 500 euro al mese, per un massimo di tre mesi, per i lavoratori che hanno rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per gli agenti commerciali, per i professionisti e per i lavoratori autonomi (compresi i titolari di attività di impresa iscritti all'Assicurazione generale obbligatoria – AGO) domiciliati o che svolgono la propria attività nei comuni delle cd “zone rosse (art. 16).
Ancora, si prevedevano misure di tutela per i dipendenti del pubblico impiego, in particolare si equiparava al ricovero ospedaliero il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva, o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva (art. 19 comma 1).
Successivamente, il d.P.C.m. 4 marzo 2020 ha introdotto disposizioni estese a tutto il territorio nazionale fra le più importanti e di interesse per i lavoratori si ricordano: 1) la sospensione convegni; 2) la sospensione le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, che comportano affollamento di persone; 3) la sospensione degli eventi e delle competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, salvo svolgimento a porte chiuse; 4) fino al 15 marzo 2020, la sospensione dei servizi educativi per l'infanzia e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università; 5) la sospensione dei viaggi d'istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio; 6) si prevede poi che la modalità di lavoro agile può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti (art. 1 comma 1 lett. “n”).
Nella rapida evoluzione dell'epidemia il d.P.C.m. 8 marzo 2020 ha introdotto sia delle prescrizioni particolari per le cd “zone arancioni”, ossia: Regione Lombardia e le province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell'Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia (art. 1), sia delle disposizioni valide per il restante territorio nazionale (art. 2).
Per quanto riguarda le cd “zone arancioni” si prevedeva il divieto di spostamenti in entrata e uscita, nonché all'interno della Lombardia e delle 14 province interessate, con possibilità di movimento solo per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute e divieto assoluto di mobilità per chi sia in quarantena o positivo al virus, mentre che presenta infezione respiratoria e febbre maggiore di 37,5 °C vi è solo raccomandazione di permanenza domiciliare (art. 1 comma 1 lett. a e b). L'attività didattica per le scuole di ogni ordine e grado, atenei e accademie e viene fino al 3 aprile. Viene limitata l'apertura di bar e ristoranti dalle 6 alle 18 e viene imposta la chiusura di palestre, piscine, spa e centri benessere, salvo competizioni sportive all'aperto a porte chiuse. I centri commerciali dovranno essere chiusi ma solo nel week end. Le altre attività commerciali diverse dalla ristorazione potranno rimanere aperte a condizione che riescano a garantire la distanza di un metro fra i clienti. Chiusi invece i musei, centri culturali e le stazioni sciistiche. Sospesi anche i concorsi. Chiusi cinema e teatri.
Inoltre, viene raccomandato ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie, fermo restando la possibilità di accedere al cd lavoro agile anche in assenza di accordi individuali (art. 1 comma 1 lett. e).
Per quanto riguarda il resto del territorio dello Stato è stata prevista (artt. 2 e 3) una analoga disciplina salvo le seguenti differenze. Infatti, vi è stata solo una raccomandazione di limitare gli spostamenti delle persone fisiche ai casi strettamente necessari, salvo il divieto assoluto di mobilità per chi sia in quarantena o positivo al virus. Bar e ristoranti, palestre e piscine vengono tenuti aperti, ma con obbligo di distanziare i clienti (1metro: secondo le norme di sicurezza di cui all'allegato 1).
Anche nel resto d'Italia viene raccomandata la fruizione del congedo ordinario e delle ferie, salvo possibilità di accedere al lavoro agile (art. 2 comma 1 lett. r ed s).
Infine, all'allegato 1 sono elencate le misure igieniche sanitarie: a) lavarsi spesso le mani. Si raccomanda di mettere a disposizione in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani; b) evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute; c) evitare abbracci e strette di mano; d) mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro; e) igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie); f) evitare l'uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l'attività sportiva; g) non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani; h) coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce; i) non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico; l) pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol; m) usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate.
Con il d.P.C.m. 9 marzo 2020vengono estese le misure previste per le cd Zone arancioni dal DPCM 8 marzo 2020 a tutto il territorio nazionale, con l'aggiunta delle sospensioni di tutte le competizioni sportive che prima si potevano svolgere a porte chiuse).
