La denuncia di successione non vale come primo atto di acquisto anteriore al ventennio antecedente la trascrizione del pignoramento

Sara Caprio
01 Aprile 2020

La mancata indicazione da parte del creditore procedente del primo atto di acquisto anteriore al ventennio antecedente la data di trascrizione del pignoramento idoneo a provare l'appartenenza del bene pignorato al debitore esecutato rende incompleta la documentazione ipocatastale. Il giudice dell'esecuzione deve verificare la regolarità della documentazione allegata e se la ritiene incompleta ordina al creditore di integrarla con documenti ulteriori a pena di inefficacia del pignoramento.
Massima

La denuncia di successione non può costituire un atto di acquisto anteriore al ventennio antecedente la data di trascrizione del pignoramentoidoneo a provare l'appartenenza del bene al debitore esecutato, per cui occorre integrare la documentazione ipocatastale ex art. 567, comma 3, c.p.c.

Il caso

Nel corso della procedura di espropriazione immobiliare avente ad oggetto la quota di proprietà indivisa il G.E. rileva che nella documentazione ipocatastale depositata appare indicato come primo atto di acquisto anteriore al ventennio la denuncia della successione, in ordine alla quale, peraltro, non risulta trascritta accettazione tacita di eredità, adempimento per il quale è stato concesso al creditore procedente il termine ex art.567, comma 3, c.p.c.

La questione

Ci si chiede se sia possibile considerare la denuncia di successione come atto “di acquisto” anteriore al ventennio antecedente la data di trascrizione del pignoramento e, quindi, ritenere completa la documentazione ipocatastale, a seguito della trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, oppure sia necessario provvedere alla integrazione della detta documentazione con ulteriori documenti.

Le soluzioni giuridiche

Come è noto, per essere completa la documentazione prescritta dall'art. 567, commi 2 e 3, c.p.c., occorre che il bene appartenga all'epoca del pignoramento al debitore esecutato, in virtù di titoli ventennali regolarmente trascritti, ovvero in forza di una serie continua di trascrizioni a partire da un atto inter vivos anteriore al ventennio, che precede la trascrizione del pignoramento.

Il Tribunale ritiene incompleta la documentazione ipocatastale. Rileva infatti che il bene deve appartenere al debitore esecutato in virtù di una serie continua di trascrizioni a partire da un atto inter vivos anteriore al ventennio, che per atto inter vivos deve intendersi ogni atto traslativo della proprietà ex art. 2643 c.c. e che, dunque, tale non può essere considerato una successione, la quale non ha natura traslativa della proprietà ma solo dichiarativa, atteso che con tale atto si rendono i beni attribuiti, come pervenuti dalla data della nascita della comunione ereditaria.

In particolare, rileva che la denuncia di successione, in ordine alla quale non risulta trascritta accettazione tacita di eredità, non può considerarsi atto “di acquisto” anteriore al ventennio antecedente la data di trascrizione del pignoramento, per cui afferma che nella documentazione ipocatastale non appare indicato il primo atto di acquisto anteriore al ventennio antecedente la trascrizione del pignoramento.

Pertanto, il G.E. ordina al creditore procedente di depositare entro sessanta giorni certificato del registro delle trascrizioni o delle iscrizioni (o in alternativa certificazione notarile) dalla quale risulti: a) la indicazione del titolo di acquisto ultraventennale ovvero del primo atto di acquisto oltre il ventennio, considerato a ritroso dalla data della avvenuta trascrizione del pignoramento; b) le eventuali iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli del dante causa così individuato. In mancanza verrà dichiarata la chiusura anticipata della procedura.

Osservazioni

L'ordinanza in rassegna costituisce l'occasione per soffermarsi sul significato e sull'ambito applicativo dell'art. 567 c.p.c. e, in specie, sulla individuazione dei documenti che devono essere allegati dal creditore all'istanza di vendita, anche in ottemperanza ad un provvedimento del G.E. che riscontri una carenza documentale cui sia necessario sopperire.

L'attuale testo dell'art. 567 c.p.c. deriva da varie modifiche che si sono succedute nel tempo e, principalmente, da quelle apportate dall'art. 1 l. 3 agosto 1998 n. 302 e dall'art. 23 lett. e) n. 25 d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito con la l. 14 maggio 2005 n. 80 e, poi, modificato dall'art. 13 lett. l) l. 28 dicembre 2005 n. 263. A seguito delle predette modifiche, il secondo comma dell'art. 567 c.p.c. dispone che «il creditore che richiede la vendita deve provvedere, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso l'estratto del catasto, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento».

