Legittimo il licenziamento fondato su comportamenti illeciti documentati da un investigatore privato
29 Marzo 2020
Se il datore di lavoro abbia notizia di condotte del dipendente che possano integrare non solo violazione dei doveri nascenti dal contratto, ma anche illecito civile, amministrativo o penale, è legittimato a incaricare un investigatore privato che le documenti, anche con riprese fotografiche, che potranno essere utilizzate come prova della giusta causa di recesso.
Il caso. Un dipendente assunto come tecnico sviluppatore nell'ambito di apertura di nuovi punti vendita facenti capo alla società datrice di lavoro e collocato – da solo - all'interno di un ufficio distaccato dotato di autonomo accesso, non sottoposto perciò al controllo diretto di alcun superiore gerarchico e tenuto al rispetto di un orario che doveva documentare mediante marcamento del badge o, in caso di dimenticanza dello stesso, mediante attestazione via internet al gestionale aziendale, previa contestazione disciplinare, è stato licenziato per aver posto in essere condotte gravemente rilevanti sotto il profilo disciplinare.
La genesi. Durante un controllo di routine, un addetto all'ufficio sicurezza aziendale si era recato presso la sede lavorativa del ricorrente, in orario di lavoro, non rinvenendo nessuno e provvedendo a comunicare la circostanza alla direzione. La società, verificato dal planning settimanale e dall'esame delle timbrature che il lavoratore avrebbe dovuto essere in servizio, ha incaricato un'agenzia investigativa, che, nel corso di osservazione durata quattordici giornate lavorative, ha accertato come il dipendente si sia allontanato dal posto di lavoro per ragioni squisitamente personali (colazioni al bar, incontri con soggetti estranei alla sfera lavorativa, soste in punti vendita per acquisti personali, visite presso la propria abitazione dove si stava eseguendo una ristrutturazione), con cadenza giornaliera, documentando tali fatti con fotografie.
La questione dirimente. Nella non contestazione delle condotte contestate da parte del ricorrente, l'oggetto della controversia è se l'impiego di personale dell'agenzia investigativa costituisca ipotesi di utilizzo di strumenti di controllo a distanza dei lavoratori ex art. 4 St. Lav. o meno, con le conseguenti ricadute giuridiche circa l'utilizzabilità dei risultati.
Le premesse giuridiche. Per dare risposta al quesito, il Tribunale ha ricostruito il quadro normativo alla luce della giurisprudenza nazionale e della Corte EDU, chiarendo che:
Il diritto vivente. La giurisprudenza ha fornito una lettura estensiva dell'art. 3 St. Lav., stabilendo che il divieto di controllo occulto dell'attività svolta al di fuori dei locali aziendali non opera laddove il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato alla verifica di comportamenti che possano integrare condotte illecite di natura civile, amministrativa o penale e non solo violazione degli obblighi contrattualmente assunti.
Le conclusioni. Ad avviso del Tribunale, quindi, l'ipotesi di controllo effettuato non rientra nella previsione dell'art. 4 St. Lav. (difettando tanto il requisito della stabile installazione dei dispositivi quanto quello dell'indistinta platea dei lavoratori controllati), bensì in quella dell'art. 3, con la precisazione che, secondo quanto precisato dalla Corte EDU, il diritto alla privacy del dipendente è recessivo di fronte alla necessità di accertare la commissione di illeciti penali ai suoi danni, purché lo strumento utilizzato sia proporzionato.
Il licenziamento è fondato. Ritenuto, quindi, che il ricorso all'agenzia di investigazione privata sia proporzionato rispetto alla condotta illecita da accertare, considerato altresì che l'anomala assenza del dipendente dal luogo di lavoro di lavoro durante l'accesso dell'addetto all'Ufficio sicurezza aziendale e il successivo controllo incrociato tra planning settimanale e marcature del badge hanno offerto una base giustificativa oggettiva a fondamento delle successive verifiche, la conseguenza è che le fotografie scattate dagli investigatori sono utilizzabili in giudizio, così fornendo la sufficiente prova della fondatezza degli illeciti disciplinari contestati.
(Fonte:Diritto e Giustizia)
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