Improcedibilità del ricorso per cassazione per violazione dell'art. 369 c.p.c.

Mattia Brozzi
26 Marzo 2020

Con la pronuncia in commento è stata affrontata dai Giudici di legittimità la controversa questione relativa alla improcedibilità del ricorso per cassazione in caso di mancato rispetto dei requisiti formali previsti dall'art. 369 c.p.c. e, in particolare, del mancato deposito – nei termini stabiliti dal codice di procedura civile – della relazione di notifica della sentenza impugnata nei confronti delle controparti.
Massima

In caso di notifica cartacea, il ricorso per cassazione deve essere considerato improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza – che però si assume essere stata notificata – non sia stata tempestivamente depositata nel termine di cui al primo comma dell'art. 369 c.p.c. la relazione di notificazione della stessa.

Il caso

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 25.02.2011, revocava il decreto ingiuntivo emesso dallo stesso Tribunale a istanza della Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. (in seguito, R.F.I.) con il quale era stato intimato a Caio (ex dipendente) il pagamento della somma di euro 134.250, 00 a titolo di restituzione della somma al medesimo corrisposta in esecuzione di una sentenza, poi riformata in appello, relativa alla riliquidazione dell'indennità di buonuscita e della pensione. Con il medesimo provvedimento, tuttavia, il Tribunale condannava l'opponente a pagare a R.F.I. la medesima somma di euro 134.2250,00 oltre accessori dalla sentenza al saldo e le spese di lite.

Avverso la summenzionata sentenza veniva proposto appello dinnanzi alla Corte d'Appello di Roma, la quale accoglieva l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado. La Corte, successivamente, accoglieva anche l'appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di condanna restitutoria avanzata dalla società R.F.I. con ricorso monitorio e condannava quest'ultima al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma proponeva ricorso la R.F.I.

La questione

Con la pronuncia in commento è stata affrontata dai Giudici di legittimità la controversa questione relativa alla improcedibilità del ricorso per cassazione in caso di mancato rispetto dei requisiti formali previsti dall'art. 369 c.p.c. e, in particolare, del mancato deposito – nei termini stabiliti dal codice di procedura civile – della relazione di notifica della sentenza impugnata nei confronti delle controparti.

Infatti, secondo suddetta disposizione, il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte, a pena di improcedibilità, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto. Inoltre, insieme con il ricorso, devono essere depositati, sempre a pena di improcedibilità ai sensi dell'art. 369, comma 2, n. 2, copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione (se questa è avvenuta).

Le soluzioni giuridiche

Il panorama giurisprudenziale sulla questione relativa all'improcedibilità del ricorso per mancato deposito della relata di notifica è vasto, ma non presenta uniformità di vedute. Infatti, la questione è stata sottoposta a più riprese al vaglio della Suprema Corte, la quale, però, non ha offerto una soluzione univoca, neanche nella sua composizione a Sezioni Unite.

Il contrasto giurisprudenziale non può dirsi risolto in quanto all'orientamento maggioritario meno liberale si contrappongono sporadici precedenti che hanno ammesso degli equipollenti (sananti) rispetto al deposito della copia autentica della sentenza notificata quali, ad esempio, il reperimento della stessa nel fascicolo d'ufficio o della controparte, oppure la formazione del contraddittorio sul punto.

E' pressoché indiscusso che la previsione dell'onere di deposito – di cui al primo comma dell'art. 369 c.p.c. – della copia della decisione impugnata con la relazione di notificazione (ove questa sia avvenuta) sia funzionale al riscontro, da parte della Corte di cassazione, della tempestività dell'impugnazione.

Ciononostante, sin dall'inizio degli anni ‘80, si sono sviluppati essenzialmente tre filoni giurisprudenziali correlati all'interpretazione della norma in esame che, brevemente, di seguito si riportano:

