Reclamo al collegio

Alessandro Rossi
Alessandro Rossi
31 Marzo 2020

Di reclamo al collegio si può parlare relativamente alle ipotesi previste agli artt. 178 e 669-ter-decies c.p.c. In entrambi i casi abbiamo un procedimento davanti al collegio, attivato ad istanza di parte e successivo ad un provvedimento del giudice singolo, che culmina con un nuovo provvedimento. Se questi sono i tratti comuni, per il resto le due fattispecie differiscono sensibilmente.
Inquadramento

Di reclamo al collegio si può parlare relativamente alle ipotesi previste agli artt. 178 e 669-ter-decies c.p.c.

In entrambi i casi abbiamo un procedimento davanti al collegio, attivato ad istanza di parte e successivo ad un provvedimento del giudice singolo, che culmina con un nuovo provvedimento. Se questi sono i tratti comuni, per il resto le due fattispecie differiscono sensibilmente.

In primis, l'art 178 c.p.c. si trova nel contesto della disciplina del processo di cognizione ordinario, mentre l'art. 669-ter-decies disciplina un istituto che rientra nell'ambito della tutela cautelare.

In secundis, è la stessa struttura della norma a differire: l'art. 178 c.p.c. prevede due fattispecie diverse al comma 1 e al comma 2 relative, rispettivamente, al riesame delle questioni decise con ordinanza revocabile e al reclamo al collegio dell'ordinanza di estinzione emessa dal giudice istruttore. L'art 669-ter-decies disciplina l'impugnazione dei provvedimenti cautelari.

Le ipotesi previste dai commi 1 e 2 dell'art. 178 c.p.c.

L'art. 178 c.p.c. è relativo al processo di cognizione e ai suoi primi due commi prevede due istituti diversi. Tratto comune, però, è quello di operare solamente nel caso in cui la controversia sia di fronte al tribunale in composizione collegiale.

A) L'ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 178 c.p.c.

Il comma 1 dell'articolo in esame, relativo alle ordinanze revocabili, esprime un principio di carattere generale secondo il quale l'attività dell'istruttore rimane soggetta al controllo del collegio. Il collegio, infatti, assomma tutti i poteri del giudice istruttore e può emettere tutti i provvedimenti che quest'ultimo avrebbe dovuto o potuto emettere.

E' possibile far pronunciare il collegio ai sensi del comma 1 art. 178 c.p.c. al momento della rimessione in decisione su tutte le questioni che sono state decise dall'istruttore con ordinanza revocabile. Ciò può essere fatto senza proporre impugnazione, in quanto l'ordinanza revocabile non ha i caratteri di provvedimento decisorio.

Si ritiene, comunque, che per permettere una nuova pronuncia del collegio sia necessario chiedere al momento della precisazione delle conclusioni la modifica del provvedimento.

In evidenza

In proposito si veda Cass. civ., sez. I, 23 marzo 2017, n.7472, secondo la quale: «Nell'ipotesi di rimessione della causa al collegio, le parti possono sottoporre a quest'ultimo, ai sensi dell'art. 178, comma 1, c.p.c., tutte le questioni già definite dal giudice istruttore con ordinanza revocabile, senza bisogno di proporre specifica impugnazione, purché sia stata chiesta, in sede di precisazione delle conclusioni, la revoca della menzionata ordinanza. In caso contrario, resta precluso al collegio (ed anche al giudice unico, ove la controversia debba essere decisa dal tribunale in composizione monocratica) qualsivoglia scrutinio al riguardo, con la conseguente impossibilità di sollevare la suddetta questione in sede di impugnazione».

Secondo quanto disposto ex art. 279, comma 1 c.p.c., il collegio provvede con ordinanza su questioni relative all'istruzione della causa, nonché quando la causa viene rimessa all'istruttore al fine di procedere all'istruzione. In quest'ultimo caso ai sensi dell'art. 280 c.p.c. l'ordinanza deve anche prevedere l'udienza di comparizione delle parti di fronte al giudice istruttore. Il provvedimento viene inserito nel fascicolo d'ufficio e comunicato alle parti ai sensi dell'art. 176, comma 2c.p.c.

Ai sensi dell'art. 281 c.p.c., quando ne ravvisi la necessità, il collegio, anche d'ufficio, può disporre la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova. Proprio perché il collegio assomma in sé tutti i poteri di direzione, istruzione e decisione della causa, non vi sono preclusioni a che il collegio assuma un mezzo di prova direttamente (così: Mandrioli, Carratta, pp. 321-323).

Nell'ipotesi prevista dal primo comma, non vi sono ostacoli a che il giudice istruttore faccia parte del collegio perché non si tratta di una vera e propria impugnazione; non a caso, lo stesso giudice istruttore può procedere alla revoca o alla modifica del provvedimento da lui emesso.