Ancora, con il d.P.C.m. 11 marzo 2020 viene prevista la chiusura, fino al 25 marzo, su tutto il territorio nazionale, di tutte le attività di ristorazione (bar, pub, pizzerie, ristoranti, pasticcerie, gelaterie etc.) e di tutti i negozi, tranne quelli delle categorie espressamente previste: i negozi di prodotti alimentari, le farmacie, le parafarmacie, le edicole, le tabaccherie, i bar e punti di ristorazione nelle aree di servizio stradali e autostradali e i negozi di prima necessità o di servizi alla persona che sono elencati negli allegati 1 e 2. Inoltre, rispetto alle attività produttive e alle attività professionali “aperte” si raccomanda: il massimo utilizzo delle modalità di lavoro agile e che siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva (art. 1 comma 7).
Da ultimo è intervenuto il d.l. 17 marzo 2020, n. 18. Attraverso tale norma vengono estese al resto del territorio nazionale alcune misure che decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 aveva previsto solo per le cd “zone rosse”, inoltre nuove ne vengono contemplate. Per quanto riguarda le misure incidenti sulle relazioni del mondo del lavoro si ricorda in estrema sintesi quanto segue.
I datori di lavoro che nell'anno 2020 sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19, possono usufruire di nove settimane di cassa integrazione ordinaria e comunque entro il mese di agosto 2020, indicando la causale “Covid-19”. Deve essere richiesta previa informazione, consultazione ed esame congiunto con le organizzazioni sindacali, da svolgere anche in via telematica (art. 19). Di tale trattamento possono fruire anche le aziende che alla data di entrata in vigore del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, hanno in corso un trattamento di integrazione salariale straordinario, per un periodo non superiore a nove settimane. La concessione del trattamento ordinario sospende e sostituisce il trattamento di integrazione straordinario già in corso (art. 20).
Viene prevista l'applicazione della cassa integrazione in deroga (CIG) per massimo nove settimane e non oltre il mese di agosto 2020, che si estende all'intero territorio nazionale, destinandola ai lavoratori di tutti i settori non coperti dalle misure ordinarie di sostegno al reddito, anche per le aziende con meno di 5 dipendenti (ed in ogni settore produttivo anche quello agricolo, e ad esclusione del lavoro domestico), purché in forza dal 23 febbraio 2020. In questo caso vi deve essere previo riconoscimento ad opera della Regione o della Provincia Autonoma, previo accordo che può essere concluso anche in via telematica con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (art. 22).
Viene inoltre rafforzato il fondo di integrazione salariale (Fis), un altro strumento di sostegno al reddito in caso di cessazione o sospensione dell'attività lavorativa per le aziende che occupano mediamente più di 5 dipendenti dei settori non coperti dagli ammortizzatori ordinari. In tal caso viene concesso l'assegno ordinario di integrazione salariale con la causale “emergenza Covid-19” per un massimo di nove settimane (art. 19, art. 21).
Per i lavoratori autonomi, professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa con partita IVA attiva alla data del 23 febbraio 2020, titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa attivi alla data del 23 febbraio, iscritti alla Gestione separata, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie è prevista solo per il mese di marzo una indennità una tantum di € 600, che non concorre alla formazione del reddito (art. 27) e lo stesso viene previsto per i dipendenti stagionali del settore turismo e degli stabilimenti termali che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e la data di entrata in vigore della presente disposizione, non titolari di pensione e non titolari di rapporto di lavoro dipendente alla data di entrata in vigore della presente disposizione (art. 29) e per gli operai agricoli a tempo determinato, non titolari di pensione, che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo (art. 30). Le indennità non sono cumulabili tra loro e non sono riconosciute e chi percepisce reddito di cittadinanza (art. 31).
Viene prevista la possibilità di fruire (alternativamente per entrambi i genitori purché nessuno dei due benefici già di altro strumento di sostegno al reddito) di quindici giorni di congedo straordinario al 50% di retribuzione, da beneficiare per tutti i lavoratori dipendenti, privati e pubblici, e autonomi iscritti alla gestione separata, con figli fino a 12 anni di età (art. 23), in alternativa al congedo straordinario è prevista una erogazione pari ad € 600 euro, che verranno accreditati sul libretto famiglia di cui all'articolo 54-bis, legge 24 aprile 2017, n. 50, per pagare un collaboratore famigliare per prestazioni effettuate nel periodo di sospensione del periodo scolastico (art. 23 comma 8). Per gli operatori sanitari il voucher sarà più consistente: mille euro (art. 25 comma 3).
Il limite dei 12 anni non si applica per che ha con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 104 del 1992 (art. 23 comma 5).
Infine, viene riconosciuto un congedo speciale non retribuito ai dipendenti con figli tra 12 e 16 anni di durata pari al periodo di sospensione dei servizi educativi per l'infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro (art. 23 comma 6).
