La vexata quaestio del trattamento dei crediti tributari e la transazione fiscale

25 Marzo 2020

La vexata quaestio del trattamento dei crediti tributari e la transazione fiscale: qualche riflessione sulle innovazioni del Codice della Crisi nella prospettiva della composizione delle troppe antinomie ancora in campo.
Premessa

Questo articolo intende dare un contributo di analisi e di comprensione di un tema, quello del regime dei crediti tributari, decisivo per la riuscita di molti concordati e accordi di ristrutturazione. Il tema viene affrontato non in termini atomistici, ma inserendolo nel quadro più generale della disciplina dei crediti privilegiati, di cui i crediti tributari sono parte. E viene collocato nella prospettiva della riforma della Legge fallimentare operata dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 –Codice della Crisi -, alla ricerca di elementi di novità che possano contribuire a fare chiarezza in un campo che ci pare ancora molto dominato da antinomie logiche e posizioni di parte.

La posizione dell'Amministrazione Finanziaria

È noto che la posizione dell'Agenzia delle Entrate è orientata dalla Circolare n. 16 del 23 luglio 2018. Al par. 5.1.2. viene indicato che il debitore, nel valutare quanto costituisca il minimo proponibile all'Agenzia ai sensi dell'art. 182 ter L.F. a titolo preferenziale, debba considerare non soltanto il valore di liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, ma anche il maggiore apporto patrimoniale, rappresentato dai flussi o dagli investimenti generati dalla eventuale continuità aziendale oppure ottenuto all'esito dell'attività liquidatoria gestita in sede concordataria, che non costituisce una risorsa economica nuova, ma deve essere considerato finanza endogena, in quanto, ai sensi dell'articolo 2740 c.c., l'imprenditore è chiamato a rispondere dei debiti assunti con tutti i propri beni, presenti e futuri”.

Scomponendo la tesi erariale, si coglie come essa parta, come dato base, dalla valutazione del quantum recuperabile in via preferenziale nello scenario liquidatorio, calcolato con riferimento al momento dell'apertura della procedura. Ma per l'operare della regola di responsabilità patrimoniale e dell'ordine delle cause di prelazione, ai sensi degli artt. 2740 e 2741 del c.c., a tale quantum va aggiunto “il maggiore apporto patrimoniale” che derivi dall'esecuzione del concordato, sia in termini di flussi o di investimenti generati dalla continuità, sia in termini di maggior prezzo – rispetto al valore inizialmente stimato – ricavato dalla liquidazione condotta direttamente dal debitore.

Ne segue, paradossalmente o circolarmente, che tutto il frutto dell'attività svolta dopo la domanda, sia essa tesa alla liquidazione del patrimonio o alla sua dinamica gestione, vada destinato prioritariamente a soddisfare il credito privilegiato, secondo il suo ordine, e quindi (anche) il credito erariale.

Con il che - e qui sta il paradosso o la circolarità, per l'appunto -, in quelle procedure nelle quali tale maggiore apporto* non sia in grado di soddisfare tutto il credito privilegiato degradato, nulla resterà ai creditori chirografari, e per l'effetto il concordato non si potrà fare per mancanza del presupposto di una benché minima soddisfazione di tale classe di creditori. Con danno non solo per questi, ma per lo stesso Erario che in uno scenario fallimentare vedrebbe soddisfatte le proprie aspettative solo nella misura del patrimonio di liquidazione, senza gli accrescimenti dovuti alla continuità aziendale o alle azioni apprestate dal debitore per la valorizzazione degli asset oggetto di vendita.

*In evidenza
Talvolta anche definito “surplus concordatario”. Cercheremo qui di attenerci ad una definizione più rigorosa che si articola nel concetto di finanza esogena per fare riferimento a mezzi che vengano dall'esterno della sfera patrimoniale del debitore e di finanza endogena per richiamare gli accrescimenti che l'attività post domanda porti al patrimonio del debitore sia nello scenario in continuità che in quello liquidatorio. Finanza endogena ed esogena si possono combinare e spesso la seconda agisce come propellente della prima.

