Il ricorso per vizi di motivazione

Francesco Bartolini
02 Aprile 2020

Le questioni sottoposte all'attenzione della Corte di cassazione hanno imposto ai Supremi Giudici di tornare a chiarire l'ambito entro il quale è consentito alla parte soccombente di dedurre nel giudizio di legittimità i vizi di motivazione della pronuncia di merito.
Massima

Ai sensi del vigente art. 360 n. 5 c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del “minimo costituzionale” richiesto dall'art. 111, comma 6, Costituzione, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo alla nullità della sentenza – di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta e irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa o incomprensibile, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico che abbia formato oggetto di discussione tra le parti e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia.

Il caso

Il ricorso per cassazione ha riguardato una decisione di Commissione tributaria regionale dichiarativa della legittimità dell'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate per il recupero di ratei di IVA non versati da una società cooperativa. Il gravame non ha sottoposto a critica l'applicazione di norme finanziarie ma ha sollevato questioni di ordine processuale e di più generale interesse. Per quanto diversamente formulate, tuttavia, esse si sono risolte in addebiti di vizio della motivazione; ed hanno imposto alla Corte di cassazione di tornare a chiarire l'ambito entro il quale è consentito alla parte soccombente di dedurre nel giudizio di legittimità i vizi di motivazione della pronuncia di merito.

La questione

La società ricorrente ha formulato plurimi motivi di impugnazione della sentenza sfavorevole. Di questa sono state denunciate l'inesistenza e l'omessa motivazione; il difetto di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato; la violazione o falsa applicazione di legge; la nullità per mancata motivazione circa un punto decisivo della controversia; e la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. in tema di onere della prova, quanto alla non riconosciuta sussistenza delle condizioni di esenzione dall'obbligo di imposta.

Le soluzioni giuridiche

Dal testo motivazionale della decisione della Corte si desume chiaramente l'estrema semplicità della vicenda esaminata dalla Commissione tributaria: la società sottoposta a verifica aveva omesso di versare l'IVA adducendo a motivo la sua qualità di soggetto esportatore abituale, legittimato, in tale veste, ad operare in sospensione di imposta. La Commissione si era limitata ad osservare che di questa pretesa posizione soggettiva non era stata fornita prova alcuna, circostanza sufficiente a far ritenere dovuto il pagamento. A parere del Supremo collegio la decisione risultava coerente e logica, una volta constatata l'effettiva mancanza della prova suddetta, spettante alla parte che della condizione di favore intendeva servirsi. E tutte le contestazioni della ricorrente si risolvevano, indipendentemente dai riferimenti utilizzati, in critiche inammissibili all'esistenza e alla sufficienza della motivazione della sentenza impugnata. Nessuna di esse, infatti, era riconducibile a una denuncia ai sensi del vigente art. 360, n. 5, c.p.c. o alla deduzione di nullità della pronuncia ex art. 132, n. 4, stesso codice.

In sostanza, ha osservato la Corte, le doglianze si riducevano ad una globale censura riguardante la sufficienza e l'adeguatezza della motivazione, non più proponibile dopo la modifica dell'art. 360 n. 5 c.p.c., operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83. Il controllo del vizio motivazionale è ora circoscritto alla verifica del requisito “minimo costituzionale” di validità imposto dall'art. 111 Costituzione: sì che è denunciabile per cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione quale elemento indefettibile della pronuncia (purché il vizio risulti dalla pronuncia stessa, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). L'indispensabile requisito in oggetto non è rispettato quando ricorrono le fattispecie che danno luogo all'inosservanza dell'art. 132, n. 4 c.p.c., e che determinano la nullità della sentenza: mancanza della motivazione quale elemento essenziale del provvedimento decisorio giurisprudenziale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa o incomprensibile. Al di fuori di questo perimetro di situazioni, tutte risolventesi nel difetto di un requisito legale, è consentito impugnare la motivazione esclusivamente sotto il profilo dell'omesso esame di un fatto storico controverso e decisivo: «… non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo e giustificativo della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti al materiale probatorio ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti od eccessivi».

Osservazioni

La decisione della Corte, pronunciata con ordinanza in camera di consiglio, ha ribadito principi in diritto dei quali erano ben conosciute tutte le implicazioni. Gli interventi legislativi operati per la sostituzione e poi per la modifica del testo dell'art. 360 c.p.c. ebbero lo scopo di ricondurre il Supremo Collegio alla sua posizione centrale di interprete della legge e di impedire quella che era stata segnalata come una deprecabile deriva della sua funzione. Da più parti si era fatto notare che il giudizio di legittimità rischiava in molti casi di trasformarsi in un terzo grado di giurisdizione in fatto per effetto di ricorsi che ponevano all'ultimo giudice questioni richiedenti valutazioni ed apprezzamenti sulla correttezza del percorso argomentativo esposto nel provvedimento impugnato. Il ricorso per vizio di motivazione costituiva il varco attraverso il quale riproporre censure che poco o nulla avevano a che fare con l'interpretazione delle norme: come era reso evidente quando alla Corte si denunciava l'errata comprensione delle prove o la mancata considerazione di altre risultanze ad opera del giudice di merito.