Il congedo straordinario non esclude la possibilità di godere dei periodi di congedo ordinario, già previsti dalla legge e di convertire il congedo ordinario in congedo straordinario.
Viene previsto un bonus presenza, ossia un bonus di 100 euro, valido per i dipendenti pubblici e privati con un reddito lordo entro i 40 mila euro, che viene attribuito in automatico dal datore di lavoro che lo eroga già con la retribuzione di aprile e comunque nei termini delle operazioni di conguaglio. Tale cifra non concorre alla formazione della base imponibile ed è ragguagliato ai giorni in cui il lavoro è restato nella sede ordinaria. I sostituti di imposta recuperano il premio erogato attraverso l'istituto della compensazione (art. 63).
Per i mesi di marzo e aprile 2020, chi ha diritto ai permessi della legge n. 104 del 1992 per assistere i propri familiari, potrà usufruire di 12 giorni complessivi per questi due mesi, oltre ai 3 giorni di congedo (art. 24).
Anche per il lavoratori del privato viene equiparato il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, alla a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto (art. 26 comma 1) e Qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19, il certificato è redatto dal medico curante nelle consuete modalità telematiche, senza necessità di alcun provvedimento da parte dell'operatore di sanità pubblica (art. 26 comma 6).
Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili di cui alla l. 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. Per i lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile (art. 39).
Ancora, viene prevista la sospensione di alcune procedure di licenziamento e dei termini di prescrizione e decadenza per accedere alle prestazioni, previdenziali, assistenziali ed assicurative.
In particolare, dal 17 marzo 2020 e per sessanta giorni sono precluse per i datori di lavoro le procedure di licenziamento collettivo e di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, mentre sono sospese per il medesimo termine le procedure di licenziamento collettivo già avviate (art. 46), dal 23 febbraio 20202 al 1° giugno 20202 sono sospesi i termini decadenziali e di prescrizione per richiedere prestazioni previdenziali, assistenziali ed assicurative (artt. 34 e 42).
Infine, i termini per richiedere la NASPi e la Diss.Coll sono estesi da 68 a 128 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro per il periodo 1.1.20202-31.12.2020 (art. 33), inoltre viene prorogato il termine per presentare la disoccupazione agricola 20202 al giorno 1° giugno 2020 (art. 32). Le principali conseguenze sui rapporti di lavoro: 1. Sospensione necessaria di tutta o parte dell'attività aziendale a causa del Covid-19.
Ciò come si è detto nel caso in cui il datore di lavoro provveda alla sospensione di tutta o parte dell'attività aziendale a causa del COVID-19, in questi casi si ritiene che il datore di lavoro sia esonerato dall'obbligo retributivo in quanto la prestazione lavorativa non è dallo stesso utilizzabile per circostanze allo stesso non imputabili, ma in questi casi dovrà fare ricorso alla cassa integrazione guadagni ordinaria, ammortizzatore sociale che consiste in una prestazione economica erogata dall'INPS, che integra o sostituisce la retribuzione dei lavoratori, che si trovano in precarie condizioni economiche a causa di sospensione o riduzione dell'attività lavorativa e fra i presupposti autorizzativi vi è l'impraticabilità dei locali, anche per ordine della pubblica autorità - sospensione o riduzione dell'attività per ordine della pubblica autorità per cause non imputabili all'impresa o ai lavoratori. Attualmente il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 ha previsto appositamente per i datori di lavoro, che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19, la possibilità di usufruire di nove settimane di cassa integrazione ordinaria e comunque entro il mese di agosto 2020, indicando la causale “Covid-19” (art. 19). Viene, inoltre, prevista l'applicazione della cassa integrazione in deroga (CIG) ai lavoratori di tutti i settori non coperti dalle misure ordinarie di sostegno al reddito, anche per le aziende con meno di 5 dipendenti (ed in ogni settore produttivo anche quello agricolo, e ad esclusione del lavoro domestico) (art. 22).
Dal punto di vista pratico ricadono sicuramente in tale ambito di applicazione le aziende che operano in settori per i quali è stata disposta la chiusura dal d.P.C.m. 11 marzo 2020 (ad esempio tutte le attività di ristorazione oppure quelle aziende che, per necessità di rispettare le misure igienico sanitarie minime previste dall'allegato 1 del decreto-legge 2 marzo 2020, come l'obbligo di rispettare la distanza di sicurezza di 1 m fra lavoratori, sono costrette a sospendere determinate attività. Si pensi ad esempio alle attività dei lavoratori in un cantiere con lavori su ponteggi ed in spazi angusti rispetto ai quali per la natura stessa dell'attività vi potrebbe essere impossibilità di rispettare siffatte precauzioni igieniche).