La posizione dell'Agenzia poggia, si legge in una nota alla Circolare n. 16, sulla sentenza dell'8 giugno 2012, n. 9373 della Corte di Cassazione, Sez. I, che conviene esaminare in dettaglio.

La sentenza della Corte di Cassazione dell'8 giugno 2012, n. 9373

Il caso in essa affrontato, alla luce della disciplina pro tempore, vedeva un concordato liquidatorio nel quale l'Agenzia delle Entrate veniva relegata, per tutto il suo credito privilegiato, in una classe cui era offerta una percentuale (8%) nettamente inferiore a quella di altre classi (che andavano dal 41 al 56%).

Il caso contemplava, più in dettaglio:

a) l'incapacità del patrimonio della società debitrice di far fronte in alcuna misura al credito fiscale privilegiato, essendo la totalità delle risorse endogene assorbite da creditori poziori;

b) per l'effetto, il degrado a chirografo di tutto il credito fiscale privilegiato;

c) la creazione di classi di creditori chirografari il cui pagamento dipendeva da un finanziamento dei soci;

d) la collocazione del credito fiscale in una classe destinata a ricevere una percentuale sensibilmente inferiore a quella riservata alle altre classi chirografarie.

La tesi della debitrice era che, una volta assicurato al credito privilegiato un ritorno comunque superiore a quello ottenibile in caso di liquidazione – che nella specie era zero –, l'obbligo di leggeart. 160, secondo commaL.F.- doveva considerarsi assolto e doveva essere possibile trattare il credito degradato come un qualunque credito chirografario, sottoponendolo alle decisioni della maggioranza per capitale e classi, secondo il disposto dell'art. 177, primo e terzo comma L.F..

Tale impostazione, sempre nella tesi della debitrice, trovava legittimazione alla luce dell'art. 180, quarto comma, L.F. in virtù del quale il Giudice dell'omologa, chiamato a valutare la convenienza del concordato dall'opposizione di un creditore dissenziente, doveva comunque omologare se il credito si prospettava soddisfatto in misura non inferiore alle alternative concretamente praticabili.

La conclusione della Suprema Corte fu invece opposta: essa ritenne infatti che la finanza esogena prodotta dall'apporto del socio, ove modificasse lo stato patrimoniale, dovesse essere considerata parte indistinta fin dall'origine* del patrimonio del debitore e destinata al soddisfacimento dei creditori “secondo le cause legittime di prelazione”, e ciò per l'appunto in virtù dell'inderogabile forza degli artt. 2740 e 2741 c.c., quest'ultimo come richiamato dell'art. 160, secondo comma, ultimo periodo, L.F..

*In evidenza
“Resta l'argomento che il terzo finanziatore può intervenire con mezzi propri a pagare i debiti del fallito senza dover sottostare alle regole del concorso. Ma ciò è vero alla condizione che l'intervento non comporti alcuna variazione allo stato patrimoniale del debitore, né all'attivo – giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore – e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato o con esclusione del voto. Questo accertamento non è stato compiuto dal giudice di merito, che ha ritenuto sufficiente, per l'ammissibilità della proposta che alterava la graduazione dei crediti muniti di prelazione, il solo fatto che la nuova liquidità costituisse l'apporto di un terzo, in tal modo incorrendo nella denunciata violazione della L. Fall., art. 160, comma 2”. Si tratta di una tesi che pare sanzionare ogni immissione nel patrimonio del debitore di mezzi nuovi che vadano ad incrementarne l'attivo e/o ad alterare lo stato passivo, per la creazione di nuove passività. Ora, sul piano ragionieristico, si può mettere rimedio all'alterazione del passivo, dando all'apporto natura di contribuzione in conto capitale – come di solito è in operazioni di tal fatta -, ma non a quella dell'attivo, posto che il corrispettivo contabile dell'apporto è sempre un conto dell'attivo dello stato patrimoniale (cassa, credito verso banca per l'alimentazione di un conto corrente, credito verso il contributore attivabile a richiesta, etc.). Unica soluzione sarebbe costituita dall'espromissione o dall'accollo del debito da parte del terzo finanziatore, evitando che venga alterata la composizione e misura dell'attivo del debitore o e quella del passivo considerando il rapporto di provvista tra debitore e terzo come apporto in conto capitale.

