Contratto di collaborazione autonoma e regime decadenziale ex art. 32, l. n. 183 del 2010

Maddalena Ciccone
30 Marzo 2020

Quando un rapporto di collaborazione autonoma si risolve per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessa per la sua naturale scadenza, l'azione per l'accertamento della subordinazione e la riammissione in servizio è esercitabile nei termini di prescrizione, senza essere assoggettata al regime decadenziale...
Massima

Quando un rapporto di collaborazione autonoma si risolve per effetto della manifestazione di volontà del collaboratore di voler recedere dal rapporto, ovvero cessa per la sua naturale scadenza, l'azione per l'accertamento della subordinazione e la riammissione in servizio è esercitabile nei termini di prescrizione, senza essere assoggettata al regime decadenziale di cui all'art. 32, comma 3, lett. b), l. n. 183 del 2010, poiché il regime in questione si applica al solo caso di recesso del committente e non è estensibile alle ipotesi in cui manchi del tutto un atto che il lavoratore abbia interesse a contestare o confutare.

Il caso

Adito per l'accertamento della nullità di un contratto di collaborazione a progetto ormai esaurito e della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso, stante l'assenza di una tempestiva impugnazione stragiudiziale ai sensi della l. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. b).

La Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado ribadendo l'applicabilità, ratione temporis, del regime di decadenza dall'impugnazione previsto dall'art. 32, comma 3, lett. b) al contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche nelle modalità a progetto, e lett. a) legge cit., in riferimento non già alla modalità di cessazione ma al contenuto del contratto suddetto, in riferimento alla sua diversa qualificazione come contratto di lavoro subordinato.

La soccombente proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione della l. n. 183 del 2010, art. 32, comma 3, lett. a) e b) e comma 4, lett. b) e d) per inapplicabilità della legge denunciata all'azione di accertamento della nullità, per inesistenza di un progetto, del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, trattandosi di disciplina in materia di decadenza, di stretta interpretazione, e pertanto inestensibile oltre le ipotesi espressamente previste.

La questione

La questione che la Cassazione è chiamata a risolvere attiene all'applicabilità del regime decadenziale previsto dalla l. n. 604 del 1966, art. 6, come modificata dalla l. n. 183 del 2010, art. 32, all'ipotesi dell'azione di accertamento della natura subordinata del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, nel caso in cui la collaborazione sia terminata per scadenza del termine apposto al contratto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione muove dall'orientamento della giurisprudenza di legittimità che, in sede di applicazione delle disposizioni introdotte dall'art. 32, l. n. 183 del 2010, valorizza la previsione della necessità di una comunicazione scritta dalla quale far decorrere il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento (cfr. Cass. 11 gennaio 2019, n. 523 che ha escluso dall'ambito di applicazione dell'art. 32, cit., l'ipotesi del licenziamento intimato oralmente, proprio a cagione della mancanza di un atto scritto).

L'esistenza di una comunicazione scritta risulta necessaria non solo in caso di impugnazione del licenziamento ma anche nelle diverse ipotesi di trasferimento d'azienda, ai sensi dell'art. 2103, c.c., di cessione del contratto, ai sensi dell'art. 2112, c.c.; di accertamento del rapporto in capo al reale datore fondato sulla natura fraudolenta del contratto formale, per i quali pure è prevista la necessità di impugnare stragiudizialmente un provvedimento a pena di decadenza e di depositare il ricorso nel termine dettato per i licenziamenti.

La Corte di cassazione evidenzia un ulteriore elemento che caratterizza l'applicazione del citato art. 32: affinché si applichi il regime di decadenza dall'azione, occorre che la domanda si collochi nel contesto di una risoluzione del rapporto per volontà datoriale. Ed infatti, quando il legislatore ha voluto estendere l'obbligo di impugnazione stragiudiziale all'accertamento della natura del rapporto intercorso tra le parti, ha precisato che tale estensione è circoscritta alle ipotesi di risoluzione del rapporto per volontà del datore di lavoro. La disposizione si applica, infatti, ai “licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine”, così come nel caso di collaborazione autonoma, anche a progetto, è il recesso del committente a condizionare l'esercizio dell'azione alla preventiva impugnazione stragiudiziale dell'atto risolutorio.

