Consulenza tecnica resa nel giudizio penale: quale efficacia probatoria in sede civile?

25 Marzo 2020

È quella della presunzione semplice ex art. 2729 c.c. (o dell'argomento di prova).
Massima

L'elencazione delle prove civili contenuta nel codice di rito non è tassativa, e quindi devono ritenersi ammissibili le prove atipiche, la cui efficacia probatoria è quella di presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. od argomenti di prova.

È prova atipica la CTU o la perizia resa in altri giudizi fra le stesse od altre parti.

Il caso

In seguito al decesso del proprio congiunto, gli attori hanno convenuto in giudizio la casa di cura e due medici, per ottenerne la solidale condanna al risarcimento del danno non patrimoniale subìto iure proprio per la perdita parentale ed iure hereditario per le sofferenze patite dal de cuius, anche a titolo di perdita di chance. Il decesso, secondo gli attori, sarebbe ascrivibile a colpa medica per mancata corretta prestazione delle cure e mancata corretta gestione delle complicanze relative alla fase post operatoria di un delicato intervento cardiochirurgico.

Dal proprio canto i convenuti hanno declinato qualsiasi responsabilità nella causazione dell'evento morte e, in ogni caso, contestato il quantum degli importi domandati. Ad un tempo, i medici hanno richiesto ed ottenuto la chiamata in giudizio delle rispettive assicurazioni, che hanno contestato sia la responsabilità dei propri assicurati, sia l'operatività della polizza.

Il Giudice, preso atto della produzione della perizia medico-legale disposta dal PM nel corso del procedimento penale instaurato nei confronti dei medici per omicidio colposo e del decreto di archiviazione del GIP emesso su conforme richiesta del P.M. ha ritenuta la causa matura per la decisione senza bisogno di disporre CTU.

La questione

Il provvedimento che si annota si colloca nel solco di quella giurisprudenza che reputa ammissibili le prove atipiche; queste possono entrare nel processo civile, nel rispetto del contraddittorio, mediante produzione documentale e nel rispetto delle preclusioni istruttorie; ciò, pur mancando nel codice di rito civile una norma analoga all'art. 189 c.p.p. che consente al giudice penale di accertare la verità, anche con prove non disciplinate dalla legge.

Le ragioni che fondano tale orientamento sono molteplici: si va dall'assenza di una norma di chiusura che consenta di desumere il numerus clausus delle prove civili, alla natura documentale delle prove atipiche e, di conseguenza, alla legittimità della loro produzione in giudizio secondo le regole della scrittura privata o dell'atto pubblico. Se la giurisprudenza di merito e di legittimità è costante nel ritenere che le prove atipiche (o innominate) concorrono alla formazione del convincimento del giudice, dubbi si pongono sull'efficacia probatoria che assume nel processo civile una consulenza tecnica resa in altro giudizio, indipendentemente dalla circostanza che riguardi le stesse o altre parti. In particolare si discute se si tratti di una prova in senso stretto, idonea a fondare in via esclusiva il convincimento del giudice (Cass. civ., 22 ottobre 2014, n. 22384 (che conferma Cass. civ., 30 gennaio 2013, n. 2168, per tutte le tipologie di prove assunte in altri processi); Cass. civ., 2 luglio 2010, n. 15714), ovvero di un indizio, dotato della medesima efficacia che viene riconosciuta alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. (Cass. civ., S.U., 23 giugno 2010, n. 15169, in Riv. dir. proc., 2011, 968, con nota di Finocchiaro, Sul regime giuridico delle scritture private provenienti dai terzi. Con specifico riferimento all'efficacia indiziaria della CTU assunta nel giudizio penale, Cass. civ., 20 dicembre 2001, n. 16069, in Guida dir., 2002, 11, 74).

Il Tribunale di Reggio Emilia, nel rigettare la domanda, ha aderito a quest'ultima tesi.

Le soluzioni giuridiche

Il giudice può ritenere superflua la nomina di un nuovo consulente, con conseguente risparmio di costi e tempi del giudizio, qualora sia persuaso che gli aspetti tecnici della controversia siano già stati ampiamente chiariti da una precedente relazione valutativa. Allo stesso modo, non va trascurato, il giudice può ritenere necessario conferire l'incarico ad altro (o allo stesso) perito, anche formulando nuovi quesiti che tengano conto (o meno) delle risultanze della precedente relazione.

Nel caso di specie, non solo i periti nominati dal PM che avevano redatto la consulenza tecnica erano un docente universitario di chiara fama ed un medico legale spesso nominato CTU in numerose controversie civilistiche; ma, con motivazione convincente e adeguate repliche ai rilievi delle parti, nonché con «un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato», la perizia ha escluso qualsiasi colpa medica.