In questi casi, tuttavia, posto che in forza del d.P.C.m. 4 marzo 2020 e temporaneamente è possibile l'utilizzo del lavoro agile anche senza previo accordo con il lavoratore, il datore di lavoro prima di procedere alla sospensione di tutta o parte dell'attività aziendale dovrà valutare se l'attività lavorativa non possa essere svolta attraverso il lavoro svolto dal dipendente dalla propria abitazione (infatti l'impossibilità sopravvenuta del datore di lavoro per essere tale, deve consistere nella non utilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili al datore di lavoro in quanto non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale cfr. Cass. 21 novembre 1986, n. 6872; Cass., sez. lav., 18 maggio 1995, n. 5485; Cass., sez. lav., 6 agosto 1996, n. 7194; Cass., sez. lav., 10 aprile 2002, n. 5101; Cass., sez. lav., 16 aprile 2004, n. 7300). 2. Sospensione facoltativa di tutta o parte dell'attività aziendale per scelta preacauzionale del datore di lavoro
Diversamente, a parere di chi scrive, laddove la sospensione di tutta o parte dell'attività aziendale non sia necessitata per eventi riconducibili all'emergenza epidemiologica da Covid-19,ma è solo una scelta precauzionale del datore di lavoro, non è prevista in tal caso alcuna sospensione dell'attività lavorativa, di conseguenza il datore di lavoro che volesse a titolo precauzionale ed unilateralmente sospendere l'attività lavorativa non è esonerato dall'obbligo di pagare la retribuzione ai lavoratori, posto che la causa giustificativa dell'integrazione deve configurare un'ipotesi di vera e propria impossibilità sopravvenuta parziale, ai sensi dell'art. 1256, c.c. (Cass. n. 4658 del 9.7.1983; Cass. n. 5454 del 20 giugno 1987, Cass. Sez. Un. n. 2034 del 28 aprile 1989, Cass. Sez. Un. n. 3679 del 10 agosto 1989, Cass. Sez. Un., n. 10016 del 12 ottobre 1990), ipotesi che, per essere tale, deve consistere nella non utilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili al datore di lavoro in quanto non prevedibili, né evitabili, né riferibili a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale (Cass. n. 6872 del 21 novembre 1986, Cass. Sez. Lav. n. 5485 del 18 maggio 1995, Cass. Sez. Lav. n. 7194 del 6 agosto 1996, Cass. Sez. Lav. n. 5101 del 10 aprile 2002, Cass. Sez. Lav. n. 7300 del 16 aprile 2004).
In queste ipotesi vi è chi ha sostenuto che il datore di lavoro possa imporre al lavoratore di usufruire di ferie già maturate (Bottini A. “Ferie già maturate, il datore può imporle” in Quotidiano del Lavoro, il Sole 24 ore, 11 marzo 2020; Maresca A. “Covid-2019: domande e risposte sulla gestione dell'emergenza da parte di imprese e lavoratori”, il Giuslavorista, Giuffrè, 14 marzo 2020), in quanto in base al d.P.C.m. 11 marzo 2020 è il Governo che raccomandando al datore di lavoro di far utilizzare le ferie al prestatore di lavoro, le renderebbe in un certo senso necessitate e le trasformerebbe in uno strumento di minimizzazione delle presenze sul luogo di lavoro e quindi di limitazione degli spostamenti delle persone.
Tuttavia, rispetto a tale tesi chi scrive ritiene siano proponibili alcune obiezioni.
In ordine al potere datoriale di determinare unilateralmente il periodo delle ferie dei dipendenti, già l'art. 7, r.d. n. 1825 del 1924 sull'impiego privato, stabiliva che «è rimessa al principale la scelta dell'epoca in cui dovrà cadere il periodo di riposo».
La scelta, di carattere meramente discrezionale propria del datore di lavoro, è stata poi attenuata con l'introduzione dell'art. 2109 c.c. nella parte in cui impone al datore di lavoro di tener conto, nella individuazione del periodo feriale, possibilmente continuativo, «delle esigenze dell'impresa e degli interessi del prestatore di lavoro».
Anche l'art. 10 della convenzione Oil n. 132/1970 stabilisce che l'epoca del congedo sarà determinata dal datore di lavoro «dopo aver consultato la persona interessata o i suoi rappresentanti», inoltre prescrive che «per stabilire l'epoca in cui il congedo sarà preso, si terrà conto delle esigenze del lavoro e della possibilità di riposo e di svago che sono offerte alla persona interessata».