La giurisprudenza di merito in punto di trattamento del credito privilegiato in generale e fiscale in particolare

La sentenza commentata ha operato nel diritto vivente non solo orientando, come si è visto, la prassi dell'Agenzia delle Entrate, - con effetti pratici assai rilevanti, data la particolare natura di questo creditore -, ma anche influendo gravitazionalmente sul pensiero delle Corti di merito.

Per quanto, sia in dottrina che in giurisprudenza, si mettano sul medesimo piano le diverse situazioni fattuali, e si parli genericamente di concordato preventivo o al più di concordato liquidatorio e di concordato in continuità, noi pensiamo sia opportuno procedere secondo una matrice concettuale che vede quattro punti di incrocio tra concordato in continuità e liquidatorio, da un lato, e tra procedure con o senza finanza esogena, dall'altro.

Si darà quindi un primo caso: quello del concordato in continuità con finanza esogena; un secondo: quello del concordato in continuità senza finanza esogena; un terzo: il concordato liquidatorio con finanza esogena; e un quarto: il concordato liquidatorio senza finanza esogena (Caso questo che nello scenario del Codice della Crisi non si darà più, come si vedrà infra.).

Va detto subito che vi è ormai un generale consenso sul fatto che la finanza esogena sia liberamente disponibile. Si tratta di un passaggio non scontato alla luce dell'interpretazione che – come si è visto - la Cassazione sembra dare dell'art. 2740 del c.c. nella sentenza del 2012; ma si può ritenere che sia ormai universalmente così (Si veda in dottrina: M. Terenghi, - Domanda – “Finanza esterna”, ordine delle cause di prelazione e flussi di cassa nel concordato con continuità, in Il Fallimento n. 3 del 2019, 377; A. Guiotto, - Finanza esterna – Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti di interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Il Fallimento n. 8 del 2019, 1087; F. Clemente, D. Donadoni, Concordato: pagamento ai creditori privilegiati degradati con le risorse derivanti dalla continuità, in questo portale, 17 settembre 2019 che cita Trib. Udine 15 giugno 2011. La stessa Amministrazione Finanziaria, che pure ha fatto buon uso a proprio vantaggio del rigore dell'interpretazione dei giudici di legittimità, sembra ammettere nella prassi che la finanza esogena è liberamente disponibile da parte del debitore. Quanto alla giurisprudenza il principio è richiamato in obiter dictum in alcune sentenze tra cui Corte App. Torino 31 agosto 2018, in ilcaso.it; Trib. Milano, decreto 15 novembre 2018, in questo portale; Trib. Milano, 28 febbraio 2017).

Circa l'uso della finanza endogena (secondo la definizione data nel presente contributo nella nota n. 1), la giurisprudenza si divide: vi sono decisioni totalmente allineate all'approccio più liberale (Trib. Milano, decreto 15 novembre 2018, cit; Trib. Milano, decreto del 3 novembre 2016, in Ilfallimentarista.it, 13 dicembre 2016; Trib. Prato, decreto del 7 ottobre 2015 in ilcaso.it.; Trib. Rovereto 13 ottobre 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Massa 29 settembre 2016, inilcaso.it.) e altre che, invece, ribadiscono l'applicabilità alla specie dell'art. 2740 c.c. (Trib. Milano 15 dicembre 2016, cit.; Corte App. Torino 31 agosto 2018, cit.; Trib. Bergamo 26 settembre 2013, in questo portale, 15 aprile 2014.).

