Acquisto crediti da una procedura concorsuale: rinuncia e tassazione delle sopravvenienze

27 Marzo 2020

In caso di acquisto di un credito da una procedura concorsuale e di una successiva rinuncia da parte del nuovo socio, la società debitrice tassa la sopravvenienza attiva per l'importo eccedente il valore nominale del credito.
Tassazione in capo alla società debitrice di una rinuncia parziale a un credito

A seguito di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 530/2019, ha fornito chiarimenti in merito alla tassazione in capo alla società debitrice di una rinuncia parziale a un credito vantato da una società, che lo aveva acquistato dopo essere diventata socio dello stesso debitore.

In particolare, una società, soggetta a fallimento, ha dovuto vendere una partecipazione in una controllata, nei confronti della quale vantava un credito di natura finanziaria.

La società cessionaria della partecipazione ha acquistato anche il credito finanziario per un prezzo inferiore al valore nominale, rilevando in contabilità solamente il valore di acquisto, senza fare emergere alcuna sopravvenienza passiva rispetto all'importo originario.

La formalizzazione della rinuncia al credito si dovrebbe verificare al momento dell'effettivo pagamento di quanto concordato.

A seguito della sopra citata rinuncia parziale al credito, il debitore vorrebbe portare a riserva di patrimonio l'eccedenza di debito, data dalla differenza tra il valore nominale iscritto a bilancio e la quota-parte pagata alla controllante. Tale riserva verrebbe in seguito utilizzata allo scopo di coprire, in parte, l'ingente ammontare di perdite degli esercizi precedenti portate a nuovo.

È stato chiesto se la differenza di cui sopra dovrebbe o meno essere tassata come sopravvenienza attiva ai sensi dell'art. 88, comma 4-bis del TUIR, di cui al dP.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Quadro normativo

Per i fini che qui interessano, si ricorda che l'art. 88, comma 4-bis sancisce che "La rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale. A tal fine, il socio, con dichiarazione sostitutiva di atto notorio, comunica alla partecipata tale valore; in assenza di tale comunicazione, il valore fiscale del credito è assunto pari a zero. (...)".

In particolare, come rilevato nella relazione illustrativa al D.lgs 14 settembre 2015, n. 147, che ha introdotto il suddetto comma 4-bis, tanto per le operazioni di rinuncia diretta a crediti originariamente sorti in capo al socio, quanto per quelle precedute dall'acquisto del credito (o della partecipazione) da parte del socio (o del creditore), il nuovo regime qualifica fiscalmente “apporto” la sola parte di rinuncia che corrisponde al valore fiscalmente riconosciuto del credito. A tal fine, il socio è tenuto a fornire alla partecipata una comunicazione, mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio o atto estero di natura equivalente, relativa al valore fiscale del credito; in assenza di tale comunicazione, il medesimo valore fiscale è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva.

In altri termini, nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto (non tassabile); l'eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile. E ciò a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.

Analogo trattamento viene previsto nei casi di operazioni di conversione del credito in partecipazioni, a prescindere dalla modalità seguita per il loro compimento (quindi, se realizzate sia mediante sottoscrizione dell'aumento di capitale con compensazione sia mediante altre operazioni) e dai regimi contabili adottati dai soggetti coinvolti. Le perdite eventualmente rilevate al momento della conversione che risulteranno deducibili per il creditore comporteranno, anch'esse, una sopravvenienza tassabile in capo al debitore.

Va da sé che l'aver previsto l'incremento del costo della partecipazione del creditore di un importo limitato al valore fiscale del credito comporta che l'operazione di rinuncia o con-versione per il creditore non dà luogo alla tassazione della differenza rispetto al valore nominale.

Nei casi contemplati dal medesimo comma 4-bis, comunque, trovano applicazione le previsioni di riduzione o eliminazione della tassazione della sopravvenienza attiva del debitore in presenza delle procedure concorsuali o situazioni similari previste dal nuovo comma 4-ter per le riduzioni dei debiti delle imprese in difficoltà.

La corretta tassazione di un'operazione

La problematica affrontata dall'Agenzia delle Entrate nella risposta in esame consiste nello stabilire quale sia la corretta tassazione di un'operazione, a seconda che venga qualificata o meno come una rinuncia parziale di un credito.

In merito, si ricorda che, con la rinuncia dei crediti vantati nei confronti della partecipata, il socio, a seguito di tale remissione, vuole favorire la capitalizzazione delle società, e per questo è prevista la mancata tassazione delle rinunce dei crediti, salvo quanto previsto in merito al loro valor fiscale.

Del resto, come previsto dai principi contabili (OIC 28, paragrafo 36), si tratta di operazioni che interessano il patrimonio dell'ente giuridico e vanno iscritte tra le riserve di capitale e non di utile (linee guida sul patrimonio netto emesse da CNDCEC e Confindustria del mese di dicembre 2017).

Relativamente, invece, alla posizione del socio, è stato stabilito che l'importo del credito rinunciato non è ammesso in deduzione ed il relativo ammontare si aggiunge al costo della partecipazione (art. 94, comma 6 e art. 101, comma 7, del TUIR). Secondo la nuova normativa, la rilevanza fiscale dell'operazione è limitata al valore fiscalmente riconosciuto del credito.

In altri termini, secondo la nuova normativa, l'incremento di patrimonio in capo alla debitrice conseguente alla rinuncia, fino all'importo corrispondente al valore fiscale del credito, verrebbe considerato apporto anche ai fini tributari; al contrario, l'eccedenza sarebbe considerata apporto solo ai fini civilistici.

Qualora, invece, tale operazione non venisse qualificata come rinuncia, la normativa in esame potrebbe non essere applicata.

