È consentito sanare in tempi successivi l’atto di citazione con più vizi inerenti alla vocatio in ius, ove rilevati in momenti diversi
31 Marzo 2020
Massima
In caso di atto di citazione nullo per più vizi inerenti alla vocatio in ius (inosservanza dei termini di comparizione e mancanza dell'avvertimento di cui all'art. 163, n. 7, c.p.c.), la cui rilevazione avvenga in momenti diversi, è consentito disporre due volte la rinnovazione della citazione. Il caso
Il condominio AAA ed alcuni componenti dello stesso convenivano in giudizio la società DDD ed i condomini BBB e CCC, i quali avevano locato alla suddetta società le proprie unità immobiliari omettendo di comunicare all'amministratore che i locali sarebbero stati destinati a pub birreria, così, asseritamente, violando il regolamento condominiale, nel quale era previsto che le singole unità immobiliari erano destinate ad uso di civile abitazione e che qualsiasi altra destinazione sarebbe dovuta essere autorizzata dall'assemblea con la totalità dei millesimi condominiali. Gli attori chiedevano che il Tribunale adito accertasse tale violazione, disponendo la cessazione dell'attività del pub e condannandoi convenuti al risarcimento del danno, comprensivo di danno biologico; chiedevano, inoltre, che fosse dichiarato il superamento della normale soglia di tollerabilità (art. 844 c.c.) delle immissioni sonore prodotte dal pub, con condanna al risarcimento del relativo danno, e che fosse ordinata la rimozione del condizionatore installato all'interno del cortile condominiale, in quanto ivi posto in violazione di specifiche previsioni del regolamento e dell'art. 1102 c.c. Il Tribunale adito, avendo rilevato la nullità dell'atto di citazione per indicazione ai convenuti di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge, disponeva la rinnovazione della notifica dell'atto. Così come quello originario, l'atto di citazione rinnovato non conteneva, tra gli avvertimenti relativi alle preclusioni e decadenze richiesti all'art. 163, n. 7 c.p.c., quello relativo alla possibilità di eccepire l'incompetenza ai sensi dell'art. 38 c.p.c. Tale vizio non veniva fatto oggetto di rilievo dal giudice adito, il quale, peraltro, a seguito di istanza degli attori proposta in seconda udienza, disponeva ulteriore rinnovazione della notificazione dell'atto (da regolarizzare) alle controparti. Queste ultime, costituitesi in giudizio dopo la terza notificazione, eccepivano, in via preliminare, l'improcedibilità del giudizio e, in subordine, la sua estinzione, asserendo che il giudice non avrebbe potuto consentire la terza notificazione, ma avrebbe dovuto dichiarare l'estinzione del processo. I convenuti contestavano, altresì, nel merito, le domande. Il Tribunale adito respingeva l'eccezione preliminare e accoglieva parzialmente le domande attoree, disattendendole in punto di risarcimento dei danni. Con riferimento all'eccezione preliminare di rito, il Tribunale rilevava a) che l'art. 307 c.p.c. prevede l'estinzione del processo nel caso di non ottemperanza all'ordine di rinnovazione della citazione entro il termine perentorio stabilito e, non essendosi verificato tale evento, agli istanti non poteva addebitarsi alcun comportamento inerte; b) che il vizio ulteriore, che veniva rilevato in sede di seconda udienza, poteva essere sanato, non essendo impedita dal codice di rito la possibilità di rilevare in un successivo momento ulteriori vizi, né essendo previsto un numero massimo di rinnovazioni dell'atto di citazione, poiché l'unico onere che il legislatore impone alla parte è quello di eseguire la rinnovazione della citazione nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge. Inoltre, ogni vizio relativo alla vocatio in ius doveva ritenersi sanato in forza dell'avvenuta costituzione di tutte le parti convenute. Gli originari convenuti proponevano appello. La Corte adita, con ordinanza ex art. 348-bisc.p.c., ritenendo che l'impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di essere accolta, dichiarava l'appello inammissibile. Avverso la decisione del Tribunale gli originari convenuti proponevano ricorso per cassazione. In seguito, tutte le disposizioni del codice di procedura civile verranno citate con la sola indicazione numerica.
