COVID-19: considerazioni essenziali sugli effetti della legislazione processuale d'emergenza nel processo tributario
20 Marzo 2020
I decreti legge di marzo 2020
Al fine di contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria interviene il decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 (Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria). Si tratta di un atto normativo specificamente dedicato agli istituti processuali, tant'è che risulta rubricato “differimento urgente delle udienze e sospensione dei termini nei procedimenti civili, penali, tributari e militari” e, al comma primo, ha disposto il rinvio d'ufficio delle udienze sino al 22 marzo 2020, ad eccezione di quanto previsto dall'art. 2, comma 2, lett. g). Inoltre, il giorno successivo, il d.p.c.m. dell'11 marzo 2020 ha recato ulteriori disposizioni estendendo all'intero territorio nazionale le misure restrittive dell'art. 1 del d.p.c.m. 8 marzo 2020 e così di fatto ha sostanzialmente impedito salvo casi eccezionali lo spostamento delle persone sul territorio nazionale, necessario per il funzionamento ordinario della giurisdizione sia di merito, sia di legittimità. In ultimo, il cd. Decreto Covid ter (o “cura Italia”), vale a dire il decreto legge 17 marzo 2020 n. 18, all'art. 83 ha prorogate fino al 15 aprile 2020 le misure già adottate di rinvio delle udienze civili, penali e amministrative, con le relative sospensioni dei termini già adottate precedentemente fino al 22 marzo 2020, abrogando gli artt. 1 e 2 del d.l. n. 11 già ricordato ma sostanzialmente riproponendone le previsioni essenziali nel proprio testo. Letti quindi consecutivamente, i decreti n. 11 e n. 18 di cui si tratta costituiscono ora l'ossatura essenziale di questa normativa processuale “emergenziale”. Essa consta di due parti. La prima individua un lasso temporale, in ordine al quale si introduce una prima disciplina ad hoc diretta a consentire agli Uffici Giudiziari di affrontare – in una sorta di pronto soccorso processuale – le prime emergenze poste dai vincoli alla mobilità delle persone previsti dapprima dall'art. 10 del d.l. 2 marzo 2020, n. 9, poi dallo stesso d.l. in commento, che le estende all'intero territorio nazionale. Nel frattempo, in applicazione proprio del d.l. 8 marzo 2020 n. 11 di cui si è detto, quanto alla Corte Suprema di cassazione il Primo Presidente con decreto del 9 marzo 2020 ha adottato disposizioni generali per la prima fase, disponendo che nelle due settimane tra il 9 e il 22 marzo tanto per il settore civile, inclusa la sezione V tributaria, quanto avanti alle sezioni penali, e salve le eccezioni previste dall'art.2, comma 2, lett. g) del d.l. n.11/2020, «non saranno celebrate le udienze, quale che sia la forma processuale per esse prevista (udienza pubblica, camerale partecipata, camerale non partecipata, de plano, ecc.)» e le relative cause sono rinviate a nuovo ruolo. Analoghi provvedimenti risultano presi da svariati Uffici di merito, oltre che da numerosi Presidenti di Commissioni Tributarie provinciali e Regionali. Secondariamente, i decreti individuano e concettualmente recintano un secondo regime costituente una sorta di deroga rispetto al sistema processuale ordinario – o costituente disposizione eccezionale, come probabilmente risulta in concreto essere, tanto che lo si è anche denominato “d'emergenza” – previsto per una più prolungata gestione degli adempimenti processuali in un contesto se non più emergenziale certamente privo di caratteri di ordinario funzionamento del sistema e degli Uffici. Una seconda fase, decorrente dal 16 aprile marzo sino al 30 giugno 2020 (originariamente sino al 30 maggio 2020) in cui è prevista la ripresa dell'attività giudiziaria anche non urgente, ma in modalità diverse da quelle ordinarie. L'art. 1, comma 4, del decreto legge 8 marzo 2020, n. 11 prevedeva poi espressamente che «le disposizioni del presente articolo, in quanto compatibili, si applicano altresì al procedimenti relativi alle commissioni tributarie». Tale art. 