B) L'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 178 c.p.c.

L'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 178 c.p.c. tratta del reclamo al collegio contro i provvedimenti del giudice istruttore con cui si pronuncia l'estinzione del processo ai sensi dell'art. 308 c.p.c. Il reclamo avverso l'ordinanza del giudice istruttore ha natura impugnatoria ma non sul modello dell'appello, quanto piuttosto dell'opposizione a decreto ingiuntivo: davanti al collegio a seguito del reclamo si apre un procedimento che, partendo dalla critica di parte ripercorre la questione già affrontata senza preclusioni di sorta e con la possibilità illimitata di introdurre elementi nuovi. Perciò, nel silenzio della legge, anche in questo caso non ci sono ostacoli a che del collegio faccia parte anche il giudice istruttore.

I commi 3, 4 e 5 dell'art. 178 c.p.c. disciplinano i termini, i modi di proposizione e il procedimento del reclamo.

Il reclamo va presentato entro 10 giorni dall'adozione dell'ordinanza, quando emessa in udienza, o dalla comunicazione della stessa, nel caso in cui venga pronunciata fuori udienza. E' proposto con semplice dichiarazione in udienza o con ricorso al giudice istruttore.

Quando il reclamo è presentato in udienza il giudice assegna alle parti, ove lo richiedano, due termini per la proposizione di una memoria e della relativa replica. Quando è, invece, proposto tramite ricorso, il giudice emette un decreto con il quale prevede gli eventuali termini per le memorie e che andrà comunicato alle parti non ricorrenti.

Scaduti i termini assegnati, il collegio provvede a pronunciarsi entro i successivi 15 giorni.

L'art. 307 c.p.c. prevede che il collegio si pronunci sull'estinzione con sentenza. Nel caso in cui sia rigettato il reclamo, la pronuncia del collegio avrà la forma della sentenza e potrà essere impugnata tramite appello. Ai sensi dell'art. 307 c.p.c., comma 2, è invece previsto il provvedimento dell'ordinanza non impugnabile nel caso in cui il reclamo sia accolto, perché si tratta di un provvedimento di carattere ordinatorio con il quale il collegio dà indicazioni per la prosecuzione del giudizio.

In evidenza

Contro l'ordinanza non impugnabile con cui si accoglie il reclamo non è neanche esperibile il ricorso ex art. 111 Cost. Così si è pronunciata Cass. civ., sez. I, 09 novembre 1995, n.11663, secondo la quale: «L'ordinanza collegiale che, a norma dell'art. 308 comma 2 c.p.c., accoglie il reclamo avverso il provvedimento che dichiara l'estinzione del processo, non è impugnabile in via autonoma - e, perciò, non è soggetta a ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. -, ma è suscettibile di controllo soltanto mediante l'impugnazione della sentenza destinata a concludere il procedimento irritualmente proseguito».

In ultima analisi, anche in questo secondo comma si esprime lo stesso concetto: ogni questione affrontata dal giudice istruttore può essere sottoposta al collegio, che è l'organo titolare del potere decisorio.

Il reclamo cautelare. Considerazioni iniziali e ratio

Il reclamo cautelare (art. 669-terdecies c.p.c.), introdotto con la novella del 1990 che ha disciplinato il procedimento cautelare uniforme, è il mezzo con il quale il legislatore ha permesso la critica dei provvedimenti cautelari.

Un mezzo di impugnazione dei provvedimenti cautelari, per i caratteri della non decisorietà e della provvisorietà degli stessi, originariamente non era stato previsto, perché si ragionava sulla sua principale caratteristica: esso è destinato a perdere di utilità con il provvedimento che chiude la fase di merito.

Tale previsione, tuttavia, non è illogica: oggi non è più dubitabile l'utilità, nonché la necessità, dell'attuazione del doppio grado di giudizio all'interno del procedimento cautelare, perché il provvedimento cautelare può causare pregiudizi a chi sia ingiustamente e provvisoriamente soccombente, mentre si aspetta la sentenza di merito.

Questa considerazione, unita a quelle relative al fenomeno del cosiddetto “giudicato cautelare”, ancor più evidente l'opportunità del rimedio impugnatorio.