A definitiva conferma del percorso interpretativo sviluppato, la Corte osserva che, ove invece il legislatore ha voluto prescindere dall'esistenza di uno specifico atto da impugnare, come nel caso dell'azione di nullità del termine e nel caso di azione di costituzione o accertamento di un rapporto di lavoro in capo ad un soggetto diverso dal titolare del contratto, si è preoccupato di fornire un'indicazione specifica della fattispecie (così all'art. 32, comma 3, lett. d, nel testo applicabile ratione temporis, e al comma 4, lett. d). Una tale fattispecie non ricorre, tuttavia, nel caso affrontato dalla sentenza in commento, avendo la lavoratrice proposto una domanda di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti dello stesso soggetto titolare del contratto per mancanza di un progetto e non per la nullità del termine apposto a contratto.

Osservazioni

La l. n. 183 del 2010, art. 32, ha esteso ad una serie di ipotesi ulteriori la previsione della l. n. 604 del 1966, art. 6, sull'impugnativa stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento. i commi 3 e 4 del citato art. 32 sono formulati proprio nel senso di estendere le disposizioni di cui all'art. 6, cioè l'onere di impugnativa stragiudiziale nel termine di sessanta giorni, alle ipotesi ivi specificamente elencate.

Nel contesto della disposizione di cui al citato art. 32, infatti, impugnare equivale a contestare o confutare, dovendosi intendere l'estensione attuata dalla norma «come diretta ad attrarre nella disciplina, prima limitata al solo licenziamento, una serie ulteriore di provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda, appunto, impugnare, nel senso di contestarne la legittimità o la validità» (Cass. 21 maggio 2019, n. 13648).

La Corte di cassazione ha poi valorizzato, in particolare, la previsione della necessità di una comunicazione scritta dalla quale far decorrere il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento e degli altri provvedimenti datoriali a cui è stato esteso il regime dell'art. 32 cit. Con la conseguenza che fuoriescono dal perimetro del citato art. 32, tutte le ipotesi in cui non vi siano provvedimenti datoriali da impugnare, per denunciarne la nullità o l'illegittimità, come ad es. l'ipotesi del licenziamento intimato oralmente, proprio a cagione della mancanza di un atto scritto (cfr. Cass. 11 gennaio 2019, n. 523).

La Suprema Corte ha, inoltre, escluso che fosse assoggettata al termine di decadenza di cui all'art. 32, cit., l'azione per l'accertamento e la dichiarazione del diritto di assunzione del lavoratore presso l'azienda subentrante nell'ipotesi di cambio di gestione dell'appalto con passaggio dei lavoratori all'impresa nuova aggiudicatrice; si è affermato come tale fattispecie non rientrasse “nella previsione di cui al comma 3, lett. c), riferita ai soli casi di trasferimento d'azienda, né in quella di cui al comma 4, lett. d) del medesimo articolo; detta norma presuppone, infatti, non il semplice avvicendamento nella gestione, ma l'opposizione del lavoratore ad atti posti in essere dal datore di lavoro dei quali si invochi l'illegittimità o l'invalidità con azioni dirette a richiedere il ripristino del rapporto nei termini precedenti, anche in capo al soggetto che si sostituisce al precedente datore, o ancora, la domanda di accertamento del rapporto in capo al reale datore, fondata sulla natura fraudolenta del contratto formale” (Cass., sez. lav., 25 maggio 2017, n. 13179).

L'analisi delle ipotesi enumerate dall'art. 32, avvalora la ricostruzione proposta.