1 risulta abrogato dall'art. 84 d.l. “cura Italia”, ma sul punto il contenuto della previsione appena riportata è nuovamente introdotto dal comma 21 del più recente d.l., e resta quindi in vigore. La prima disciplina introdotta dal decreto è quella – come detto – riferita al cd. periodo “cuscinetto” (originariamente individuato nel periodo dal 9 al 22 marzo, corrispondente con l'esplosione del contagio acuto da COVID-19) per il quale il Legislatore ha rinviate di ufficio tutte le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti dinanzi a tutti gli uffici giudiziari italiani, con le sole eccezioni espressamente indicate. Detta scelta è stata evidentemente fondata puramente sulla necessità, affrontata sul mero piano organizzativo, il più urgente, di ottenere un subitaneo e quanto più possibile efficace contenimento della diffusione dell'epidemia, visto che la normale attività giudiziaria è sconvolta dall'improvvisa precarietà degli spostamenti e della stessa salute di tutti i potenziali interessati, a cominciare da quella dei lavoratori del settore. Con la sola eccezione di casi tassativamente indicati nel decreto, l'intera attività giurisdizionale è stata quindi puramente e semplicemente differita a dopo il 22 marzo (rectius: dopo il 15 aprile stante la proroga ex d.l. “cura Italia”); per vero il testo del d.l. si limita a menzionare le udienze, quali “luogo di concentrazione di numerose persone”. E ciò introduce un autonomo profilo meritevole di riflessione. L'attività giudiziaria – anche quella tributaria – non si esaurisce però nelle udienze; essa riguarda e consta anche di altri momenti nondimeno indispensabili per l'ordinato svolgimento della stessa; basti pensare in primo luogo a quella fase del giudizio che non si svolge alla presenza dei difensori delle parti, e nondimeno – sia pur sprovvista di pubblicità – veda la concentrazione di più persone. La norma relativa alla giustizia civile, quindi, pur riferendosi alle udienze, non si limita ad esse in quanto è evidente che la ratio consiste nel rinviare ogni attività giudiziaria foriera di provocare quella concentrazione antropica che risulta pericolosa e quindi va evitata. Pertanto, vanno rinviate tutte le attività ad esse assimilabili e se del caso previste per la peculiarità del singolo rito: basti pensare sia all'adunanza nel caso dei subprocedimenti per la sospensione dell'efficacia esecutiva delle sentenze di appello, di cui all'art. 373 c.p.c., il quale prevede un procedimento camerale, sia alla riunione in camera di consiglio del Collegio, esaurita la discussione, ai fini di deliberare la decisione. Tal principio trova applicazione, nondimeno, nel processo avente per oggetto le pretese impositive dell'Erario e del concessionario per la riscossione, secondo le particolari caratteristiche del processo e del rito ivi applicabile. Il processo tributario tra sospensione dei termini e differimento delle udienze
Nel processo tributario, infatti, a fronte di un procedimento di primo grado sostanzialmente unico, vanno ricordate le due forme di svolgimento dello stesso: la trattazione in camera di consiglio – naturale forma di sviluppo dell'impugnativa del ricorrente avverso l'atto impositivo – e la discussione in pubblica udienza (rispettivamente disciplinati dagli artt. 33 e 34 d.lgs. n. 546/1992) – modalità alternativa al giudizio camerale, in quanto accessibile solo su istanza di una parte. La prima attività processuale è espressamente “non partecipata” (art. 33, comma 2, d.lgs. n. 546/1992); la seconda al contrario prevede non solo la presenza delle parti e dei loro difensori, ma addirittura di chiunque ritenga di assistere alla discussione della controversia. Tali modalità processuali sono estese al grado di appello dall'art. 61, d.lgs. n. 546/1992. Peraltro, nel tessuto normativo in oggetto andrebbe a mio modo di vedere individuata non solo la ratio “emergenziale” – che marca particolarmente il territorio concettuale nella disciplina costituente la prima parte – ma anche quella