La giurisprudenza milanese, anche affrontando una vivace e rigorosa dialettica interna (Che ha portato al contrasto frontale tra Trib. Milano, decreto 3 novembre 2016, cit. e decreto 15 dicembre 2016, cit.), isola il caso del concordato in continuità con apporto di finanza esterna per poggiare il suo approccio liberale su un ragionamento che fa leva, da un lato, sul principio di causalità (che viene così nettamente scolpito nel decreto del 15 dicembre 2018: “il principio per cui i flussi della continuità, allorquando siano generati da una prosecuzione aziendale resa unicamente possibile per effetto di un soggetto terzo, non possono ritenersi assoggettati al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione per la semplice ragione che detti flussi, nella prospettiva fallimentare, semplicemente non esisterebbero”) e, dall'altro, sulla impossibilità di identificare, dopo anni, le componenti di un patrimonio che muta sotto l'effetto della gestione.

Questa dimensione temporale del problema trova appoggio, secondo questa giurisprudenza, nel disposto dell'art. 186-bis, comma 2, lett. c), ove si ammette la posticipazione fino a un anno dall'omologa del pagamento dei privilegiati, “fermo quanto disposto dall'art. 160, secondo comma” e in specie quella sua parte che richiama al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione.

Tale norma estende per così dire fino al limite massimo di un anno dall'omologa la dimensione temporale del patrimonio che fa da garanzia ai creditori privilegiati. Oltre è dunque area libera.

In evidenza
Questo il passaggio del decreto 3 novembre 2016: “Il Collegio si è anche interrogato sulla falcidiabilità dei creditori privilegiati anteriori all'IVA proposta dalla (...) visto che la nuova finanza viene conferita dal socio per consentire la continuazione dell'attività tipica della concordataria ed in prospettiva essa si incorporerà nel patrimonio sociale attraverso i flussi che si determineranno e saranno frutto di essa. In proposito ha raggiunto il convincimento che la regola generale dei 160 comma 2 del rispetto dell'ordine delle prelazioni, che è indefettibile nel concordato liquidatorio, salvo l'apporto di nuova finanza che può essere utilizzata anche in apparente violazione di tale ordine, proprio perché non promana dal patrimonio del debitore e non è vincolata a garantirne le obbligazioni, debba essere intesa nel concordato in continuità come operativamente limitata, nel tempo, alla data della presentazione della domanda di concordato e nella "dimensione applicativa" al patrimonio della concordataria esistente a quella data. Il parametro che costituisce il limite di riferibilità per appurare se vi sia violazione o meno dell'ordine della prelazione o se la stessa sia degradata e, quindi venuta meno e incorporata nei chirografi, è il momento della presentazione della domanda perché ciò che è valutabile ai fini della capienza in sede di redazione de! piano è solo il patrimonio attuale della società e solo esso sarebbe passibile di azioni esecutive o di collocazione sul mercato al cui risultato si dovrebbe comparare l'offerta formulata dalla società per appurare se essa lede il privilegio o meno. E' evidente che tale comparazione non può essere condotta con il patrimonio che residuerà al termine di 5 anni di piano caratterizzato da reinvestimenti, eseguiti con finanza esterna, sia perché esso è indeterminato per definizione, sia, soprattutto, perché esso, senza la nuova finanza che nel caso in esame è dì oltre 15.000.000, non potrebbe certo avere quelle dimensioni che presumibilmente avrà, e probabilmente non sussisterebbe per nulla, visto che in assenza di concordato non vi è alcuna alternativa al fallimento. Tale convincimento è sostenuto sotto il profilo letterale anche dalla formulazione del punto e dell'art. 186 bis, là ove afferma che il piano può prevedere, fermo restando quanto disposto dall'art. 160 comma 2, cioè la falcidiabilità del credito privilegiato previo deposito di apposita relazione di valutazione della capienza del patrimonio e della sua destinazione a garanzia dei crediti privilegiati, che attesti che il piano ne prevede la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, una moratoria sino ad un anno dalla omologa per il pagamento. Se infatti il pagamento deve avvenire al più entro un anno, è evidente che il momento di riferimento delle valutazioni non può che essere quello (avverrà) al termine del piano 5 anni più tardi.”