Sotto il profilo normativo vi è poi da ricordare l'art. 36 Cost. che prevede la non rinunciabilità del diritto alle ferie annuali, attribuendo così rango costituzionale al diritto stesso; siccome è confermato dalla interpretazione datane dalla Corte costituzionale che ne valorizza la funzione di effettivo recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore. La stessa Corte di giustizia europea (punto 43 della sentenza Bectu del 26 giugno 2001, C-173/99; punto 28 della sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging del 6 aprile 2006, C-124/05; punto 29 della sentenza Merino Gomez del 18 marzo 2004, C-342/01), ha costantemente affermato che il diritto alle ferie costituisce un " principio particolarmente importante del diritto sociale europeo, al quale non si può derogare ".
Ragion per cui si è ritenuto che l'art. 36 Cost «non tende soltanto a limitare quantitativamente la prestazione di lavoro annuale, assicurando un puro e semplice «riposo dal lavoro», ma anche ad assicurare al lavoratore la possibilità di svolgimento di attività ricreative, sportive, turistiche, culturali, che richiedono normalmente la disponibilità di un congruo lasso di tempo libero e una adeguata programmazione, soprattutto quando il lavoratore intenda svolgerle insieme ai propri familiari (anche quest'ultima esigenza rientra sicuramente tra quelle cui l'art. 36 Cost., combinato con l'art. 29, attribuisce rilevanza nella materia in esame)…La ratio della norma sarebbe dunque in larga parte frustrata se fosse consentito al datore di lavoro di determinare il periodo delle ferie senza «tener conto» delle esigenze connesse con il pieno godimento da parte del lavoratore del periodo di riposo» (Digesto commerciale, Ichino P. e Rucci C., Voce “Ferie”, 1991).
In tal caso di contrasto fra le esigenze dell'azienda e quelle del dipendente l'interpretazione giurisprudenziale si è espressa nel senso che deve darsi prevalenza alle prime, «solo in quanto obiettive e giustificate dalla necessità di far fronte a determinate scadenze della produzione» (Cass. 24 novembre 1983, n. 7055).
Anche oggi si ritiene intollerabile un esercizio arbitrario del potere del datore di lavoro, sia in base al disposto dell'art. 2109 c.c., sia applicando le generali regole a presidio di correttezza e della buona fede nell'esecuzione del contratto. Allora, il datore di lavoro dovrà esaminare e considerare necessariamente le esigenze del lavoratore e dovrà comunque comunicare per tempo il periodo individuato ai fini della fruizione.
Ora, senza giungere alla affermazione di quella giurisprudenza di merito minoritaria, che ha forzato la disciplina legislativa fino ad asserire che il lavoratore può decidere unilateralmente il periodo feriale (cfr. in questo senso Pret. Milano 28 dicembre 1995, in Lav. Giur., 1996, 4, pag. 317; Trib. Milano 29 aprile 1998, in Lav. Giur., 1999, 11, pag. 969; Pret. Busto Arsizio 7 settembre 1998, in Riv. Crit. Dir. Lav., 1999, pag. 199, Trib. Milano 17 gennaio 2002, in Riv. Crit. Dir. Lav., 2002, pag. 413, Contra, Cass. 27 ottobre 1983, n. 6357, in Foro It. Mass., 1983; Cass. 24 novembre 1983, n. 7055, in Giust. Civ., 1984, 1, pag. 1146; Cass. 10 gennaio 1994, n. 175, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, 2, pag. 710; Cass. 11 dicembre 1996, n. 11028, in Mass. Giur. Lav., 1997, pag. 67; Cass. 10 gennaio 1994, n. 175, in Dir. Prat. Lav., 1994, pag. 893; Cass. 11 dicembre 1996, n. 11028, in Mass. Giur. Lav., 1997, pag. 67 e Cass. 14 aprile 2008, n. 9816) tuttavia, non può sottacersi che la verifica sulla valutazione delle esigenze del lavoratore può essere anche molto penetrante tanto che Cass. civ. Sez. lavoro, 24 ottobre 2000, n. 13980 giunse ad affermare che «il potere del datore di lavoro di natura discrezionale nella determinazione del periodo di ferie, non è del tutto arbitrario e privo di vincoli; nell'individuazione del periodo di ferie, egli deve contemperare le esigenze dell'impresa con gli interessi del prestatore di lavoro, in modo tale da non porre in essere un'organizzazione complessiva ingiustificatamente gravatoria nei confronti del lavoratore. Il potere del datore di lavoro è inoltre limitato da norme inderogabili, che impongono la comunicazione preventiva del periodo di godimento delle ferie, collocato comunque entro l'anno di lavoro e non successivamente», tanto che Cass. 1° ottobre 1997, n. 9607, affermò l'obbligo per l'impresa di far coincidere il periodo di ferie con le cure termali del lavoratore, prevalendo l'interesse del lavoratore.