più propriamente processuale; non ritengo debba escludersi l'intento del legislatore di intervenire in via subordinata anche sul processo, quale insieme di soggetti, atti e poteri diretti all'attuazione di un diritto sostanziale, all'ottenimento di un bene della vita, data la situazione di eccezionalità che la pandemia di cui si è detto ora pone a tutti i consociati. In tale ottica, che deve quindi salvaguardare il funzionamento del complesso meccanismo che ha l'effetto di produrre, in ultimo, una sentenza che definisce la controversia, ritengo dovesse interpretarsi anche il disposto dell'art. 1, comma 2, del decreto leggen. 11 dell'8 marzo 2020, secondo il quale«a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 marzo 2020 sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo». La disposizione, peraltro, risulta ora – come si è detto – espressamene abrogata dall'art. 83 comma 22 del d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, e integralmente sostituita dal terzo periodo del comma 2 del medesimo d.l. n. 18 secondo il quale «ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto». La più recente previsione disciplina espressamente la fattispecie del cd. termine “a ritroso”, imponendone il rispetto e quindi vincolando il giudice dell'udienza o il soggetto che deve tenere l'attività ad esso connessa a differire tal incombenza. Il chiarimento risulta del tutto opportuno, poiché consente di provvedere a tali differimenti in piena serenità e così scongiurare sia nullità processuali per lesione del diritto di difesa, sia decadenze “a sorpresa”. Peraltro, per una lettura così orientata, anche nel vigore del d.l. n. 11, si erano espresse sia la Relazione Illustrativa al decreto legge in commento della Presidenza del Consiglio dei Ministri e datata 11 marzo 2020, sostitutiva della precedente, sia la nota di aggiornamento a commento del medesimo atto legislativo già richiamato del Consiglio Nazionale Forense. È chiaro che ciò comporterà conseguenze per la ripresa dell'attività giudiziaria, in tutti i casi in cui l'udienza è preceduta dalla scadenza di termini processuali, come ad esempio per il deposito di memorie, suscettibile di comportare un differimento della ripresa delle attività di udienza ben oltre il termine di cessazione della sospensione. Basti pensare al procedimento avanti alla Corte di Cassazione, in particolare al rito avanti alle sezioni civili inclusa la V sezione tributaria e alle ripercussioni sul deposito delle memorie che nei procedimenti camerali è oggi regolato dall'art.380-bis 1 c.p.c. mentre ai fini delle udienze pubbliche resta di cinque giorni ex art.378 c.p.c. in forza dell'art. 1-bis, d.l. 31/08/2016, n. 168, conv. con legge 25.10.2016, n. 197 inserito dal decreto sull'efficientamento del processo secondo il quale «Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio». Analogamente, di fronte alle Commissioni tributarie provinciali e regionali, l'art. 32 d.lgs. n. 546/1992 consente analoga facoltà prevedendo che le parti «possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima della data di trattazione osservato l'art. 24, comma 1. Fino a dieci giorni liberi prima della data di cui al precedente comma ciascuna delle parti può depositare memorie illustrative con le copie per le altre parti. 3. Nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima della data della camera di consiglio». L'interpretazione sopra preferita, peraltro, non era univocamente accettata nel vigore del d.l. che precedeva la pubblicazione in G.U. del d.l. “cura Italia”: secondo il parere reso dal Consiglio di Stato nell'Adunanza della Commissione speciale del 10 marzo 2020, era da escludersi che il richiamo dell'art. 54 d.lgs. n. 104/2010 da parte dell'art. 3 del d.l.n. 11/2020 comportasse una vera e propria sospensione dei termini processuali nel periodo che andava – in allora - dall'entrata in vigore del d.l. 11 marzo 2020 al 22 marzo 2020. La Commissione aveva peraltro preso in esame il testo dell'art. 3 d.l. n. 11 dell'8 marzo 