Buona fede e ragionevolezza: chiavi di lettura della clausola generale della giusta causa

Laddove il contratto collettivo applicato preveda la sussistenza della giusta causa delle dimissioni in caso di mancato pagamento degli stipendi, il lavoratore ha sempre diritto all'indennità di mancato preavviso?

La questione necessita di alcune precisazioni. La giusta causa fondante il recesso dal rapporto di lavoro configura una clausola generale, di contenuto elastico, la cui definizione nel caso concreto rende imprescindibile l'attività dell'interprete, stante l'impossibilità di identificare, in via preventiva ed astratta, tutti i possibili comportamenti materiali riconducibili alla stessa.

Qualora il contratto collettivo individui in modo specifico un'ipotesi integrante giusta causa di recesso, tale previsione dovrà essere esaminata alla luce dell'art. 1366, c.c., ossia del criterio di correttezza e buona fede, alla base dell'ermeneutica contrattuale, nonché del canone di ragionevolezza.

Non può trascurarsi, infatti, la necessità di un contemperamento degli interessi coinvolti, risultando una clausola negoziale siffata finalizzata a garantire al lavoratore i mezzi di sostentamento, a fronte di un comportamento inadempiente della parte datoriale.

Tuttavia, ove l'inadempimento all'obbligazione retributiva si sia protrattata per un breve lasso temporale, non potrebbe dirsi integrato un ritardo intollerabile e tale da legittimare le dimissioni per giusta causa del lavoratore, non risultando pregiudicata gravemente l'esigenza garantistica posta dalle parti sociali a fondamento della clausola contrattuale.

Cfr.: Cass., sez. lav., 6 marzo 2020, n. 6437.