Ad esempio, nel caso esaminato nella risposta in commento, la società istante ritiene che l'operazione non possa essere qualifica come rinuncia ad un credito vera e propria, in quanto il minor valore fiscalmente riconosciuto del credito sarebbe identificato nel prezzo di acquisto dello stesso fissato direttamente dalla procedura concorsuale e pagato dalla nuova società controllante al fallimento della precedente partecipante.

Pertanto, secondo tale tesi, si potrebbe sostenere di non applicare le disposizioni di cui all'articolo 88,comma 4-bis del TUIR in tema di rinuncia al credito del socio poiché incompatibile con la fattispecie prospettata. Di conseguenza, la differenza derivante dall'iscrizione a bilancio del minor valore fiscale del credito, pari al prezzo effettivamente pagato dalla società controllante alla procedura di fallimento, costituirebbe per il debitore una riserva di patrimonio diretta al miglioramento della situazione patrimoniale della società, riducendo notevolmente le perdite pregresse della stessa debitrice.

In conclusione

L'Agenzia delle Entrate, nella risposta in esame, ritiene che, al contrario di quanto sostenuto dalla società istante, ai fini dell'applicazione del citato articolo 88, comma 4-bis, del TUIR, non assume rilevanza la circostanza che il credito sia stato acquistato da una procedura fallimentare, ma la differente circostanza che il credito sia stato volontariamente acquistato verso un corrispettivo inferiore al suo valore nominale.

Pertanto, considerato che il socio avrebbe provveduto alla formale rinuncia parziale al credito nel momento dell'effettivo pagamento "di quanto concordato", tale rinuncia determinerebbe per il debitore, ai fini contabili, un incremento del patrimonio netto, mentre ai fini fiscali, una tassazione, attraverso una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi, per la "parte che eccede il valore fiscale" del credito rinunciato.

Tale tesi sarebbe coerente con quanto già sostenuto dalla Risoluzione dell' Agenzia Entrate del 13 ottobre 2017 n. 124, la quale ha specificato che, con l'introduzione del citato comma 4-bis, è stato riformato il regime fiscale IRES delle rinunce a crediti da parte dei soci, riconducendolo a unità, a prescindere dalla modalità con cui l'operazione viene formalmente svolta, nonché dai principi contabili utilizzati dai soggetti coinvolti.


Al fine di procedere alla corretta tassazione, il socio è tenuto a fornire alla partecipata una comunicazione - mediante dichiarazione sostitutiva di atto notorio o atto estero di natura equivalente - relativa al valore fiscale del credito; in assenza di tale comunicazione, il medesimo valore fiscale è assunto pari a zero, con la conseguenza che il debitore assoggetta a tassazione tutta la sopravvenienza attiva.
In altri termini, nei limiti del valore fiscale del credito, il socio aumenta il costo della partecipazione (come previsto dagli articolo 94, comma 6 e 101, comma 7, del TUIR, modificati dall'articolo 13 del "decreto internazionalizzazione") e il soggetto partecipato rileva fiscalmente un apporto (non tassabile).


L'eccedenza, invece, costituisce per il debitore partecipato una sopravvenienza imponibile, a prescindere dal relativo trattamento contabile, con la conseguenza che si può generare un fenomeno di tassazione da gestire con una variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.


In ogni caso, come può desumersi anche dalle risoluzioni n. 41/E del 5 aprile 2001 e n. 152/E del 22 maggio 2002, l'irrilevanza reddituale della rinuncia e della correlata sopravvenienza attiva (attualmente, nei limiti del valore fiscale del credito oggetto di rinuncia) trova giustificazione nella volontà del socio di patrimonializzare la società partecipata.


Invero, l'intassabilità della rinuncia ai crediti da parte dei soci si giustifica, in via sistematica, in virtù della cointeressenza del socio - creditore alle vicende della società partecipata.
La patrimonializzazione di quest'ultima si riflette, infatti, nell'attivo della partecipante, attraverso un corrispondente aumento del costo della partecipazione.
Per il socio l'onere conseguente alla rinuncia non è immediatamente deducibile, ma incrementa il costo della partecipazione.
Nel caso in cui, invece, la rinuncia trovi causa nell'animus donandi o nella remissione del debito da parte di un soggetto terzo, l'intera sopravvenienza attiva dovrà essere tassata in capo alla società partecipata in base all'articolo 88, comma 1, del TUIR.


Tuttavia, quando i crediti siano vantati da persone fisiche non esercenti un'attività di impresa, secondo la Risoluzione 124/E del 2017 di cui sopra, non sarebbe ravvisabile alcuna differenza tra il valore fiscale dei crediti rinunciati e il loro valore nominale e, quindi, la società partecipata non dovrebbe tassare alcuna sopravvenienza attiva ai sensi del comma 4-bis dell'articolo 88 del TUIR.
Allo stesso modo, non sarebbe necessaria la comunicazione alla società partecipata del valore fiscale dei crediti oggetto di rinuncia (articolo 88, comma 4- bis, secondo periodo), non potendosi verificare quelle distorsioni, dovute appunto alla mancata coincidenza tra il valore nominale dei crediti e il loro valore fiscale (ad esempio, per effetto di svalutazione), che il legislatore ha inteso scongiurare e che sono ravvisabili soltanto in presenza di un'attività di impresa.

Contro il contenuto della Risoluzione 124/E del 13 ottobre 2017 dell'Agenzia delle Entrate, si è posta la Norma di comportamento AIDC febbraio 2018 n. 201, secondo la quale anche in capo alle persone fisiche è necessario procedere alla verifica del valore fiscale del credito, il quale, se nullo, come nel caso di rinuncia di un compenso da parte di un amministratore- socio, se e in quanto non tassato, comporterebbe la tassazione integrale della sopravvenienza in capo alla società debitrice.

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