2020, che non proferiva parola quanto alla sospensione di termini, e si è espressa i nel senso che «il periodo di sospensione riguardi esclusivamente il termine decadenziale previsto dalla legge per la notifica del ricorso (artt. 29, 41 c.p.a.)» e non anche gli altri termini endoprocessuali. La conclusione era raggiunta muovendo dalla duplice considerazione – fondata in entrambe le sue articolazioni solo sulle previsioni legislative che disciplinano il processo amministrativo, non ritrovandone altre nel d.l. in commento – che «con precipuo riguardo al termine per il deposito del ricorso (art. 45 c.p.a.) e soprattutto a quelli endoprocessuali richiamati dal già citato art. 73, comma 1, c.p.a., non si ravvisano le medesime esigenze che hanno giustificato la sospensione delle udienze pubbliche e camerali perché trattasi di attività che il difensore può svolgere in via telematica e senza necessità di recarsi presso l'ufficio giudiziario. Non appare esservi, dunque, alcun pericolo per la salute dei difensori né si moltiplicano le occasioni di contatto sociale e dunque le possibilità di contagio»; e che «se la rapida diffusione dell'epidemia giustifica pienamente il rinvio d'ufficio delle udienze pubbliche e camerali, disposto dal decreto nel periodo che va dall'8 al 22 marzo 2020, allo scopo di evitare, nei limiti del possibile, lo spostamento delle persone per la celebrazione delle predette udienze, nonché la trattazione monocratica delle domande cautelari (salva successiva trattazione collegiale), sempre allo scopo di evitare lo spostamento delle persone e la riunione delle stesse all'interno degli uffici giudiziari, non sembra reperirsi adeguata giustificazione, invece, per la dilatazione dei termini endoprocessuali». Secondo il Consiglio di Stato, in buona sostanza, non si trattava affatto di un'applicazione eccezionale dell'istituto della sospensione dei termini processuali contemplato dall'art 54 del d.lgs.n. 104/2010, ma di una sospensione del solo termine per la notifica del ricorso giustificata da una ratio normativa che si prefigge di evitare gli spostamenti delle persone e la loro riunione presso gli uffici giudiziari. Al riguardo si segnala altresì che le disposizioni di coordinamento dettate dal Presidente del Consiglio di Stato con il decreto 71 del 10 marzo 2020 precisano che «trattasi di avallo esegetico che, seppur autorevole, non ha efficacia cogente per i giudici chiamati a decidere sul caso concreto, sicchè non può che confidarsi, al fine di una effettiva, pronta e corale reazione alla diffusione epidemiologica che non sacrifichi oltremodo l'efficienza e la capacità di risposta del sistema giudiziario amministrativo, in un atteggiamento pienamente collaborativo dell'avvocatura e dei singoli avvocati che si traduca in una sostanziale rinuncia ad avvalersi, per quanto concerne il deposito telematico degli atti defensionali di cui all'art. 73, comma 1, c.p.a., della sospensione di cui all'art. 3 comma 1 d.l. n. 11/2020. Ora, però, la questione è risolta espressamente dall'art. 84 del d.l. n. 18/2020 che al comma 1 secondo periodo espressamente prevede: «tutti i termini relativi al processo amministrativo sono sospesi, secondoquanto previsto dalle disposizioni di cui all'articolo 54, commi 2 e 3, del codice del processo amministrativo». Quanto al processo tributario, le sopra dette considerazioni assumono valenza di mero indizio sistematico, ma non influiscono sul processo avente ad oggetto la legittimità di atti impositivi – quantunque lo stesso abbia similitudini a più livello con il processo amministrativo, in quanto anche in esso si discute e decide sulla legittimità di atti dell'Amministrazione pubblica – dal momento che l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 dispone: che «i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile». In questo contesto, risulta preziosa la puntualizzazione di cui all'ultimo periodo del comma 2 d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, secondo il quale «si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all'articolo17-bis, comma 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992 n. 546»; si tratta infatti di istituti (il ricorso in primo grado alla Commissione tributaria provinciale e l'istanza di mediazione ivi contenuta) che si collocano autonomamente rispetto agli atti e agli istituti tipizzati nel codice di rito, per i quali poteva non risultare sufficiente il mero generico richiamo ai termini processuali per ritenerli compresi nella sospensione. Come indicato anche dalla Relazione illustrativa al d.l. “cura Italia”, il riferimento, quanto alla procedura di reclamo e mediazione di cui all'art. 17-bis surrichiamato è quello che impone la conclusione di tal sub-procedimento nei novanta giorni dalla notifica del ricorso; anch'esso risulta quindi differito. Viene infine opportunamente inserita nel d.l. in commento una conclusiva disposizione di richiamo, anche per i processi civili - quindi inclusi quelli tributari - all'art. 2, comma 5, destinata ad operare nei procedimenti nei quali le udienze sono rinviate, quanto allo scomputo del periodo di rinvio ai fini del calcolo dei termini di ragionevole durata del processo ai sensi della cd. legge Pinto. Fattispecie escluse e processo tributario
La disciplina in esame prevede poi una serie di procedimenti sottratti alla sospensione generalizzata: si tratta di procedimenti civili relativi a diritti fondamentali, rispetto ai quali anche l'epidemia risulta in sostanza postergata dovendo anche in tempi così eccezionali farsi luogo alla risposta del sistema alla domanda giudiziale di tutela. Gli stessi sono individuati mediante il richiamo operato dall'art. 1, comma 1, del decreto legge all'art. 2, comma 2, lett. g), n. 1 d.l. n. 11/2020 ora abrogato, il cui contenuto è riproposto all'art. 83 comma 3 d.l. “cura Italia” e si possono distinguere in eccezioni previste espressamente dalla legge ed eccezioni derivanti dalla valutazione del giudice quanto alla loro eccezionalità che le rende meritevoli di trattazione spedita anche in questa circostanza. Stante l'oggetto di questo contributo, non mi soffermerò sulle prime con la sola eccezione di quelle previste dalla lett. a) dell'art. 83 comma 3 surrichiamato, che richiama «i procedimenti di cui agli artt. 283 (provvedimenti sull'esecuzione provvisoria in appello), 351 (provvedimenti sull'esecuzione provvisoria) e 373 (sospensione dell'esecuzione) c.p.c.». Non è infatti del tutto chiaro – nel silenzio del legislatore dell'urgenza – se in tali procedimenti possano rientrare quelli relativi alla sospensione della sentenza della CTP impugnata di fronte alla CTR, o della sentenza della CTR oggetto di ricorso per cassazione. La sola disposizione che potrebbe rilevare, sul punto, è l'art. 52 comma 2 d.lgs. n. 546/1992 che prevede – dal 1° gennaio 2016 – che «l'appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile». La seconda tipologia di eccezioni, necessariamente rimessa ad un provvedimento del giudice, riguarda invece tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione può produrre grave pregiudizio alle parti: in tal caso, la dichiarazione di urgenza è fatta dal capo dell'ufficio giudiziario o dal suo delegato in calce alla citazione o al ricorso, con decreto non impugnabile e, per le cause già iniziate, con provvedimento del giudice istruttore o del presidente del collegio, egualmente non impugnabile, come prevede l'ultimo periodo della lett. a) del comma 3 dell'art. 83 d.l. “cura Italia”. Il richiamo al concetto di “grave pregiudizio” (anche se sprovvisto della ulteriore specificazione in ordine alla “irreparabilità” dello stesso) suggerisce immediatamente il rimando al procedimento cautelare di cui agli artt. 47 e 47-bis d.lgs. n. 56/1992; secondo il primo testo «il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22»; il successivo articolo prevede analoga possibilità con riferimento agli atti diretti a recuperare aiuti di Stato. Resta quindi da chiarire se per questi procedimenti possa provvedersi