Nel caso del concordato liquidatorio senza finanza esogena netta* è la posizione di chiusura circa la libera disponibilità per il debitore dei proventi derivanti dall'attività liquidatoria condotta dal debitore invece che dal curatore fallimentare.

Per approfondire
(Trib. Milano, 3 novembre 2016, in questo portale 2016, 13 dicembre “[…] la regola generale del 160 comma 2 del rispetto dell'ordine delle prelazioni, che è indefettibile nel concordato liquidatorio, salvo l'apporto di nuova finanza che può essere utilizzata anche in apparente violazione di tale ordine, proprio perché non promana dal patrimonio del debitore e non è vincolate a garantirne le obbligazioni […]”; Trib. Milano, decreto del 15 novembre 2018, cit.).

Nel caso della liquidazione facilitata dall'apporto di finanza esogena (pensiamo al caso di una immobiliare che chieda il concordato e abbia un palazzo in corso di costruzione quasi completato. La finanza esogena servirebbe a finire i lavori dando molto maggior valore al bene che poi verrebbe venduto) ci sembra che i citati obiter dicta dei decreti milanesi 3 novembre 2016 e 15 dicembre 2018 possano essere sviluppati in coerenza con il principio che la finanza esogena è fattore causale che immuta la situazione di partenza e crea un quid novi.

Ma, occorre dirlo, non vi è nulla di assodato sul punto, solo uno spunto di ragionamento sul quale costruire.

In sintesi, e ferma la varietà delle posizioni giurisprudenziali a favore di una tesi o dell'altra, spesso senza dare alle decisioni un chiaro supporto in punto di motivazione e sistematico, la giurisprudenza di merito più avvertita si è trovata stretta tra il dogmatismo della Suprema Corte e la necessità di rendere possibili concordati che andavano manifestamente nell'interesse dei creditori anche chirografari e ha risolto l'antinomia, da un lato, postulando la cogenza dei principi dell'art. 2740 e 2741 c.c., ma, dall'altro, elaborando la regola secondo cui, se l'accrescimento non è riconducibile causalmente al patrimonio di partenza, quello esistente alla domanda, vuoi per essere frutto di immissioni dall'esterno, vuoi per derivare dall'effetto di queste immissioni su di esso, di talché senza di esse non vi sarebbe, allora tale accrescimento sarebbe liberamente disponibile, non venendo violate le regole citate.

Una posizione di grande intelligenza creativa, che salva situazioni nelle quali il dogmatismo avrebbe portato a negare l'ammissione al concordato con grande distruzione di valore, ma che, in qualche modo, gira intorno al problema e non lo risolve come invece crediamo potrebbe, cioè riconoscendo che nella specie si è di fronte a una di quelle limitazioni della responsabilità patrimoniale che sono ammesse dal secondo comma dell'art. 2740 c.c. [si noti che la stessa Amministrazione Finanziaria, a quanto consta, ha dovuto mediare la posizioni estrema predicata nella Circolare n. 16 elaborando la teoria della “priorità relativa” secondo la quale il credito erariale può soffrire una compressione rispetto a quanto astrattamente gli spetterebbe applicando gli artt. 2740 e 2741 del c.c. purché ricevano un trattamento migliore rispetto a quelli di rango inferiore (G. Andreani, La transazione fiscale alla luce dei più recenti indirizzi dell'Agenzia dell'Entrate, Dentons)].

Le innovazioni del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza con riguardo al concordato preventivo …

Se questo è il tema di fondo, e se il percorso della giurisprudenza è arrivato fin dove abbiamo visto, con un contorno di posizioni tutt'altro che nitido, ha senz'altro senso indagare le innovazioni portate dal Codice della Crisi per verificare se il quadro che ne esce, sia in termini di regole puntuali che di impianto complessivo e sistematico, possa contribuire a dare coerenza alle posizioni in campo, in un senso o nell'altro.