Infine, non pare priva di rilievo l'affermazione della sentenza della Corte di Giustizia (Corte Giust. UE, 21 febbraio 2013, causa C-194/12, M.G. c. Centros Comerciales Carrefour SA) ove ha sancito che: «L'art. 7, par. 1, della direttiva 4 novembre 2003 n. 2003/88/CE, del parlamento europeo e del consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad un'interpretazione della normativa nazionale secondo la quale un lavoratore che si trovi in congedo per malattia nel periodo delle ferie annuali fissato unilateralmente nel calendario delle ferie dell'impresa in cui lavora, non ha il diritto, al termine del suo congedo per malattia, di godere delle ferie annuali in un periodo diverso da quello stabilito inizialmente, eventualmente al di fuori del corrispondente periodo di riferimento, per ragioni di ordine produttivo od organizzativo dell'impresa».
Non stupisce, allora, che alcune pronunce (Tribunale Roma Sez. lavoro Sent., 20/01/2009 C.A. c. Travertini Caucci S.p.A. Lavoro nella Giur., 2009, 4, 418) abbiamo asserito che: «Qualora il datore di lavoro disponga di propria iniziativa le ferie del lavoratore senza che le stesse rispondano ad una esigenza del lavoratore, quest'ultimo avrà senza dubbio la facoltà di far presente al datore di lavoro le proprie esigenze ed eventualmente, qualora la disposizione del datore di lavoro sia arbitraria ed illegittima, opporsi ad essa anche rifiutandosi di usufruire delle ferie e pretendendo di rendere la propria prestazione lavorativa, chiedendo di godere delle stesse in un periodo differente o programmandole con un congruo anticipo. Sempre che non abbia usufruito integralmente delle ferie, prestando, così, acquiescenza al godimento delle stesse, salvo dopo un anno chiedere il risarcimento del danno lamentando la tardiva comunicazione delle stesse».
In conclusione, per queste ragioni si ritiene che da una mera raccomandazione contenuta in una fonte di rango secondario (d.P.C.m. 11 marzo 2020) non possa farsi derivare una deroga alla disciplina prevista in materia di ferie, rendendo di fatto sempre e comunque necessitata la determinazione datoriale delle ferie. Del resto esistono già gli strumenti per il datore di lavoro per reagire all'emergenza Covid-19, senza necessità di piegare l'istituto delle ferie per fini ad esso estranei. Infatti costui può oggi accedere se vi sono i presupposti sopra menzionati a nove settimane di cassa integrazione ordinaria (d.l. 17 marzo 2020, n. 18), inoltre per i lavoratori per i quali vi è obbligo di quarantena è possibile accedere alla malattia.
Peraltro, se tali valutazioni valgono per le ferie maturate, per quelle ferie maturande chi scrive ritiene che, senza dubbio, non possano essere oggetto di disposizione, non essendo un diritto entrato ancora nel patrimonio del lavoratore. Diversamente se il datore di lavoro sceglie di svolgere l'attività aziendale con lavoro prestato al di fuori dell'unità produttiva ad opera dei dipendenti con il cd lavoro agile (in presenza dei presupposti anche di sicurezza previsti dalla legge n. 81 del 2017), in questo caso il lavoratore non può rifiutare lo svolgimento delle prestazione a pena di provvedimenti disciplinari, che possono portare anche al licenziamento, salvo sia oggettivamente impossibile per la natura della prestazione (si pensi a chi svolge le mansioni di operaio manovale edile) lo svolgimento a distanza della stessa. In questo caso il datore di lavoro dovrà effettuare una comunicazione obbligatoria depositata dal datore di lavoro sul portale istituzionale del Ministero del Lavoro.
Si aggiunga che per i lavoratori disabili la possibilità di accedere al lavoro agile diviene un vero e proprio diritto fino al 30 aprile 2020, infatti il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 ha sancito che fino a tale data i lavoratori dipendenti disabili di cui alla l. 5 febbraio 1992, n.104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile Ovviamente tale diritto è a condizionato alla compatibilità dello smart working alle caratteristiche della prestazione (art. 39).