in tal senso da parte del capo dell'Ufficio, autonomamente in sede di disamina dell'istanza di sospensione o – come è più probabile – su istanza del ricorrente. Una finalità generalizzata di protezione di interessi essenziali e non rinunciabili neppure in tempo di epidemia dovrebbe indurre a ritenere ragionevole una interpretazione decisamente ampia dei casi di sottrazione al generale differimento e sospensione; ferma restando ovviamente l'esigenza di non provocare eccessivi disagi a chi deve partecipare all'attività giudiziaria. Tal esigenza non mi pare possa considerarsi del tutto recessiva anche in quanto direttamente connessa ad essa è quella, generale, tutelata dall'art. 32 Cost., di contenere la diffusione del contagio. In concreto, quindi, il punto resta ad ora del tutto oscuro. De iure condendo, potrebbe peraltro ovviarsi con una previsione legislativa d'urgenza o regolamentare che stabilisse la sospensione generalizzata degli atti di riscossione in corso di causa, ovviamente in via temporanea, con ciò rendendo insussistente il periculum in mora in capo al contribuente. La prospettiva futura: una considerazione di sistema anche per il processo de quo
In concreto, il sistema di diritto emergenziale sopra sommariamente descritto assegna ai dirigenti degli uffici giudiziari il compito e la responsabilità, previa interlocuzione con l'autorità sanitaria e l'avvocatura, di adottare misure organizzative, anche incidenti sulla trattazione dei procedimenti, caso per caso valutate necessarie sulla scorta delle emergenze epidemiologiche che pone il territorio di riferimento. Tra queste, il d.l. dell'8 marzo 2020 n. 11 prevedeva: «f) la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell'udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione delle parti. Prima dell'udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. All'udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell'identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale». Tal previsione è sostanzialmente riproposta nel d.l. “cura Italia” al comma 7, sempre alla lett. f). Proprio questa previsione appare costituire occasione preziosa per l'implementazione decisiva del processo tributario telematico negli uffici dove già opera o per la sua introduzione, finalmente, dove ancora non è stato adottato concretamente, come ad esempio presso la Corte suprema di cassazione. Il Processo Tributario Telematico (PTT) è obbligatorio per i giudizi instaurati, in primo e secondo grado, con ricorso/appello notificato a partire dal 1° luglio 2019: i servizi del PTT sono assicurati sette giorni su sette e 24 ore al giorno. L'articolo 16 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119 convertito in legge 17 dicembre 2018, n. 136, modificando l'articolo 16-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha, infatti, stabilito che dal 1° luglio 2019, la notifica e il deposito degli atti processuali presso le segreterie delle Commissioni tributarie sono eseguiti esclusivamente in modalità telematica. Certo, la previsione surrichiamata potrebbe intervenire, se così interpretata, sulla fase della trattazione della causa (secondo i riferimenti generali del processo civile), il cui corrispondente nel processo tributario (ferma la dicotomia di cui si è detto) è la trattazione in camera di consiglio ex art. 33 d.lgs. n. 546/1922 o in alternativa la discussione in pubblica udienza ex art. 34 d.lgs. n. 546/1992. La trattazione, ex art. 180 c.p.c., in realtà costituisce l'attività che conduce al giudizio ad esclusione della fase istruttoria, ed è orale. Tal caratteristica di oralità indica la prevalenza di tale forma espressiva, non però la radicale esclusione della forma scritta, nel processo civile. La trattazione della causa scritta è stata inclusa nella prassi dello scambio di memorie, certamente in grado di evitare lunghe discussioni e interminabili verbalizzazioni. Potrebbe ora rilevarsi, invece, una sorta di favor sopravvenuto, alla luce dei nuovi mezzi tecnologici, verso