Impatto situazione emergenziale Coronavirus nell'ambito della responsabilità civile medica
26 Marzo 2020
L'emergenza nazionale per contrastare il Covid-19 è stato, come era necessario, già al centro di una produzione normativa emergenziale, delegata per lo più alla decretazione governativa.
Né è uscito un quadro di norme fortemente limitative della libertà personale che stiamo vivendo quotidianamente nell'impatto delle nostre esistenze.
Ma dato per scontato questo fenomeno ed i suoi riflessi sulla quotidianità abituale delle persone, il tema che deve porsi già oggi al centro della nostra attenzione è il riflesso che la realtà sta avendo e avrà anche dopo la fine della emergenza sul sistema sanitario nazionale e, per quanto oggetto di questa riflessione, sull'ordinamento della responsabilità civile sanitaria.
L'emergenza ha elevato a strumento di contrasto primario, ovviamente, le strutture sanitarie, mettendo sotto forte pressione la loro organizzazione e la loro capacità ricettiva, con un'ottica più curativa che preventiva del diffondersi della pandemia (quest'ultima destinata più alle disposizioni costrittive delle quali si è detto).
Ma ogni struttura sanitaria è un motore che si avvale della forza propulsiva delle persone della propria organizzazione, siano essi medici, vertici amministrativi, infermieri ed altri operatori sociosanitari.
L'emergenza ha posto in primo piano l'esigenza di ampliamento della potenza ricettiva e curativa delle strutture, ampliando le competenze degli operatori in organico e richiamando con vari strumenti (il rientro dalla pensione, il volontariato, l'accelerazione di abilitazioni e concorsi, l'utilizzo degli specializzandi, eccetera) una platea di operatori chiamati tutti a fornire un contributo in taluni casi al di la delle proprie competenze scientifiche ed esperienze e in altri casi con sforzi ed impegni oltre la sopportazione e la resistenza umana.
Al tempo stesso le strutture sanitarie sono rimaste funzionali nel contrasto alle altre patologie per così dire non virali, già parte della quotidianità ricettiva, offrendo quell'ordinario servizio di tutela della salute del cittadino in un'ottica però fortemente debilitata dal richiamo delle forze operative verso il contrasto del virus.
Insomma, le strutture sanitarie pubbliche e private sono oggi in una conclamata situazione di emergenza oltre che operativa anche funzionale che avrà necessariamente, una volta debellato il fenomeno, anche una ricaduta giuridica.
La disciplina della responsabilità sanitaria nel nostro ordinamento si avvale oggi di elementi costitutivi di fonte normativa innanzitutto (la nota “Legge Gelli”) e di creazione giurisprudenziale.
Questi parametri di inquadramento della colpa sanitaria e del sistema di tutela del paziente e del diritto alla salute, si sono da poco consolidati in un quadro tutto sommato equilibrato fra obbligo della prestazione e di messa a disposizione dei mezzi, da un lato, e profilatura della colpa secondo uno schema sempre più vincolato alla effettività della condotta censurabile del medico, in assenza della quale deve sempre prevalere la non imputabilità della patologia alla condotta del sanitario (è lo schema “protettivo” della funzione sanitaria prevista dall'art. 7 della Legge n. 24/2017).
La disciplina della responsabilità della struttura permane, secondo tale schema, nel contesto della responsabilità contrattuale.
Tuttavia, la situazione di emergenza avrà, a nostro giudizio, per la fase temporale che stiamo vivendo un effetto di “sbilanciamento” della valutazione della condotta in un'ottica di maggior protezione tanto degli operatori sanitari, quanto delle stesse strutture ricettive.
L'apparato sanitario generale opera certamente in una situazione di forte emergenza con esposizione grave di tutti i suoi effettivi al contagio e quindi con grave rischio per l'incolumità della prima forza umana di contrasto e di lotta alla pandemia.
La situazione conclamata di emergenza determinerà a nostro giudizio un impianto di attenuazione della imputazione soggettiva della colpa, secondo uno schema che ben si presta a tale valutazione assolutoria nella sentenza della suprema Corte di Cassazione n. 24528 del 2014, citata nel condivisibile ed esaustivo saggio pubblicato su Ridare lo scorso 10 marzo (M.Hazan e D.Zorzit, Corona Virus e Responsabilità (medica e sociale) al quale si rimanda.
In questo contesto emergenziale e nella riflessione sull'impatto che la realtà avrà nella valutazione della condotta degli operatori sanitari, non possono essere dimenticati i “medici di base” che oggi sono personalmente e professionalmente esposti ed in prima linea al primo contrasto al virus.
In quest'ottica, tanto per i medici “di famiglia” quanto quelli strutturati nelle aziende oggi in prima linea, non va tenuto sottotraccia la realtà professionale nella quale gli stessi oggi sono chiamati ad operare, ove la stessa disponibilità dei meccanismi clinici sono spesso limitati proprio dalla adozione di strumenti per limitare il contagio degli operatori stessi.
Si pensi alle visite che oggi i medici di base devono eseguire di fatto “a distanza”, via telefono o comunque senza l'adozione degli strumenti clinici di primo accertamento propri del ruolo di tali essenziali ingranaggi del sistema sanitario nazionale.
Ebbene, l'adozione di tali meccanismi protettivi comunque delimitativi della funzionalità piena dei predetti operatori non potrà, ad esempio nel caso di errori diagnostici, non incidere sulla valutazione della condotta del sanitario in ottica anche assolutoria condizionata dalla situazione di emergenza conclamata.
Se poi allunghiamo la prospettiva alla fase storica che si aprirà dopo l'emergenza in corso, non ci pare persino ultronea una riflessione che ci porti ad una rivisitazione del rapporto di condivisione e di compartecipazione sociale tra medico e paziente che in fondo è un canone ispiratore della intera riforma dettata con la “legge Gelli”.
I fatti di oggi e la storia di domani saranno testimoni del ruolo non alienabile ed imprescindibile che la classe degli operatori sanitari svolge in un sistema democratico così proposto alla tutela della persona, portata al centro del nostro patto di convivenza sociale (gli esempi di filosofia governativa “calviniana” adottata in altre nazioni, anche non distanti da noi, ne sono ottimo esempio).
In un'ottica di ritrovata fiducia e solidarietà tra pazienti (cittadini) ed operatori sanitari potrà crediamo trovare maggior considerazione e linfa la stessa “ratio” che ispirò il legislatore del 2017 che volle proprio proteggere la professione sanitaria in un ruolo di ritrovata solidarietà tra paziente e medico, quale reale baluardo contro fenomeni contro i quali purtroppo oggi ci troviamo a combattere.
Tutto quanto, ovviamente, pur nel rispetto delle imprescindibili regole della colpa generale e della imputabilità scientifica della condotta, ove non conforme a leges artis.
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