Giudicato cautelare

L'art. 669-septies c.p.c., introdotto con la riforma del 1990, dispone che il ricorso cautelare sia liberamente riproponibile nel caso in cui sia rigettato per incompetenza. Si ritiene che a questa ipotesi vadano ad aggiungersi tutte quelle in cui sia dichiarato il difetto di altri presupposti processuali. Non vi è, invece, la libera riproponibilità del reclamo quando il rigetto avvenga per carenza del fumus boni iuris e del periculum in mora. Per riproporre il ricorso cautelare al di fuori di queste ipotesi specifica la norma che è necessario che vi sia un mutamento delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto. Vi è, quindi, una preclusione solamente per il dedotto e non per il deducibile o per gli eventi sopravvenuti ricollegabili a quelli già dedotti.

La limitata stabilità del provvedimento cautelare negativo è stata chiamata “giudicato cautelare (sul punto si veda: C. Consolo, pp. 248 e 249).

Segue. Provvedimenti reclamabili

Per espressa previsione dell'art. 669-ter-decies comma 1, sono reclamabili «tutte le ordinanze con le quali sia stato concesso o negato il provvedimento cautelare». Rimangono esclusi, quindi, i decreti di concessione della misura cautelare inaudita altera parte, disciplinati ex art. 669-sexies comma 2.

La formulazione originaria della disposizione non ammetteva il reclamo contro le ordinanze di diniego della misura cautelare. La mancata possibilità di proporre impugnazione verso i relativi provvedimenti aveva sollevato il dubbio di incostituzionalità della disposizione in dottrina. La Corte costituzionale, con due pronunce, ritenne il dubbio fondato ammettendo la reclamabilità anche dei provvedimenti di rigetto.

In evidenza

Le due pronunce della Corte costituzionale in materia furono la n. 253 del 23 giugno 1994 e la n. 197 del 26 maggio 1995. La prima dispone che: «L'art. 669-terdecies c.p.c. è costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 3 e 24 Cost. - nella parte in cui non ammette il reclamo ivi previsto anche avverso l'ordinanza con cui sia stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare». Con la seconda, invece, la Corte costituzionale si pronunciava nei seguenti termini: «È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies, comma 1 c.p.c. nella parte in cui non prevede la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza cautelare per ragioni di competenza, in riferimento agli art. 24 commi 1, 2 e 3 comma 1 Cost.».

Il reclamo, per giurisprudenza costante, è ammesso anche solo contro le disposizioni sulle spese.

In evidenza

In materia può citarsi la pronuncia Cass. civ., Sez. Un., 28 dicembre 2001, n. 16214, secondo la quale: «Qualora la domanda cautelare venga rigettata con dichiarazione di compensazione delle spese processuali, la parte che si dolga di quest'ultima pronuncia ha a disposizione due mezzi di gravame: il reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. e quindi, definito il procedimento di reclamo o decorsi i termini per la sua proposizione, l'opposizione di cui agli art. 669-septiese 645 c.p.c. (opposizione che non è proponibile sino a quando siano pendenti i termini per reclamare o sia in corso il relativo procedimento)».

Segue. Natura, oggetto, motivi ed onere della prova

In ragione delle considerazioni fatte nei precedenti paragrafi, nonché delle intenzioni del legislatore e della ratio per la quale è stato introdotto il reclamo cautelare, si può certamente riconoscere natura di impugnazione all'istituto in esame. In quanto impugnazione volta a un controllo di diritto e di fatto della misura cautelare, sorge la necessità di capire quali siano le norme generali per colmare le lacune della disciplina speciale.

Sembrano applicabili gli artt. 334, 335 e 346 c.p.c., relativi, rispettivamente all'ammissibilità delle impugnazioni incidentali tardive, alla riunione dei più impugnazioni proposte nel medesimo giudizio e della riproposizione delle questioni assorbite nel procedimento cautelare. Non è applicabile sicuramente applicabile l'art. 345, commi 2 e 3, c.p.c.: perché l'ultimo comma dell'art. 669-terdeciesc.p.c. consente alle parti di allegare circostanze e motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo ed al tribunale di assumere informazioni e acquisire nuovi documenti (C. Consolo, 254). È pacifica in dottrina la possibilità di introdurre novità nel procedimento di reclamo.

Venendo all'oggetto della cognizione, non ci sono limiti alla totale devoluzione cognitiva della fattispecie cautelare già decisa, né sede di reclamo cautelare non v'è affatto la necessità di allegazione e specificazione dei motivi o indici di ingiustizia o invalidità del provvedimento gravato né in sede di reclamo è applicabile l'art. 342 c.p.c. (così Trib. Catanzaro, sez. II, 22 marzo 2011.

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Il principio viene ben espresso dalle parole del Trib. Catanzaro, sez. II, 22 marzo 2011: «[…] la res iudicanda cautelare sarà esattamente quella della prima fase conclusa, come risultata e composta da tutte le attività assertive ed istruttorie ivi esplicate».