la partecipazione all'udienza resa idonea ai fini che il processo si prefigge con la comparizione reale della parte perfezionata a mezzo di difensore con collegamento da remoto. Tale modalità consente nel concreto la trattazione orale della causa e quindi l'immediatezza e concentrazione della stessa, garantisce il rispetto delle esigenze di salute pubblica poste dall'emergenza COVID-19, tutela la continuità del servizio giustizia tributaria e non pregiudica in alcun modo i diritti delle parti. Resta l'ulteriore ostacolo interpretativo che potrebbe porsi in forza di una lettura più rigorosa della norma tesa ad escludere dal novero delle udienze «che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti», quindi a comparizione figurata, tutte quelle in cui è ammessa la presenza delle parti personalmente impedirebbe la sua applicazione a tutte le udienze civili, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 84 disp. att. c.p.c., le parti possono partecipare a qualsiasi udienza inerente la loro causa. Ritengo sommessamente, che il legislatore abbia voluto fare riferimento a quelle udienze per il cui svolgimento è sufficiente la presenza dei difensori; diversamente l'applicabilità della disposizione sarebbe fortemente compressa per non dire quasi del tutto esclusa. In tal senso, nel processo tributario non si danno casi nei quali la presenza – intesa come comparizione personale non delegabile neppure al difensore – delle parti è richiesta; non si pone il problema per le udienze di escussione dei testimoni stante il divieto di testimonianza del processo de quo, e di espletamento dell'interrogatorio formale, pure non ammesso come prevedono rispettivamente l'art. 7 comma 4 d.lgs. n. 546/1992 e lo stesso art. 7 comma 1 appena citato congiuntamente interpretato con l'art. 32 comma 1 n.2) d.P.R. n. 600/1973 (che ammette, quale richiesta di chiarimenti, invece, il solo interrogatorio libero). Potrebbe forse dubitarsi quanto alle le udienze di giuramento del CTU ex art. 193 c.p.c. e quelle in cui il CTU comunque interviene su disposizione del giudice ai sensi dell'art. 197 c.p.c., poiché sempre l'art. 7 comma 2 d.lgs. n. 546/1992 consente l'ingresso – in verità limitato, nel concreto – della consulenza tecnica nel processo tributario. Conclusivamente, va dato atto di come un netto favor per tali innovativi mezzi di esercizio della funzione giurisdizionale sia stato manifestato, nell'esercizio dei compiti istituzionali, dallo stesso CSM. L'organo di autogoverno della magistratura con la delibera dell'11 marzo 2020 in tema di emergenza COVID-19 ha formulato un chiaro invito ai dirigenti degli Uffici: «quanto alle modalità di celebrazione delle udienze civili, si raccomanda, ove possibile, di consentire l'esercizio da parte dei giudici della facoltà di cui all'art. 2, comma 2 lett. h)», poiché, come ancora si legge in tale atto «nella contingente emergenza, il lavoro da remoto o telematico dei magistrati deve essere incentivato quale modalità prioritaria di esercizio delle funzioni giudiziarie, salva l'assoluta impossibilità tecnica». Alla luce delle dotazioni tecnologiche oramai diffuse, quella proposta e invocata sarebbe davvero una rivoluzione epocale per il sistema processuale tributario; nel rispetto delle regole e del rito potrebbe davvero ottenersi – con un investimento economico non rilevante - un miglioramento notevole del servizio, specie quanto alla giurisdizione di Legittimità. È fatto noto che la Corte Suprema sia sempre più gravata di una mole insostenibile di ricorsi spesso caratterizzati da notevole complessità e non di rado aventi rilevantissimo peso economico e i cui tempi di decisione, specie per le imprese che spesso li sopportano, oltre che per l'Erario che pure ne risulta pregiudicato nei suoi interessi, risultano assai lontani da quelli di una moderna giurisdizione. Per concludere con un anglicismo (foriero, nell'immaginario, di un contributo di modernità), let's wait and see.
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