Invece, per i lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta solo una priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile (art. 39). 4. Assenza del lavoratore per quarantena obbligatoria
Il caso della assenza per quarantena stabilita dai presidi sanitari, riguarda i lavoratori posti in osservazione, in quanto aventi sintomi riconducibili al virus. Questa ipotesi può comportare l'assenza da parte del lavoratore interessato. In tal caso l'evento è assimilabile alla malattia ora anche in forza di legge (art. 26 comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 per il lavoro privato e art. 19 comma 1, d.l. 2 marzo 2020, n. 9 per il pubblico impiego), che è intervenuta a dipanare ogni dubbio. La sua assenza dovrà essere disciplinata secondo le previsioni, di legge e contrattuali, che riguardano l'assenza per malattia, con le conseguenti tutele per la salute e la garanzia del posto di lavoro. Assenza autodeterminata da parte di lavoratori che ritengono il fenomeno dell'epidemia sufficiente di per sé a giustificare l'assenza dal lavoro, pur non sussistendo provvedimenti di Pubbliche Autorità che impediscano la libera circolazione. Un'assenza determinata dal semplice “timore” di essere contagiati, senza che ricorra alcuno dei requisiti riconducibili alle fattispecie previste, non consente dunque di riconoscere la giustificazione della decisione e la legittimità del rifiuto della prestazione. In tal caso si realizza l'assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, situazione da cui possono scaturire provvedimenti disciplinari che possono portare anche al licenziamento. Per i lavoratori che hanno necessità di accudire i figli vista la sospensione dei servizi educativi per l'infanzia e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, è inibita l'assenza da lavoro, ma possono tuttavia far ricorso ai congedi parentali.
Come si è detto il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 ha previsto dei congedi straordinari di quindici giorni di congedo al 50% di retribuzione per i lavoratori con figli fino a 12 anni di età (art. 23) e senza tale limite di età per i lavoratori che hanno figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge n. 104 del 1992 (art. 23 comma 5).
Infine, viene riconosciuto un congedo speciale non retribuito ai dipendenti con figli tra 12 e 16 anni e di durata pari al periodo di sospensione dei servizi educativi per l'infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro (art. 23 comma 6).
Rimane salva la possibilità di fruire dei congedi ordinari di cui al d.lgs. n. 251 del 2001 per i lavoratori con figli che abbia non più di 12 anni di vita per un periodo complessivo tra i due genitori non superiore a dieci mesi. In tal caso l'indennità prevista è pari al 30% della retribuzione e per un periodo complessivo di sei mesi. Se il minore ha sei anni e giorno e fino agli anni otto di età l'indennità è al 30%, solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l'importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi.
Non è dovuta nessuna indennità dagli otto anni e un giorno ai 12 anni di età del bambino (o dall'ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento).
Il decreto legislativo 25 giugno 2015, n. 81, ha previsto infine la possibilità per il lavoratore di chiedere per una sola volta la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, al posto del congedo parentale o entro i limiti del congedo ancora spettante. La riduzione dell'orario non deve però superare il 50%. In questo caso vi è un vero e proprio obbligo del datore di lavoro di esaudire la richiesta del lavoratore. Per quanto riguarda la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è stato sottoscritto il 14 marzo 2020 un protocollo tra Governo e parti sociali. A parere di chi scrive si tratta di misure che, se si volesse seguire un'interpretazione rigorosa, dovranno essere recepite tempestivamente nel documento di Valutazione dei Rischi (DVR) aziendale previa valutazione del rischio del medico competente in ossequio all'art. 29, d.lgs. n. 81 del 2008, ove si prevede che: «La valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata…in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione … A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate. Nelle ipotesi di cui ai periodi che precedono il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato, … nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali». Tuttavia, occorre evidenziare anche interpretazioni meno restrittive, ad esempio la Circolare della Regione Veneto del 2 marzo 2020 su “COVID-19: indicazioni per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari”, che espressamente precisa che non è necessario aggiornare il DVR in relazione al rischio da COVID-19, ad eccezione del caso in cui il rischio biologico sia un rischio di natura professionale già presente nel contesto espositivo dell'azienda, ma è sufficiente che l'azienda rediga un piano di intervento o una procedura interna per la gestione dei “casi specifici”.
Inoltre, quanto alle misure da attuare, già nell'allegato 1 del dpcm 8 marzo 2020 e dpcm 11 marzo 2020 si prevedevano delle basilari misure igienico sanitarie: a) lavarsi spesso le mani. Si raccomanda di mettere a disposizione in tutti i locali pubblici, palestre, supermercati, farmacie e altri luoghi di aggregazione, soluzioni idroalcoliche per il lavaggio delle mani; b) evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute; c) evitare abbracci e strette di mano; d) mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro; e) igiene respiratoria (starnutire e/o tossire in un fazzoletto evitando il contatto delle mani con le secrezioni respiratorie); f) evitare l'uso promiscuo di bottiglie e bicchieri, in particolare durante l'attività sportiva; g) non toccarsi occhi, naso e bocca con le mani; h) coprirsi bocca e naso se si starnutisce o tossisce; i) non prendere farmaci antivirali e antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico; l) pulire le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol; m) usare la mascherina solo se si sospetta di essere malati o se si presta assistenza a persone malate.