La questione
La questione giuridica sottoposta alla Corte Suprema di cassazione è stata quella di stabilire se, nel caso in cui un atto di citazione sia affetto da un duplice vizio e la relativa rilevazione avvenga per l'uno nell'immediato e per l'altro in tempo protratto, sia consentito disporre, in tempi diversi, la rinnovazione della citazione oppure, anche se all'ordine di rinnovazione venga dato puntuale seguito in entrambi i casi, debba essere dichiarata l'estinzione del giudizio per esaurimento della possibilità di sanatoria. Le soluzioni giuridiche
i) Così come osservato dalla S.C., la vicenda ha avuto il seguente svolgimento: a) in un primo momento, il tribunale, nonostante che l'atto di citazione fosse affetto da un duplice vizio, vale a dire l'assegnazione alle parti convenute di un termine inferiore a quello legale e la mancanza dell'avvertimento circa la decadenza di cui all'art. 38 c.p.c., ebbe a rilevare la nullità dell'atto di citazione unicamente per il primo di tali vizi, conseguentemente ordinando la rinnovazione dell'atto, regolarizzato per il relativo aspetto, entro un termine perentorio; b) gli attori provvidero, correttamente e tempestivamente, a compiere l'attività di rinnovazione; c) successivamente, in occasione della nuova udienza, venne rilevata per la prima volta la nullità dell'atto di citazione per l'ulteriore vizio originario di cui si è detto sub a) e venne, conseguentemente disposta ulteriore rinnovazione dell'atto, disposizione anche in tal caso ritualmente osservata. ii) A parere dei ricorrenti, la duplice rinnovazione doveva ritenersi non consentita: poiché l'atto di citazione originario presentava un duplice vizio in punto di vocatio in ius, a prescindere dalla ragione fondante il primo provvedimento di rinnovazione della notificazione, l'atto nuovamente notificato sarebbe dovuto essere regolarizzato in toto, non essendo ammissibile sanatoria rateizzata, dovendo ritenersi avvenuta «consumazione» della relativa facoltà in ragione della perentorietà (e conseguente sua non prorogabilità) del termine previsto in materia dall'art. 164, comma 2, c.p.c. Per l'effetto, la fattispecie esaminata dal tribunale doveva farsi ricadere nella sfera applicativa dell'art. 307, comma 3,c.p.c. non potendosi sostenere che la citazione fosse stata validamente rinnovata entro il termine perentorio, in relazione al vizio concretamente sussistente. iii) La S.C. ha ritenuto l'infondatezza di tali argomentazioni. Sintetizzandone il pensiero, la S.C. ha osservato, confermando l'opinione già espressa dal tribunale autore della sentenza gravata, che nel codice di rito non si rinviene alcuna norma che inibisca di rilevare, successivamente ad una rinnovazione dell'atto di citazione per un vizio inerente alla vocatio in ius, ulteriori vizi inerenti alla stessa, e neppure disposizioni che fissino un numero massimo di rinnovazioni possibili dell'atto, non reiterabili solo se non eseguite nel rispetto del termine perentorio assegnato dal giudice o dalla legge. La S.C. ha, inoltre, rilevato che dovesse escludersi che la vicenda fosse sussumibile in alcuna delle ipotesi di estinzione di diritto del processo di cui al terzo comma dell'art. 307, non essendosi verificato alcuno dei relativi presupposti, giacché l'ordine di rinnovazione dell'atto di citazione risultava essere stato puntualmente eseguito in entrambi i casi venuti all'attenzione. La S.C. ha, infine, affermato che dovesse escludersi che fosse configurabile la «consumazione» o l'«esaurimento» del rimedio previsto dall'art. 164, comma 2, in relazione al rispetto del termine perentorio ivi sancito per il compimento delle attività di rinnovazione dell'atto di citazione, atteso che il termine dato per rinnovare l'atto nel momento della rilevazione del primo dei suddetti vizi non fu oggetto di alcuna proroga né di reiterazione, in quanto nella fattispecie «vennero assegnati due distinti termini perentori ognuno dei quali funzionale al raggiungimento della sanatoria di due diversi vizi distinti, così che tra i due non intercorre alcun rapporto di consequenzialità, restando, invece, perfettamente autonomi l'uno dall'altro». Osservazioni