Il terzo comma prevede che il termine di sessanta giorni può essere prorogato per una sola volta su istanza dei creditori o dell'esecutato ed aggiunge che «un termine di sessanta giorni è assegnato al creditore dal giudice, quando lo stesso ritenga che la documentazione depositata deve essere completata». In caso di mancata consegna della documentazione, o, in caso di documentazione incompleta, «il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, dichiara l'inefficacia del pignoramento relativamente all'immobile per il quale non è stata depositata la prescritta documentazione». La norma precisa, infine, che l'inefficacia è dichiarata con ordinanza, che il giudice dispone la cancellazione della trascrizione del pignoramento e dichiara l'estinzione del processo esecutivo se non vi sono altri beni pignorati.

La ratio della disposizione è duplice.

Nella parte in cui prescrive l'allegazione della documentazione ipocatastale o della relazione notarile sostitutiva risponde alla necessità, posta a carico del creditore procedente, di dimostrare l'appartenenza del bene al debitore esecutato. Infatti, al creditore è richiesto di dimostrare la c.d. continuità delle trascrizioni a favore e contro nel ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento. Nella parte in cui sanziona l'omissione di tale allegazione con l'estinzione della procedura, risponde ad una esigenza “acceleratoria”, che caratterizza l'intera disciplina del processo esecutivo, che si concretizza appunto nella previsione di conseguenze pregiudizievoli per il creditore che non dia impulso alla procedura e ciò principalmente al fine di evitare che il patrimonio del debitore resti indefinitamente assoggettato al vincolo pignoratizio senza che all'apposizione di tale vincolo seguano le attività finalizzate a completare la procedura liquidatoria cui il pignoramento è finalizzato.

Sotto il profilo sostanziale, infatti, non vi è dubbio che il creditore può pignorare esclusivamente i beni di titolarità del debitore o, eventualmente, i beni di titolarità del terzo che ha concesso garanzia a favore del debitore. Tale principio si ricava dall'art. 2740 c.c. ai sensi del quale «il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» e trova, poi, conferma specifica all'art. 2910 c.c. ai sensi del quale «il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile. Possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore».

Da quanto sopra esposto deriva che, nel caso in cui sia pignorato, assegnato e trasferito un bene non di titolarità del debitore o del terzo garante, il vero titolare possa rivendicarlo contro l'assegnatario con conseguente applicazione della disciplina della evizione di cui all'art. 2927 c.c. ai sensi del quale «l'assegnatario, se subisce l'evizione della cosa, ha diritto di ripetere quanto ha pagato agli altri creditori, salva la responsabilità del creditore procedente per i danni e per le spese».

Il principio di carattere sostanziale sopra enunciato deve, tuttavia, adeguarsi alla necessità che il procedimento esecutivo si svolga in tempi non eccessivamente lunghi al fine di non frustrare la legittima aspettativa del creditore a vedere tempestivamente soddisfatto il proprio credito.

Il legislatore non ha previsto, nell'ambito del procedimento esecutivo, una necessaria fase cognitiva di accertamento della effettiva titolarità del diritto pignorato, fase cognitiva che può aprirsi solo in seguito all'esperimento di opposizioni alla esecuzione o agli atti esecutivi ed è, pertanto, solo eventuale. Il legislatore, al contrario, ha configurato, all'art. 567 c.p.c., un controllo meramente sommario della appartenenza del bene al debitore esecutato od al terzo garante.

Quanto sopra esposto è confermato dalla stessa Cassazione, la quale esplicitamente ha affermato che «il legislatore del processo espropriativo non ha richiesto che in sede esecutiva si desse luogo a un compiuto accertamento della proprietà (ovvero titolarità) dell'esecutato» e che «la verifica della titolarità dei beni è formale, per indici documentali, e non sostanziale, essendo autoevidente che l'accertamento giudiziale dell'appartenenza del bene all'esecutato non costituisce presupposto dell'espropriazione forzata e il decreto di trasferimento a valle non contiene quell'accertamento» (Cfr. Cass. civ., 11 giugno 2019, n. 15597).

Nell'ambito del procedimento esecutivo è, allora, sufficiente una dimostrazione solo presuntiva e formale della appartenenza del bene mediante esibizione delle sole risultanze delle indagini effettuate al catasto ed ai registri immobiliari.

L'esigenza di rapidità della procedura esecutiva ha, quindi, portato il legislatore, da una parte, a ridurre al minimo gli accertamenti che il giudice della esecuzione è chiamato a porre in essere e, dall'altra, ad una rigorosa tipizzazione dei mezzi di prova che il creditore deve utilizzare per dimostrare l'appartenenza dell'immobile all'esecutato, contemplando, quali soli mezzi per fornire tale dimostrazione presuntiva, l'estratto del catasto ed i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento o, in alternativa, la certificazione notarile.

