Il giudice dell'opposizione in tema di spese di giustizia “deve” richiedere d'ufficio gli atti e documenti necessari per la decisione

19 Marzo 2020

La questione affrontata dalla Suprema Corte è la seguente: come va interpretata la previsione del comma 5 dell'art. 15 d.lgs. n. 150/11, secondo cui, nell'opposizione a decreto di pagamento delle spese di giustizia, il giudice “può” chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione? Si tratta, cioè, di una facoltà discrezionale del giudice oppure di un potere-dovere che egli è tenuto ad esercitare in attenuazione degli ordinari criteri di riparto dell'onere probatorio?
Massima

In tema di opposizione, ex artt. 84 e 170 d.P.R. n. 115/02 e 15 d.lgs. n. 150/11, avverso il provvedimento di rigetto della domanda di liquidazione del compenso spettante al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il giudice ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione, essendo la locuzione “può” contenuta nel comma 5 del predetto art. 15 da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere “causa cognita”, e non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova.

Il caso

Il tribunale di Roma respingeva l'opposizione proposta dall'avv. Tizio, ai sensi degli artt. 84 e 170 d.P.R. n. 115/02 e 15 d.lgs. n. 150/11, avverso il provvedimento di rigetto della domanda di liquidazione del compenso per l'attività difensiva espletata, in un procedimento di pignoramento presso terzi, in favore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Il tribunale rilevava, invero, il mancato deposito, da parte dell'opponente, della nota spese e della delibera di ammissione al predetto beneficio.

L'avv. Tizio proponeva, avverso la predetta ordinanza, ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., deducendo la violazione e falsa applicazione del comma 5 del citato art. 15 d.lgs. n. 150/11, in quanto il giudice del merito avrebbe dovuto richiedere d'ufficio il fascicolo inerente al giudizio in cui era stata svolta l'attività difensiva, al fine di acquisire la documentazione ritenuta carente in sede di opposizione. Peraltro, l'avvenuta ammissione della cliente dell'avvocato al patrocinio a spese dello Stato costituiva fatto pacifico, che era stato dato per ammesso anche dal primo giudice, che per altre ragioni aveva rigettato l'istanza di liquidazione.

La questione

Come va interpretata la previsione del comma 5 dell'art. 15 d.lgs. n. 150/11, secondo cui, nell'opposizione a decreto di pagamento delle spese di giustizia, il giudice “può” chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione? Si tratta, cioè, di una facoltà discrezionale del giudice oppure di un potere-dovere che egli è tenuto ad esercitare in attenuazione degli ordinari criteri di riparto dell'onere probatorio?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso.

Ed invero, partendo dal rilievo per cui l'opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/02 non è un mezzo di impugnazione, bensì atto introduttivo di un procedimento contenzioso nel quale il giudice adito deve verificare la correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante (Cass. civ., 22 gennaio 2018, n. 1470), viene ribadito l'orientamento, già recentemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., 16 febbraio 2017, n. 4194; Cass. civ., 2 ottobre 2015, n. 19690), secondo cui il giudice di cui all'art. 15 d.lgs. n. 150/11 ha il potere-dovere di richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, essendo la locuzione “può” contenuta in tale norma da intendersi non come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere-dovere di decidere “causa cognita”, senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull'onere della prova.

Il giudice di merito ha, quindi, errato nel disattendere la domanda di liquidazione solo perché non risultava essere stata prodotta la nota spese, atteso che lo stesso, essendo tenuto a procedere autonomamente all'accertamento delle somme dovute al difensore della parte ammessa al beneficio, avrebbe dovuto in ogni caso, in ordine al quantum, richiedere gli atti, i documenti e le informazioni necessarie ai fini della decisione, senza arrestare la propria valutazione al mero riscontro dell'assenza in atti della nota spese e del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Si è, infatti, già precisato in giurisprudenza che i poteri istruttori officiosi che caratterizzano il procedimento di liquidazione dei compensi dei difensori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato (nonché dei compensi degli ausiliari del giudice) riguardano non solo la determinazione del quantum, ma anche la verifica dell'an, tanto che la parte istante non è obbligata ad indicare né a documentare l'iscrizione dell'avvocato nell'elenco di cui all'art. 81 d.P.R. n. 115/02, trattandosi di elenco avente natura pubblica e potendo, comunque, il giudice, ai sensi dell'art. 15, comma 5, d.lgs. n. 150/11, richiedere le informazioni necessarie ai fini della decisione (Cass. civ., 7 maggio 2015, n. 9264).

Peraltro, secondo la pronuncia in commento, la circostanza che il Ministero della Giustizia, costituito nel giudizio di opposizione, non avesse contestato l'esistenza del provvedimento di ammissione al beneficio, avrebbe potuto essere adeguatamente valorizzata ai sensi dell'art. 115 c.p.c.

La Suprema Corte ha, quindi, cassato il provvedimento impugnato, con rinvio al tribunale di Roma in persona di diverso magistrato.

Osservazioni

La pronuncia in commento risulta senz'altro condivisibile, alla luce del costante orientamento della giurisprudenza in ordine alla natura contenziosa del giudizio in esame, in cui il giudice, attivando i poteri istruttori officiosi normativamente assegnatigli, deve procedere all'accertamento della correttezza della liquidazione in base ai criteri legali, a prescindere dalle prospettazioni dell'istante, con il solo obbligo di non superare la somma richiesta, nel rispetto dell'art. 112 c.p.c., e di regolare le spese secondo il principio della soccombenza (Cass. civ., 22 gennaio 2018, n. 1470).