i) All'atto di citazione è attribuito un duplice scopo, quello della vocatio in ius e quello dell'editio actionis. La finalità della vocatio in ius è quella di instaurare il contraddittorio con la parte convenuta e di porla in condizione di esercitare le proprie difese e si realizza mediante le indicazioni contenute nei numeri 1), 2) 6) e 7) del terzo comma dell'art. 163 c.p.c., vale a dire l'indicazione del tribunale adito, delle parti e di coloro che le rappresentano od assistono, del procuratore e del giorno dell'udienza di comparizione, unitamente all'invito a costituirsi entro i termini e nelle forme specificate dalla norma e con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167 c.p.c. La finalità dell'editio actionis è, invece, quella di rendere esplicito alla parte convenuta ciò che si pretende da essa, onde consentirle di difendersi nel merito, mediante la determinazione della cosa oggetto della domanda, con l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della stessa, con le relative conclusioni e con l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione. La disciplina della nullità dell'atto di citazione è dettata dall'art. 164 c.p.c., con differenziazione delle conseguenze a seconda che il vizio incida sull'una o sull'altra delle suddette sue finalità. ii) Per quanto attiene ai requisiti dell'editio actionis, che qui non interessano, ci si limita a rammentare che le ipotesi di nullità sono dettate nel quarto comma della norma e le conseguenze nei successivi commi quinto e sesto. Per ciò che attiene ai requisiti della vocatio in ius, nullità è sancita nei casi indicati nel primo comma dell'art. 164, dei quali interessano in questa sede l'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero e la mancanza dell'l'avvertimento previsto dal numero 7 dell'art. 163. Le conseguenze sono descritte nel secondo e terzo comma della disposizione. Secondo comma: qualora il convenuto non si costituisca in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della citazione, ne dispone d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio. Ove ritualmente eseguita, la rinnovazione sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Ove, invece, la rinnovazione non venga eseguita o venga eseguita oltre il termine perentorio fissato, il giudice deve ordinare la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma del terzo comma dell'art. 307. Terzo comma: qualora il convenuto si costituisca in giudizio, l'effetto sanante si produce «in automatico», in applicazione del generale principio dettato dall'art. 156 c.p.c.; l'atto risulta, infatti, avere raggiunto il suo scopo. Tale «automaticità» presenta dei limiti proprio con riguardo ai due casi prospettatisi nella vicenda venuta all'attenzione in questa sede. Laddove il convenuto, costituitosi, deduca (in assenza di deduzioni, la sanatoria sarà, senza dubbio, operante) l'inosservanza del termine a comparire o la mancanza dell'avvertimento previsto dal n. 7 dell'art. 163, il giudice deve fissare una nuova udienza nel rispetto dei termini. Si tratta, invero, di inosservanze e/o mancanze potenzialmente pregiudizievoli del diritto del convenuto di predisporre tempestivamente le proprie difese. iii) Nella fattispecie, entrambi i suddetti vizi dell'atto di citazione risultano essersi realizzati. Gli stessi vennero, peraltro, rilevati in momenti diversi. In entrambi tali momenti, il giudice si condusse, in assenza di costituzione della parte convenuta, ai sensi del secondo comma dell'art. 164 c.p.c., disponendo rinnovazione della citazione. Costituitesi dopo la terza notificazione di quest'ultimo atto, le parti originariamente convenute nella causa di riferimento hanno espresso opinione che la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio potesse disporsi una volta soltanto e che, nell'adempiere al relativo ordine, la controparte avrebbe dovuto procedere all'eliminazione di tutti i vizi esistenti, a prescindere dal fatto che ne fosse stato rilevato uno soltanto, con inibizione di dare corso ad ulteriori rimedi in tempo protratto, successivo allo scadere del suddetto termine. La tesi può essere qualificata «suggestiva», ma non rinviene «accrediti» né nella norma né nei principi. La fattispecie è sicuramente peculiare, risultando prodotta dall'inosservanza, equamente ripartita, dell'antico adagio del lege totum (sia le norme che gli atti), ma la soluzione data dapprima dal primo giudice e all'esito dalla Suprema Corte – riportata nel precedente paragrafo ed asseverata anche in dottrina – non presta il fianco ad alcuna censura. D'altra parte, va rammentato che, nel costituirsi in giudizio dopo la terza notificazione dell'atto di citazione, le parti originariamente convenute non si limitarono a tenere le condotte descritte nel terzo comma dell'art. 164, cioè unicamente a dedurre le nullità di cui si è detto, ma svolsero anche difese in punto di merito e tale circostanza comporta, ex se, la sanatoria dei vizi della citazione (Cass. civ., sez. VI, ord. 16 ottobre 2014, n. 21910 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2017, n. 10400). Riferimenti
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