Il fatto. Con atto di citazione un difensore conveniva dinnanzi al Tribunale territorialmente competente la società sua cliente, chiedendone la condanna al pagamento di una data somma di denaro a titolo di prestazioni professionali per l'attività espletata in suo favore nel corso di quattro giudizi.
La società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo l'integrale rigetto della domanda ritenuta non provata sia nell'an che nel quantum.
Il Tribunale adito rigettava la domanda spiegata dal difensore; quest'ultimo, tuttavia, proponeva gravame avverso la sentenza del Giudice di prime cure.
Successivamente, la Corte distrettuale, investita del gravame rigettava l'appello condannando, altresì, l'appellante al pagamento delle spese di lite.
In particolare, la Corte di merito rilevava che già nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado la società convenuta aveva contestato che l'atto di citazione fosse generico e che le richieste non fossero provate e che, solo quando l'attore avesse dimostrato l'effettivo svolgimento dell'attività che deduceva aver svolto in suo favore, avrebbe provveduto al pagamento di quanto dovuto. Inoltre, il Collegio adito aveva ritenuto i motivi di appello inammissibili in quanto nell'atto di impugnazione mancava la deduzione di specifiche circostanze idonee a rappresentare i fatti costitutivi dei diritti azionati dall'appellante.
Il difensore propone pertanto, ricorso per cassazione.Nella specie, i Giudici hanno ritenuto inammissibili tutti i motivi proposti dal ricorrente per violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, poiché formulati in violazione delle norme del codice di rito regolanti la materia dei ricorsi per cassazione.
Con stretto riguardo alla fattispecie portata all'attenzione del Collegio di legittimità, quest'ultimo osserva che la Corte di merito aveva correttamente evidenziato come l'appellante non avesse fornito adeguata prova, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2697 c.c. - applicabile nel caso di specie, di tutti i fatti costitutivi che avrebbero dovuto legittimare e fondare la pretesa attorea di pagamento dei rivendicati compensi professionali. In particolare, nella specie, non era stato provato oltreché l'effettivo conferimento dell'incarico professionale da parte della società convenuta una serie di altri elementi ritenuti costitutivi della domanda azionata come la natura dell'incarico conferito, il valore della controversia e delle varie domande giudiziarie spiegate, gli elementi caratterizzanti l'eventuale complessità dell'incarico, nonché le circostanze di tempo e di luogo del compimento delle singole attività giudiziali e stragiudiziali. In definitiva, non era stata altresì, data la prova delle diverse attività di difesa scritte e orali con l'allegazione delle eventuali spese borsuali anticipate dal professionista che il cliente avrebbe dovuto rimborsare.
I Giudici, inoltre, precisano che gli innanzi indicati elementi, di fatto sarebbero stati indispensabili sia per la prova del fatto costitutivo del diritto al pagamento degli onorari professionali, sia per la liquidazione dei diritti e degli onorari.
Concludendo. Pertanto, concludono i giudici di legittimità, la predetta valutazione di fatto delle risultanze istruttorie fatta dal Collegio di merito si è rivelata essere congrua e plausibile e come tale, da sottrarsi al sindacato di legittimità. Vale, infatti, proseguono, il consolidato principio secondo cui l'apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dall'analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it