In effetti, le controversie previste dall'art. 170 d.P.R. n. 115/02, inerenti al giudizio di opposizione in materia di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice e dei difensori delle parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dall'art. 15 d.lgs. n. 150/11.

La pronuncia sull'opposizione spetta alla competenza funzionale di un giudice monocratico del Tribunale o della Corte d'appello cui appartiene il magistrato che ha emanato il provvedimento di liquidazione oggetto di impugnazione, da identificare con il Presidente del medesimo ufficio giudiziario o con un giudice da questo delegato (Cass. civ., 12 settembre 2019, n. 22795; Cass. civ., 15 giugno 2012, n. 9879), sicché la decisione assunta dal tribunale in composizione collegiale è nulla per vizio di costituzione del giudice ai sensi dell'art. 158 c.p.c., in quanto esplicazione di funzioni decisorie da parte di magistrati ai quali le stesse non sono attribuite dalla legge (Cass. civ., 25 luglio 2017, n. 18343).

Sotto il profilo della giurisdizione, si è precisato che spetta al giudice ordinario conoscere dell'opposizione proposta, ai sensi dell'art. 15 in esame, avverso il decreto di liquidazione del compenso in favore di un avvocato per l'attività da lui prestata, nell'interesse di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato, in un procedimento svoltosi davanti al giudice amministrativo, atteso che quello al compenso è un diritto soggettivo non degradabile ad interesse legittimo, nè la menzionata disposizione, qualificabile come norma sulla competenza e non anche sulla giurisdizione, ha introdotto un'ulteriore, eccezionale ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cass. civ., Sez. Un., 23 dicembre 2016, n. 26908).

Il termine per la proposizione dell'opposizione è di 30 giorni dalla comunicazione o notificazione del decreto di liquidazione, dovendo trovare applicazione l'art. 702quaterc.p.c. (Cass. civ., 21 febbraio 2017, n. 4423; Corte cost. 12 maggio 2016, n. 106).

Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente.

L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'art. 5 d.lgs. n. 150/11. Nel caso di mancata comparizione delle parti ad un'udienza, il giudice non può dichiarare l'improcedibilità del ricorso, ma deve disporre rinvio ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c. (Cass. civ., 31 ottobre 2018, n. 27915).

Nel giudizio di opposizione tutte le parti del processo nel quale il provvedimento impugnato è stato emesso sono contraddittori necessari, unitamente al beneficiario e ai soggetti comunque chiamati a corrispondere il compenso all'ausiliario (ad es., gli eredi di una delle parti frattanto deceduta); l'omessa notifica del ricorso che fissa l'udienza di comparizione a uno di questi contraddittori necessari, ove manchi la partecipazione di costui al procedimento di opposizione al decreto, determina non l'inammissibilità del ricorso ma la nullità dell'ordinanza che definisce il giudizio (Cass. civ., 7 dicembre 2010, n. 24786). Invece, la mancata tempestiva notifica del ricorso e del decreto di comparizione delle parti non dà luogo all'inammissibilità dell'opposizione, ma comporta il dovere del giudice di disporre la rinnovazione della notifica ex art. 291 c.p.c. (Cass. civ., 19 dicembre 2013, n. 28420; Cass. civ., 2 febbraio 2011, n. 2442).

In particolare, nei procedimenti di opposizione a liquidazione inerenti a giudizi civili e penali suscettibili di restare a carico dell'erario (ad es. patrocinio a spese dello Stato), è parte necessaria il Ministero della Giustizia (Cass. civ., 6 marzo 2018, n. 5314; Cass. civ.,Sez.Un.,29 maggio 2012, n.8516); in tale ipotesi non opera il foro erariale (Cass. civ., 13 dicembre 2011, n. 26791).

Deve, poi, rammentarsi che il procedimento di opposizione in esame introduce una controversia di natura civile, anche se il decreto di liquidazione opposto sia stato pronunciato in un giudizio penale, e deve quindi essere trattato da magistrati addetti al settore civile: la violazione di tale regola, tuttavia, non determina nè una questione di competenza nè una nullità (Cass. civ., 30 aprile 2012, n. 6600).

Per quanto attiene ai limiti del giudizio oppositivo, avverso il decreto di liquidazione dei compensi al CTU sono ammissibili solo le censure che si riferiscano alla liquidazione del compenso, mentre non possono proporsi questioni relative all'utilità e validità della consulenza tecnica, che attengono al merito della causa e vanno fatte valere nella relativa sede (Cass. civ., 30 aprile 2012, n. 6598), sicché il giudice investito dalla opposizione deve accertare solo se l'opera svolta dal consulente sia rispondente ai quesiti propostigli e, in ogni caso, valutare, sotto il profilo qualitativo, la difficoltà dell'indagine, la completezza ed il pregio della prestazione fornita (Cass. civ., 4 febbraio 2016, n. 2194).

Se non viene tempestivamente impugnato, il decreto di liquidazione assume valore di cosa giudicata, ragion per cui, in sede di opposizione a precetto, la parte intimata non può chiedere che ne vengano valutati i profili di merito (Cass. civ., 22 febbraio 2017, n. 4545).

L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile, ed è quindi ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.

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