Ebbene, crediamo che tale indagine porti a trovare più di un elemento utile a fare avanzare la riflessione dottrinale e giurisprudenziale.

Iniziamo dall'esame della disciplina del concordato.

L'art. 88 CCI – sul trattamento dei crediti tributari - contiene due importanti innovazioni.

La prima, nel suo primo comma, prevede che il credito tributario degradato non possa subire un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri crediti chirografari.

La seconda, enunciata dal secondo comma, prevede che l'attestatore, oltre ad indicare il valore di mercato attribuibile ai beni e diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, debba anche dar conto della convenienza del trattamento proposto rispetto al caso della liquidazione giudiziale.

Fattor comune alle due innovazioni sembra essere il rafforzamento dell'interesse erariale, che deve venire soddisfatto, nello scenario tratteggiato dalla proposta, in misura pari al valore di mercato dei beni che ne costituiscono garanzia e, per la differenza degradata, non peggio di ogni altro credito chirografario e, in ogni caso e complessivamente, meglio di quanto non lo sarebbe nel quadro della liquidazione giudiziale – dando così come termine di confronto non solo quanto rinviene dalla vendita dei beni oggetto di garanzia, ma da tutta la liquidazione giudiziale.

Va senz'altro notato che se queste innovazioni fossero state in vigore al tempo della fattispecie giudicata dalla Cassazione con la sentenza sopra commentata non si sarebbe dato un caso di così stridente penalizzazione della posizione erariale.

Ma i cambiamenti non si arrestano qui.

Il Codice della Crisi definisce, è noto e finalmente, le nozioni di concordato in continuità e liquidatorio (art. 84).

Senza dilungarci qui nella descrizione della definizione di concordato in continuità (per una analisi si rinvia al nostro lavoro Continuità indiretta e procedure competitive: due termini inconciliabili?, ne IlFallimentarista, 9 ottobre 2019.) basterà qui mettere in rilievo come essa non si incentri semplicemente sulla continuazione - diretta o indiretta - dell'azienda, ma si corredi di una serie di stringenti condizioni, alcune tese a proteggere il bene della produzione nazionale, altre quello dell'occupazione, altre ancora quello dei creditori (si pensi alla formula di grande potenza espansiva contenuta nel penultimo periodo del secondo comma, per la quale “l'attività di impresa è funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario nell'interesse prioritario [sottolineatura nostra] dei creditori”). Ebbene è difficile pensare che un istituto che è al centro dell'interesse del Legislatore, con ampia copertura nel diritto unionale, debba sottostare al dominio di norme, gli art. 2740 e 2741 c.c., di grande momento certo, ma non tali da impedire sistemazioni patrimoniali che realizzano poderosi interessi collettivi e che sono state fortemente rafforzate nella tutela generale dei creditori e del creditore erariale in particolare.

Come pure non può essere priva di senso sistematico anche la nuova regola sul concordato liquidatorio, la cui ammissibilità è condizionata all'immissione di risorse esterne tali da portare a un incremento di almeno il 10% del quantum percepibile dai creditori chirografari rispetto all'alternativa liquidatoria, quantum che deve essere almeno del 20%. Al di là del dato della libera disponibilità della finanza esogena in sé, e ferma la repressione di abusi, ci pare che eventuali ulteriori accrescimenti esito dell'attività posta in essere dal debitore debbano essere riconosciuti come liberamente disponibili perché derivanti da una procedura che ha una sua peculiarità e non può essere appiattita sul modello della liquidazione giudiziale, quasi ne fosse una alternativa mal sopportata. Ciò a dire che, al netto, lo si ripete, di situazioni patologiche, riconoscibili e sanzionabili dal Giudice dell'ammissione e dell'omologa, la liquidazione concordataria e non giudiziale ha un quid di specificità, in termini di efficienza gestionale e di contributo causale del debitore, che fa parte del senso comune e della comune esperienza, e che deve essere valorizzato anche in chiave di disponibilità per il debitore di quegli accrescimenti che genuinamente derivino dal combinato della nuova finanza esogena obbligatoria e della sua azione ( Si torni all'esempio fatto in nota 10, ma anche ai casi di concordati liquidatori che, in realtà, saranno dei concordati in continuità senza i requisiti di cui all'art. 84 CCI, secondo e terzo comma. Il quadro che esce dalle definizioni dell'art. 84 , infatti, non è necessariamente marcato da continuità e non continuità aziendale, ma da situazioni nelle quali, vigente la continuità, vengono salvati gli interessi protetti dal secondo e terzo comma, e altre in cui essi ricevono un' attenzione attenuata dal debitore.).