Di contro, la perizia ha evidenziato la particolare ed oggettiva difficoltà tecnica dell'intervento chirurgico, sulla quale hanno convenuto anche i consulenti di parte, trattandosi di operazione con una «significativa percentuale di morbilità/mortalità», senza poter formulare alcun rilievo o critica «in merito all'indicazione dell'intervento chirurgico ed alla tecnica operatoria adottata». Anche le complicanze occorse dopo l'intervento sono state gestite ed affrontate dal personale medico in maniera adeguata e, si è accertato, non possono essere un effetto delle cure antibiotiche somministrate al paziente. Se si aggiunge poi che «un ulteriore approccio chirurgico avrebbe comportato un altissimo rischio di morte»correttamente in perizia si è esclusa qualsiasi responsabilità in capo ai medici; esclusione confermata anche dal Gip che ha poi archiviato il procedimento penale.

Il Tribunale di Reggio Emilia ha, infine, rigettato la richiesta attorea di una rimessione in istruttoria della causa per verificare, tramite CTU, se la causa del decesso è stata una particolare infezione asseritamente contratta dal paziente per essere stato sottoposto ad un particolare macchinario; questo in base ad alcune notizie giornalistiche, avrebbe già in precedenza cagionato il decesso di due pazienti per infezione presso la medesima struttura sanitaria.

Il rigetto della richiesta si fonda su due diversi ordini di ragioni.

Il primo è di carattere sostanziale: nel periodo di riferimento sono stati operati circa 2000 pazienti, i quali avrebbero tutti dovuto o potuto contrarre l'infezione e dagli esami condotti sul paziente non vi è traccia del germe patogeno negli esami colturali, né risulta la sua presenza dalla documentazione allegata.

Il secondo è di carattere strettamente processuale: il rigetto della richiesta è dovuta al fatto che trattasi di una asserita causa del decesso (formulata più di due anni dopo l'inizio di causa) completamente diversa da quella dedotta nell'atto introduttivo: si trattasi di domanda nuova nella sua causa petendi, che evidenzia un presunto profilo di colpa dell'ospedale (l'omessa manutenzione del macchinario) assolutamente differente da quello dedotto in citazione nei confronti dei medici (la non corretta prestazione di cure da parte dei sanitari per una complicanza post operatoria). A ben guardare la nuova domanda avrebbe imposto un'istruttoria sulla manutenzione del macchinario da parte dell'ospedale, non già sul comportamento dei medici nel periodo post operatorio. In pratica, si tratterebbe di una mutatio libelli.

Osservazioni

L'impostazione seguita dal Tribunale di Reggio Emilia si colloca nel solco tracciato da Cass. civ. n.834 del 2019, sul quale val la pena spendere qualche parola. Premesso che nel primo grado, a differenza del grado di appello (ex art. 345 c.p.c.) non sussiste un espresso divieto di domande nuove, è pacifico che tale limite derivi dall'art.183 commi5 e 6 c.p.c, che circoscrive l'ammissibilità di domande nuove solo se conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni di controparte.

Sotto altro profilo occorre, come noto distinguere le modifiche sopravvenute nelle due diverse categorie di mutatio ed emendatio libelli. La prima ipotesi sussiste laddove si formuli una pretesa diversa da quella originaria, introducendo altro e più ampio “petitum”, ovvero una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima o su un diverso fatto costitutivo. In questo caso si apre nuovo tema d'indagine, che coglie impreparata e disorienta la difesa dell'avversario; con conseguente inammissibilità della mutatio.

La emendatio libelli sussiste quando le modifiche alla causa petendi incidono solo sull'interpretazione o sulla qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, ovvero sul petitum allo scopo di ampliarlo o limitarlo, per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere in giudizio. Non va infine trascurato che la emendatio libelli è consentita, sempre che l'avversario abbia la possibilità di difendersi e controdedurre con un congruo termine ex art. 183 comma 6 n.2, c.p.c. Al di là della qualifica della modifica della domanda come mutatio o emendatio libelli, si tratta di una modifica, in ogni caso, inammissibile perché effettuata molto tempo dopo i limiti posti dall'art. 183, commi 5 e 6, c.p.c.

Guida all'approfondimento
  • A. Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto, in E. Allorio, Commentario al cod. proc. civ. II, Torino, 1980, 15 ss.;
  • A. Chizzini, L'art. 2907 c.c. La tutela giurisdizionale dei diritti, Milano, 2018, spec. 451 ss.;
  • C. Consolo, voce Domanda giudiziale, in Dig. disc. priv., VII, Torino, 1991.

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