  1. secondo il primo filone giurisprudenziale, il mancato deposito (nel richiamato termine) della copia autentica della decisione impugnata – in uno alla corrispondente relata di notificazione – avrebbe comportato, in ogni caso, l'improcedibilità del ricorso. Si sarebbe dovuto dichiarare l'improcedibilità d'ufficio, senza che all'omissione potesse ovviarsi con il successivo deposito nelle forme di cui all'art. 372 c.p.c. e senza che, ai fini dell'esclusione dell'improcedibilità, potesse attribuirsi rilievo al deposito effettuato da parte del controricorrente o all'esistenza, agli atti, di copia non autentica della decisione stessa (cfr., ex multis, Cass. civ., 26 febbraio 1980, n. 1333; Cass. civ., 20 dicembre 1982, n. 7023; Cass. civ., 12 gennaio 1983, n. 209);
  2. altro e contrapposto orientamento statuiva, invece, che l'obbligo del deposito da parte del ricorrente di copia autentica della sentenza impugnata (con la relata di notifica) si sarebbe dovuto considerare soddisfatto in due casi: o quando tale deposito fosse avvenuto contestualmente a quello del ricorso per cassazione, o quando, pur in difetto di tale contestualità, fosse stato effettuato con le modalità previste dall'art. 372 c.p.c., comma 2, c.p.c., disposizione che, come noto, prevede la possibilità di produzione di altri documenti che riguardano l'ammissibilità del ricorso e del controricorso, escludendo invece il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi nel giudizio (cfr. Cass. civ., 11 maggio 1981, n. 3121; Cass. civ., 18 gennaio 1982, n. 343; Cass. 4 luglio 1986, n. 4388; Cass. civ., 21 ottobre 1995, n. 10959);
  3. secondo l'ultimo degli indirizzi giurisprudenziali – che possiamo definire “intermedio” tra i due orientamenti sopra riportati – si sarebbe dovuto ritenere che l'onere del deposito della copia autentica della decisione impugnata (in uno alla relazione di notificazione), sanzionato a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 369 c.p.c., sarebbe risultato validamente assolto anche se non intervenuto in modo contestuale rispetto al deposito del ricorso stesso, purché avvenuto nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso mediante le modalità previste dall'art. 372 c.p.c., comma 2 (Cass. civ., 11 dicembre 1986, n. 7380; Cass. civ., 19 dicembre 1996, n. 11361).

Una prima ventata chiarificatrice nel mare magnum dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di merito e di legittimità veniva offerta dalle Sezioni Unite. Difatti, con la sentenza n. 11932 del 25 novembre 1998 si stabilì che la disposizione dell'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 non impedisce che il deposito della copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione sia effettuato separatamente rispetto al deposito del ricorso (ex art. 372 c.p.c. che, come anticipato, consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso e che può applicarsi estensivamente anche ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso stesso), purché nel termine perentorio di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso.

Invero, la norma dell'art. 372 c.p.c., la quale consente il deposito autonomo di documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso, deve ritenersi estensibile ai documenti concernenti la procedibilità del ricorso, considerato che l'art. 375 c.p.c., che prevede la pronuncia di inammissibilità del ricorso in camera di consiglio, include logicamente anche la declaratoria di improcedibilità. La stessa disposizione non consente, però, secondo l'ultimo precedente in commento, di evitare la sanzione dell'improcedibilità mediante modalità equipollenti, quali il deposito da parte del controricorrente di copia della sentenza stessa o l'esistenza della medesima nel fascicolo d'ufficio. La giurisprudenza sviluppatasi successivamente sul tema si è uniformata, in modo nettamente prevalente, all'indirizzo tracciato dalla menzionata pronuncia delle Sezioni unite.

A distanza di quasi un decennio dalla precedente pronuncia, le Sezioni Unite sono intervenute nuovamente sulla questione con la sentenza n. 9004/2009, con la quale veniva formulato il seguente principio di diritto: «Nell'ipotesi in cui il ricorrente per cassazione non alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, la Corte di cassazione deve ritenere che il ricorrente abbia esercitato il diritto di impugnazione entro il c.d. termine lungo e procedere all'accertamento della sua osservanza. Tuttavia, qualora o per eccezione del controricorrente o per le emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d'ufficio emerga che la sentenza impugnata era stata notificata ai fini del decorso del termine di impugnazione, la Corte, indipendentemente dal riscontro della tempestività o meno del rispetto del termine breve, deve rilevare che la parte ricorrente non ha ottemperato all'onere del deposito della copia notificata della sentenza impugnata entro il termine di cui al primo comma dell'art. 369 c.p.c. e dichiarare improcedibile il ricorso, atteso che il riscontro della improcedibilità del ricorso per cassazione precede quello dell'eventuale sua inammissibilità». Tuttavia, proseguiva la Corte, «Nell'ipotesi in cui il ricorrente, espressamente od implicitamente, alleghi che la sentenza impugnata gli è stata notificata, limitandosi a produrre una copia autentica della sentenza impugnata senza la relata di notificazione, il ricorso per cassazione dev'essere dichiarato improcedibile, restando possibile evitare la declaratoria di improcedibilità soltanto attraverso la produzione separata di una copia con la relata avvenuta nel rispetto dell'art. 372 c.p.c., comma 2 applicabile estensivamente, purché entro il termine, di cui all'art. 369 c.p.c., comma 1, e dovendosi, invece, escludere ogni rilievo dell'eventuale non contestazione dell'osservanza del termine breve da parte del controricorrente ovvero del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione».