Insomma, il setaccio delle nuove norme vedrà due casi: i concordati liquidatori con finanza esogena necessaria, nei quali, rispettate le condizioni dell'art. 84 CdC, la convenienza erariale sarà scontata; e i concordati in continuità, con o senza finanza esogena, la cui disciplina, ricca per altro di cautele verso i creditori privilegiati e segnatamente fiscali, tali da evacuare le preoccupazioni sottese al commentato arresto della Suprema Corte, non può che apparire come lex specialis in grado di “limitare” secondo il linguaggio del secondo comma dell'art. 2740 c.c. la portata del principio di responsabilità patrimoniale.

… e all'accordo di ristrutturazione del debito

Quanto fin qui argomentato ci pare trovi ulteriore conferma in alcune rilevanti innovazioni contenute nella disciplina degli accordi di ristrutturazione del debito, nella parte che interessa la “transazione” fiscale.

L'art. 63, primo comma, CCI riferendosi all'oggetto della attestazione del professionista circa la convenienza della proposta, precisa che essa non deve più riferirsi alla “alternative concretamente praticabili”, ma semplicemente alla liquidazione giudiziale, circostanza che deve costituire oggetto di specifica valutazione da parte del Tribunale. Il Codice quindi crea un sistema di coordinate comune per gli accordi e per i concordati, rafforzando la tesi secondo cui tali due procedure appartengono a un genus unitario – quello di strumenti di regolazione della crisi soggetti a controllo giurisdizionale - di cui sono specificazioni.

Ma è veramente rivoluzionaria la novità contenuta nell'art. 48, quinto comma, CCI che attribuisce al Tribunale il potere di omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'Amministrazione Finanziaria quando essa sia decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali minime del 60 e del 30 per cento di cui agli artt. 57 e 60 CCI, se, anche in base all'attestazione del professionista, la proposta fatta dal debitore risulti conveniente rispetto all'opzione liquidatoria.

Ebbene tale regola non può non atteggiarsi a norma di sistema che illumina anche il campo del concordato in continuità, non vedendosi in base a quale criterio si possa fare distinzione tra una transazione fiscale raggiunta nell'ambito di un accordo di ristrutturazione e un trattamento del medesimo credito nell'ambito di un concordato preventivo.

In conclusione

Come si è visto, al fondo della questione del trattamento dei crediti tributari sta il problema della inderogabilità, nel quadro degli strumenti di regolazione della crisi alternativi alla liquidazione giudiziale, dei principi di responsabilità patrimoniale posto dall'art. 2740 del c.c. e di rispetto dell'ordine dei privilegi di cui all'art. 2741 c.c.

La materia è fortemente condizionata da un arresto della Suprema Corte molto netto nel porre il principio della inderogabilità, se pure dinnanzi a un caso molto estremo, in cui le ragioni erariali venivano gravemente pretermesse.

Nel passare in rassegna le posizioni che sul campo si sono manifestate sul tema, abbiamo anzitutto constatato come il passaggio di quella sentenza, relativo alla destinazione della finanza esogena, sia stato pacificamente superato non solo dalla giurisprudenza, ma dalla stessa Amministrazione Finanziaria che oggi ne ammettono la libera disponibilità.