Si intese, dunque, da ultimo con il d.l. n. 83/2012, porre rimedio a questa situazione che contraddiceva la posizione istituzionale del giudice della cassazione. Da allora il ricorso per vizio di motivazione è consentito se e quando questo vizio è configurabile come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In pratica, il vizio in questione deve consistere in un “vuoto” nel complesso degli argomenti utilizzati dal giudice di merito nella sua decisione: ma non già nel senso di una carenza ravvisabile nella logica di queste argomentazioni bensì quale vera e propria omissione di pronuncia. Ne segue ciò che è ovvio. Il presunto vizio motivazionale in realtà si risolve nell'inosservanza del disposto dell'art. 112 c.p.c, vale a dire, in una violazione di legge. Sotto questo profilo, il vizio di motivazione quale era da intendersi ai tempi in cui la decisione di merito era ricorribile anche solo per l'insufficienza o la contraddittorietà dell'esposizione (su un punto decisivo della controversia) è scomparso dal nostro ordinamento giuridico processuale.

Rimane, per altro verso, fermo il requisito costituzionale per il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali debbono essere motivati. La conoscenza delle ragioni sulle quali si fonda una decisione è garanzia indispensabile per sottoporla a critica, difendersi e impedire l'arbitrio del giudicante. Ma anche per questo aspetto l'esigenza dell'esposizione di motivi non si tramuta nell'attribuzione alla Corte di cassazione del potere di verificarne la coerenza rispetto alle risultanze di fatto. L'apprezzamento del giudice del merito è insindacabile, a meno che ne risulti l'evasione del suo compito di corredare la decisione di un elemento richiesto per la sua stessa valida esistenza. E questo elemento doveroso non sussiste se la parte argomentativa del provvedimento è materialmente omessa o se ricorrono circostanze che comportano lo stesso effetto di sostanziale assenza: motivazione soltanto apparente; contraddittorietà manifesta e irriducibile; motivazione incomprensibile. Anche in questo caso, il riferimento alla regola costituzionale non include l'ammissibilità di una indagine riguardante la sufficienza e l'adeguatezza del discorso argomentativo enunciato per giustificare la decisione in rapporto alle risultanze probatorie. La motivazione è sindacabile soltanto quando appare inosservante del precetto che la vuole non solo esistente nella sua materialità di porzione scritta dell'atto ma anche esistente nella sua nozione e funzione minima di giustificazione comprensibile di una scelta.

Sin qui, come nell'ordinanza della Corte, nulla di nuovo. Vale la pena di soffermarsi su un fenomeno che continua a presentarsi, nella prassi processuale.

Indubbiamente, la soppressione del motivo di ricorso che ai sensi dell'allora art. 360 n. 5 c.p.c. consentiva di contestare l'intrinseca coerenza della motivazione ha lasciato i difensori privi di uno strumento utile a tentare di rovesciare le sorti di un processo sfortunato. Il chiedere di dichiarare errata la valutazione delle testimonianze o dell'operato del consulente, ad esempio, permetteva di confidare fino all'ultimo in una sovvertita soluzione della controversia. Quella stessa possibilità, infatti, apriva le porte ad un ripensamento della decisione impugnata esteso ad aspetti di merito, nel contesto di un giudizio di sola legittimità. La perdita di questa eventualità non ha rassegnato all'inerzia i procuratori delle parti. Capita spesso nello scorrere la giurisprudenza edita di constatare come si tenti in vario modo di aggirare lo sgradito ostacolo sopravvenuto. Nella vicenda di specie, per assumerla a caso esemplare, si è dedotta come formale e ineccepibile ragione di ricorso l'inesistenza o l'omissione della motivazione: per poi sentir pronunciare dalla Corte che, in realtà, quella ragione si risolveva in una globale censura sull'adeguatezza e sulla sufficienza della motivazione, non più consentita dall'art. 365, n. 4, c.p.c. Oppure (anche in questo caso come nella vicenda di specie) si denuncia la violazione dell'art. 112 per cercare, attraverso la deduzione di una asserita violazione di legge, di trasformare in vizio di motivazione il risultato giudiziale diverso da quello sostenuto in causa. Ancora (e sempre seguendosi la vicenda in oggetto), si adduce a violazione di legge una generica contestazione della valutazione delle prove in relazione ad un elemento in fatto rilevante per l'esito del giudizio (nel caso: la qualità soggettiva dalla quale dipendeva l'esenzione dall'obbligo di imposta).

La formulazione del ricorso secondo stereotipi conformi a modelli consentiti non è sufficiente, da sola, a rendere ammissibili motivi che il legislatore ha voluto escludere da quelli attribuiti all'esame della Corte di cassazione. In questo si concreta l'insegnamento desumibile dall'ordinanza che si annota.

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