Il comma 3, infatti, sottopone all'onere di impugnativa stragiudiziale, oltre al licenziamento (e al contratto a termine, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012 – che ha unificato nella formulazione dell'art. 32, comma 3, lett. a), l. n. 183 del 2010, le due ipotesi di invalidità del termine contrattuale in precedenza disciplinate dalle lettere a) e d), abrogando quest'ultima – e dal d.lgs. n. 81 del 2015 che ha abrogato l'art. 32, comma 3, lett. a), nella parte in cui estendeva l'impugnazione stragiudiziale alle ipotesi di nullità del termine apposto al contratto di lavoro), il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa anche nella modalità a progetto, di cui all'art. 409, c.p.c., n. 3), ed il trasferimento disposto ai sensi dell'art. 2103, c.c.

L'art. 32, comma 4, include, tra l'altro, “la cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'art. 2112, c.c., con termine decorrente dalla data del trasferimento” (lett. c) e “ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 27, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto” (lett. d). Tale norma, al pari del comma 3, estende l'onere di impugnativa stragiudiziale a specifici provvedimenti datoriali, quali appunto il passaggio del rapporto di lavoro del dipendente in capo al cessionario per effetto del trasferimento d'azienda deciso dal datore (dovendo intendersi in senso a-tecnico, estraneo cioè alla previsione degli artt. 1406, c.c., e ss., il riferimento alla cessione del contratto contenuto nella lett. c) dell'art. 32, logicamente incompatibile con l'art. 2112, c.c.), e le fattispecie interpositorie che, se pure azionabili attraverso una domanda di costituzione del rapporto in capo all'effettivo utilizzatore, sono logicamente legate alla contestazione del rapporto fittizio costituito con il soggetto interposto (lett. d). (cfr. Cass. 4 aprile 2019, n. 9469). Ancora, nel caso di cessione del contratto, ai sensi dell'art. 2112, c.c., è dalla data del trasferimento che decorre il termine di decadenza.

L'interpretazione dell'art. 32 come appena delineata si impone, oltre che per la coerenza con i criteri letterale e logico sistematico, anche in ragione dell'esigenza di una lettura rigorosa della disposizione suddetta che ha introdotto, per fattispecie prima sottoposte unicamente ai termini di prescrizione, un nuovo e ristretto termine di decadenza per l'impugnativa stragiudiziale e per la successiva azione in giudizio.

L'art. 32, l. n. 183 del 2010, infatti, al pari delle altre norme che prevedono una decadenza dal diritto di agire in giudizio e, dunque, una modificazione del libero esercizio dell'azione, hanno natura eccezionale: esse sono di stretta interpretazione e non appaiono suscettibili di applicazione analogica, secondo quanto prescritto dall'art. 14, disp. prel. c.c. (cfr. ex multis, Cass. 11 gennaio 2019, n. 523; Cass. 21 maggio 2019, n. 13648; Cass. 25 maggio 2017, n. 13179; Cass., sez. un., n. 4913 del 2016; Cass. 9 novembre 2015, n. 22825).

È quindi il profilo impugnatorio a costituire il decisivo discrimine dell'applicazione della disciplina dell'art. 32, l. n. 183 del 2010. Ed è questo il criterio adottato dalla Suprema Corte nella sentenza in commento per la verifica di applicabilità del regime di decadenza al di fuori dell'ipotesi prevista dal citato art. 32, comma 3, lett. b), che circoscrive la decadenza al “recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto”.

Perché si applichi il rigido regime di decadenza dall'azione, occorre che la domanda si collochi nel contesto di una risoluzione del rapporto per volontà datoriale. E così, nel caso di collaborazione autonoma, anche a progetto, è il recesso del committente a condizionare l'esercizio dell'azione alla preventiva impugnazione stragiudiziale dell'atto risolutorio, così realizzando la dimensione impugnatoria disciplinata dalla disposizione. Sicché, ove manchi un provvedimento datoriale, non sussistendo alcun atto da impugnare o contestare, di conseguenza non ricorre alcun termine decadenziale entro il quale comunicare la decisione di voler contestare la legittimità della scelta del datore.

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