I motivi del reclamo: è un mezzo di “impugnazione” a critica libera con il quale possono essere dedotti tanto motivi di legittimità, incluso il difetto di giurisdizione e di competenza, tanto di merito, inclusi quelli basati sulle sopravvenienze.

Si applica il principio dell'onere della prova previsto così come previsto dall'art. 2697 c.c.: il reclamante deve provare l'errore in cui sia incorso il giudice nell'emissione del provvedimento cautelare, seppur il livello probatorio non è quello del giudizio di merito, continua ad essere quello richiesto da una cognizione sommaria.

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Su quest'ultimo punto può citarsi l'orientamento espresso nella massima della sentenza del Trib. Bari, sez. lav., 15 aprile 2008: «Nel procedimento cautelare il livello probatorio non è quello rigoroso del procedimento ordinario, risultando bastevole che dal ricorrente (o dal resistente, quando sia onerato della prova, come il datore nelle cause di licenziamento) siano addotte circostanze sulle quali si fondi l'apparenza del proprio buon diritto e che facciano ritenere probabile l'esito del giudizio di merito, giustificando un provvedimento anticipatorio della decisione finale. Pertanto, il reclamo cautelare deve essere rigettato in difetto dell'esistenza della lampante e immediata verosimiglianza del diritto del lavoratore alla reintegrazione del posto di lavoro».

Infine, non ci sono preclusioni all'assunzione di nuove prove nel giudizio di reclamo.

Segue. Procedimento

Il reclamo, ex art. 669-ter-deciescomma 1 c.p.c., va proposto nel termine di quindici giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza o dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore.

Ai sensi del comma 2 dell'articolo citato, il giudice competente per il reclamo è lo stesso tribunale del quale fa parte il giudice che lo ha emesso, ma in composizione collegiale. Il giudice che ha emesso il provvedimento sottoposto a reclamo non può mai far parte del collegio.

Nella particolare ipotesi in cui il provvedimento cautelare sia stato emesso dal collegio, il reclamo andrà proposto a una diversa sezione dello stesso tribunale o al tribunale più vicino.

Quando il provvedimento è emesso dalla Corte d'appello, il reclamo si propone ad un'altra sezione o alla Corte d'appello più vicina.

Con la proposizione del reclamo, secondo quando disposto dall'art. 669-ter-deciescomma 6 c.p.c., non si sospende l'efficacia del provvedimento cautelare. L'unica eccezione ammessa, per motivi sopravvenuti, è quella in cui il provvedimento reclamato arrechi gravi danni. In quest'ultimo caso, con ordinanza non impugnabile, il giudice può disporre la sospensione dell'esecuzione o subordinarla alla prestazione di una congrua cauzione.

Il procedimento è disciplinato ai sensi degli artt. 737 e 738 c.p.c.

Tra i membri del collegio può essere nominato un giudice relatore che viene delegato alla raccolta del materiale istruttorio. Opera, infatti, anche in questo caso il principio generale per cui il collegio può delegare la raccolta del materiale probatorio a uno dei componenti del collegio.

L'istruzione non è disciplinata in maniera puntuale, presenta il carattere dell'informalità. Oltre alle richieste istruttorie delle parti, vi sono poteri inquisitori più ampi del giudice che nel processo ordinario: egli ha infatti il potere di assumere sommarie informazioni, purché tale modalità di acquisizione di elementi di giudizio non sia volta al perseguimento di una finalità meramente esplorativa o porti al superamento dell'onere probatorio vertente in capo alle parti.

In virtù del principio del contraddittorio, è dovere del giudice segnalare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio ai fini della decisione della controversia.

Il procedimento si conclude con ordinanza che deve essere pronunciata non oltre venti giorni dal deposito del ricorso (art. 669-ter-decies, comma 5 c.p.c.).

All'esito del reclamo cautelare, quindi, il collegio emette un'ordinanza non impugnabile, passibile però di revoca ex art. 669-decies c.p.c., in un termine, il quale sembra da qualificarsi come ordinatorio, stabilito e con la quale può confermare, modificare o revocare il provvedimento cautelare impugnato.

Riferimenti
  • Consolo, Spiegazioni di Diritto Processuale Civile, Vol. I e II, Torino, 2018;
  • Mandrioli, Carratta, Diritto Processuale Civile, Vol. II e Vol. IV, Torino, 2019;
  • Giordano, Subcommento agli artt. 737 e 738 del Codice di Procedura Civile, in De Jure;
  • Pacilli, Una lettura sostanziale e funzionale dell'art. 342 c.p.c., in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, fasc.3, 2018;
  • Scarpa, Subcommento agli artt. 178,280 e 669 terdecies del Codice di Procedura Civile, in De Jure.
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