Ora, il protocollo del 14 marzo 2020 tra Governo e parti sociali, oltre a recepire tali misure ne indica ulteriori.
In primo luogo, si stabilisce che le imprese adottino un protocollo di regolamentazione all'interno dei propri luoghi di lavoro.
Inoltre, vengono previste le seguenti misure igienico sanitarie:
Si prevedono poi i seguenti obblighi di informazione per i dipendenti:
Vi sono due disposizioni che destano particolare dubbio. In primo luogo si prevede quanto alle attività formative dei dipendenti in materia di sicurezza che: “sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; è comunque possibile, qualora l'organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart work” ed “il mancato completamento dell'aggiornamento della formazione professionale e/o abilitante entro i termini previsti per tutti i ruoli/funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dovuto all'emergenza in corso e quindi per causa di forza maggiore, non comporta l'impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione (a titolo esemplificativo: l'addetto all'emergenza, sia antincendio, sia primo soccorso, può continuare ad intervenire in caso di necessità; il carrellista può continuare ad operare come carrellista)”. Tale regola sancisce la possibilità di derogare alla formazione obbligatoria laddove la stessa sia impedita dall'emergenza in corso, ma una tale previsione suscita in chi scrive più di un dubbio, posto che le disposizioni di cui al d. lgs. n. 81 del 2008 hanno natura di norma imperativa ed inderogabile, inoltre non si riesce ad immaginare una simile ipotesi di forza maggiore nella quale sia possibile la continuazione dell'attività aziendale, ma non il rispetto delle regole di sicurezza.
La seconda regola dettata dal protocollo del 14 marzo che lascia perplessi riguarda la possibilità per il datore di lavoro di sottoporre “il personale, prima dell'accesso al luogo di lavoro…al controllo della temperatura corporea. Se tale temperatura risulterà superiore ai 37,5°, non sarà consentito l'accesso ai luoghi di lavoro. Le persone in tale condizione - nel rispetto delle indicazioni riportate in nota - saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherine non dovranno recarsi al Pronto Soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguire le sue indicazioni”. La rilevazione in tempo reale della temperatura corporea costituisce un trattamento di dati personali e, pertanto, deve avvenire ai sensi della disciplina privacy vigente. A tal fine si suggerisce di: 1) rilevare a temperatura e non registrare il dato acquisto. È possibile identificare l'interessato e registrare il superamento della soglia di temperatura solo qualora sia necessario a documentare le ragioni che hanno impedito l'accesso ai locali aziendali; 2) fornire l'informativa sul trattamento dei dati personali. Si ricorda che l'informativa può omettere le informazioni di cui l'interessato è già in possesso e può essere fornita anche oralmente».
Se la temperatura corporea del dipendente è, all'evidenza, un dato personale, tale controllo non potrebbe essere imposto dal datore di lavoro, poiché la normativa sulla tutela della privacy (decreto legislativo, 10 agosto 2018, n. 101) prevede che il trattamento del dato è subordinato al consenso informato del titolare, secondo le modalità ivi previste. Né potrebbe farsi rientrare tale controllo nelle ipotesi di sorveglianza sanitaria, che sono solo quelle tipiche previste dall'art. 41, d. lgs. n. 81 del 2008: a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente; c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla mansione specifica; e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente; e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva; e-ter) visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l'idoneità alla mansione).
Tuttavia, il Protocollo prevede poi nella nota 1 che: «Prima di raccogliere qualsiasi informazione e di svolgere controlli sullo stato di salute, gli individui devono ricevere un'informativa privacy che contenga tutte le informazioni richieste dal Regolamento privacy e che, quindi, illustri in dettaglio (tra l'altro) le modalità e finalità del trattamento, i tempi di conservazione dei dati e i soggetti a cui le informazioni saranno comunicate. Inoltre, le persone devono fornire il loro consenso esplicito che dovrà specificatamente far riferimento alle finalità e modalità del trattamento che dovranno essere comunque conformi al principio di minimizzazione», la qual cosa chiarisce quindi che non è possibile alcuna imposizione e non si può prescindere dal consenso del lavoratore. |