Possiamo anche dire che la giurisprudenza più avvertita ha saputo cogliere nel concordato in continuità con l'apporto di finanza esterna, che casualmente dia spinta o addirittura faccia ripartire l'azienda, una situazione nella quale il surplus concordatario possa essere destinato dal debitore senza sottostare ai vincoli della prelazione.

Ma oltre a queste linee, oggi, è confusione. E nella confusione, arbitrio (Con posizioni dell'Amministrazione Finanziaria che variano da caso a caso, secondo gradi di rigore difficilmente razionalizzabili. Si parla al riguardo di conflitto tra modelli di priorità assoluta, che riflettono la posizione della Circolare del 23 luglio 2018, n. 16, e di priorità relativa, già prima descritti (G. Andreani, op. cit.).

È in questo contesto che cadono le innovazioni del Codice della Crisi.

Nel campo del concordato, la loro cifra è, da un lato, di tutelare il credito erariale, onde evitare che venga trattato in modo peggiore di altri crediti di minor rango, dall'altro, di rafforzare le ragioni del concordato, dandogli notevoli finalità socio-economiche nel caso di quello in continuità e imponendo al debitore un sacrificio supplementare nel caso del concordato liquidatorio.

Nel campo dell'accordo di ristrutturazione, oltre ad allineare il benchmark di soddisfazione del credito tributario a quello del concordato, norma che tradisce – se ve ne fosse bisogno - una visione unitaria dei due strumenti, spicca la regola del cram down giudiziale.

L'effetto sul piano ermeneutico di queste modifiche non può che essere quello di meglio chiarire come il corpus normativo degli strumenti di regolazione della crisi sia lex specialis in grado di limitare, ex art. 2740, secondo comma,c.c., la responsabilità del debitore al quantum patrimoniale riscontrato al momento della domanda avendo riguardo allo scenario della liquidazione giudiziale e di sottoporre i crediti privilegiati a regole altrettanto speciali, disegnate avendo a riferimento la struttura, la dinamica e gli scopi delle procedure di regolazione della crisi.

Una volta accettata questa evidenza, ecco che la disciplina dei crediti privilegiati, ed erariali in specie, trova unità senza che la giurisprudenza sia costretta a contorsioni logiche tanto lodevoli nel fine quanto fragili nella coerenza. Questa disciplina di settore vuole che vi sia un momento, ed è quello della domanda, in cui il patrimonio del debitore è accertato nella prospettiva della liquidazione giudiziale e in relazione al quale, per conseguenza, è stabilito quanto il credito privilegiato riceverebbe in tale scenario. Tale accertamento è coperto di cautele e molto presidiato da controlli non solo di legittimità, ma anche di merito.

Tutto ciò che il debitore riesca a ottenere in più rispetto a questo quantum originario, vuoi grazie alla sua attività, vuoi per contributo esterno, vuoi per una combinazione dei due, sfugge al dominio degli artt. 2740 e 2741 c.c. per essere assegnato alla disponibilità del debitore stesso, da esercitarsi non in modo del tutto libero, ma nel rispetto delle regole del Codice della Crisi, che, come si è visto, sono state rafforzate in punto di tutela degli interessi dei creditori* e del credito erariale in specie (Si rinvia a quanto già scritto a proposito delle innovazioni contenute nel primo e secondo comma dell'art. 88 Codice).

*In evidenza
Torniamo a sottolineare la previsione dell'art. 84, secondo comma, CCI secondo cui il piano di continuità deve essere tale da prevedere il ripristino dell'equilibrio nell'”interesse prioritario dei creditori”. Una proposta supportata da un piano che arricchisca troppo l'imprenditore potrà essere respinta già in sede di ammissione come carente di una delle condizioni di legittimità.

I prossimi anni ci diranno se l'operare di queste rilevanti innovazioni porti ad un ripensamento generale del tema dei crediti erariali che, nel rispetto delle regole di tutela e di maggior equilibrio poste dal Codice della Crisi, consenta di giungere a posizioni prevedibili dell'Agenzia e a una maggiore fluidità nella realizzazione delle ipotesi di accordo di ristrutturazione e di concordato.

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