Un ulteriore contemperamento dell'impostazione più rigorista è stato avanzato dalla Cass. civ., Sez. Un., 2 maggio 2017, n. 10648, la quale, analizzando la questione anche in ottica sovranazionale, con particolare riguardo all'art. 6 CEDU, ha espressamente sancito che non è possibile applicare la sanzione dell'improcedibilità allorquando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte, o nel caso in cui la documentazione sia stata acquisita mediante l'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio. In tal caso, le ragioni della tempestiva conoscenza, che avevano sorretto la lettura rigorista, cedono alla verifica di ragionevolezza delle regole del procedimento e di proporzionalità della sanzione.

La vexata quaestio, in tempi più recenti, veniva affrontata ancora una volta dalle Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 25 marzo 2019, n. 8312) le quali – aprendo la strada verso una interpretazione più “elastica” dell'art. 369 c.p.c. nei casi di notifica a mezzo PEC e di mancata attestazione di conformità da parte del difensore – disponeva che, ai fini della verifica d'ufficio della tempestività del ricorso per cassazione, è sufficiente il deposito, da parte del ricorrente, della decisione comunicatagli a mezzo PEC (nel suo testo integrale) a cura della cancelleria; ai fini della procedibilità del ricorso, invece, ove la decisione non risulti autenticata nelle forme di cui all'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53/1994, è necessario che il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata oppure non disconosca ex art. 23, comma 2, d.lgs. n. 82/2005, la conformità della copia informale all'originale notificatogli, mentre, nell'ipotesi in cui il controricorrente (o uno dei controricorrenti) sia rimasto soltanto intimato o abbia effettuato il suddetto disconoscimento, è necessario che il ricorrente depositi l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio.

Osservazioni

Come si è avuto modo di evidenziare, la copiosissima giurisprudenza sull'annoso problema dell'improcedibilità del ricorso oscilla tra pronunce che si attengono principalmente al testo normativo e sporadiche aperture volte a superare inutili formalismi.

Le prime, infatti, si vincolano alla ratio sottesa all'art. 369 c.p.c., riassumibile nella strumentalità al riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela dell'esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale – della tempestività dell'esercizio del diritto di impugnazione, il quale, una volta avvenuta la notificazione della sentenza, è esercitatile soltanto con l'osservanza del cosiddetto termine breve (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9004).

Ciononostante, la rigorosa applicazione della norma sebbene condivisibile da un punto di vista processualistico – e, si consenta, di praticità (è noto che le dichiarazioni di improcedibilità offrono un validissimo strumento di smaltimento del notevolissimo carico di lavoro dei giudici di ultima istanza) –, viene a scontrarsi, inevitabilmente, con i principi garantisti di cui l'ordinamento sovranazionale si è eretto a difensore sin dalla Convenzione di Roma del 1950 (si veda, in proposito, l'indirizzo della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che, in relazione all'art. 6 CEDU, bandisce gli oneri processuali irragionevoli e sproporzionati – v. Corte Edu, 21 giugno 2011, Dobrić v. Serbia).

Coglieva nel segno la pronuncia della Suprema Corte nella quale si evidenziava che non avrebbe senso, anche alla luce del diritto sovranazionale ed eurounitario, denegare l'accesso al giudice dell'impugnazione perché l'atto da valutare è presente nel fascicolo dell'Ufficio (grazie a un'istanza della parte) ma non può essere esaminato per il ritardo nel produrne la copia.

Applicare la sanzione dell'improcedibilità allorquando il giudice abbia comunque la disponibilità del documento si risolverebbe in un inutile formalismo, contrastante con le esigenze di efficienza e semplificazione, le quali impongono di privilegiare interpretazioni coerenti con la finalità di rendere giustizia. L'improcedibilità, in questi casi, sarebbe incongrua, irragionevole e sproporzionata (Cass. civ.,Sez.Un., n. 10648/2017).

Analoghe considerazioni, mutatis mutandis, per quanto concerne la pronuncia in commento. Il tardivo deposito della relazione di notificazione, infatti, consente comunque la verifica della tempestività dell'impugnazione nel termine breve ben prima che il suddetto adempimento sia oggetto di scrutinio ai fini della dichiarazione di improcedibilità. A maggior ragione qualora il controricorrente, come nel caso di specie, non sollevi alcun tipo di contestazione sulla tardività dell'impugnazione.

Ciononostante, è comunque doveroso ricordare, che la medesima pronuncia “antiformalistica” di cui si è parlato supra ha lanciato un chiaro messaggio ai difensori delle parti, invitandoli alla produzione tempestiva, onde consentire più agevoli verifiche da parte del giudice dell'impugnazione.

In attesa di un auspicabile intervento legislativo che riesca ad garantire una ponderazione tra interessi di carattere processual-pubblicistico e l'interesse delle parti sostanziali a veder tutelato il proprio diritto in sede giurisdizionale, prudenza impone la scrupolosa osservanza degli indirizzi più rigoristi della Suprema Corte.

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