La rigida tipizzazione dei mezzi di prova deve condurre a far ritenere che il creditore procedente non possa fornire al giudice della esecuzione la prova della titolarità del bene con mezzi diversi ed alternativi rispetto a quelli espressamente indicati dalla norma. Il processo esecutivo, finalizzato al recupero dei crediti ed alla tutela immediata del creditore, risponde, allora, ai criteri della sommarietà, della tempestività e dell'attuazione del diritto indipendentemente da ogni accertamento cognitivo.

Appare, dunque, importante determinare con esattezza quali documenti il Giudice dell'esecuzione può richiedere che vengano prodotti nel termine di sessanta giorni, trascorso inutilmente il quale si produce l'inefficacia del pignoramento di diritto.

Nella pratica, infatti, accade spesso che il Giudice dell'esecuzione riscontri carenze, incompletezze od inesattezze documentali cui sia necessario porre rimedio. Il caso previsto dall'art. 567, comma 3, c.p.c. è quello in cui tali carenze, incompletezze, errori ed omissioni ineriscano alla ricostruzione della provenienza del bene.

Ciò può verificarsi nel caso in cui la certificazione non ricomprenda l'intero ventennio; oppure nel caso in cui nel ventennio che precede la trascrizione del pignoramento si sia verificata una trasmissione del bene mortis causa, per la quale non sia stata trascritto alcun atto che implichi l'accettazione tacita dell'eredità, considerato che la denuncia di successione ha, notoriamente, esclusivamente rilievo fiscale (cfr. Cass. civ., 29 luglio 2004, n. 14395), sempre che un tale atto da trascrivere esista (cfr. Cass. civ., 26 maggio 2014, n. 11638 e Cass. civ., 3 aprile 2015, n. 6833 da cui è possibile desumere il principio per cui, quando un atto del genere manchi del tutto, il creditore deve propiziare l'accertamento della qualità di erede, in capo all'esecutato, al di fuori del processo esecutivo); oppure nel caso in cui il bene pignorato trovandosi in comunione legale tra i coniugi, renda indispensabile, a causa della qualificazione di tale comunione come “comunione senza quote”, ulteriori accertamenti ipotecari anche nei confronti del coniuge non esecutato, in quanto sul bene in comunione potrebbero risultare iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli da parte di creditori “personali” di quest'ultimo (cfr. Cass. 31 marzo 2016, n. 6230).

In tali casi, il giudice dell'esecuzione ha il dovere di richiedere, ai fini della vendita forzata, la certificazione attestante che, in base alle risultanze dei registri immobiliari, il bene pignorato è di proprietà del debitore esecutato sulla base di una serie continua di trascrizioni di idonei atti di acquisto riferibili al periodo che va dalla data di trascrizione del pignoramento fino al primo atto di acquisto anteriore al ventennio dalla trascrizione stessa, la cui mancata produzione, imputabile al soggetto richiesto, comporta la dichiarazione di chiusura anticipata del processo esecutivo (cfr. Cass. civ., 11 giugno 2019, n.15597).

In sostanza, dunque, si ribadisce che le carenze documentali cui si riferisce il termine di cui all'art. 567,comma 3, c.p.c. sono quelle che riguardano esclusivamente la ricostruzione della provenienza del bene oltre che dei diritti di terzi sullo stesso che risultino iscritti o trascritti. Infatti, solo se il creditore non fornisce nel termine fissato ex art. 567, comma 3, c.p.c., la certificazione del ventennio l'estinzione sarà tipica.

In tutti gli altri casi in cui, invece, il creditore, pur avendo tempestivamente fornito la documentazione espressamente prevista dalla norma codicistica, non ottemperi ad una ulteriore richiesta da parte del giudice dell'esecuzione di integrazione documentale, come, ad esempio, la mancata produzione del primo titolo di acquisto ultraventennale cui deve risalire la certificazione, verrà disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo, non essendo possibile porre in vendita il bene.

Al G.E., infatti, è riconosciuto anche il potere di richiedere al creditore l'allegazione di documenti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla norma. La richiesta da parte del giudice di una documentazione ulteriore rientra nell'ambito dei suoi poteri ordinatori.

In relazione alla documentazione integrativa eventualmente richiesta dal giudice ed al termine ordinatorio dallo stesso fissato per la sua esibizione deve essere fatta salva, in applicazione di principi generali dell'ordinamento desumibili dall'art. 153, comma 2,c.p.c., l'ipotesi di impossibilità incolpevole di rispetto del termine fissato dal giudice, come pure ogni questione sull'utile esercizio del potere di revoca dei propri provvedimenti.

Guida all'approfondimento
  • Capponi, Manuale del diritto dell'esecuzione civile, Torino, 2015;
  • Metafora, sub art. 567, Commentario codice di procedura civile, diretto da Consolo, Milano, 2018.
  • Montanaro, sub art. 567, Commentario alle riforme del processo civile, (a cura di) Briguglio-Caponi, Padova, 2007;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Milano, 2017.
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