Tassonomia degli accordi di ristrutturazione dei debiti: il Tribunale di Milano riconosce la natura di procedura concorsuale

06 Aprile 2020

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti hanno natura di procedura concorsuale, alla luce dell'evoluzione normativa dell'istituto che presenta plurimi elementi comuni al concordato preventivo. La consecuzione tra procedure concorsuali va riconosciuta anche tra procedura di accordi di ristrutturazione e fallimento. I crediti sorti successivamente all'omologazione degli accordi e relativi all'esecuzione degli stessi, siccome funzionali alla procedura, sono assistiti dalla prededuzione.
Massima

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti hanno natura di procedura concorsuale, alla luce dell'evoluzione normativa dell'istituto che presenta plurimi elementi comuni al concordato preventivo. La consecuzione tra procedure concorsuali va riconosciuta anche tra procedura di accordi di ristrutturazione e fallimento. I crediti sorti successivamente all'omologazione degli accordi e relativi all'esecuzione degli stessi, siccome funzionali alla procedura, sono assistiti dalla prededuzione.

Il caso

Il liquidatore di una società che aveva ottenuto l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. chiede l'ammissione al passivo del fallimento (dichiarato in consecuzione) dei crediti per compensi maturati nella fase esecutiva del piano attuativo degli accordi, con riconoscimento della loro natura prededucibile; incontestato l'ammontare del credito, il giudice delegato ammette al passivo il credito al rango chirografario. Avverso l'esclusione, viene proposta opposizione. Non costituendosi il curatore fallimentare, il Tribunale accoglie l'opposizione, risolvendo in senso affermativo la questione preliminare se gli accordi abbiano o meno natura di procedura concorsuale e, di seguito, pervenendo ad affermare la natura prededucibile del credito maturato nella fase successiva all'omologazione riconoscendo la consecuzione tra procedura di accordi e fallimento e, infine, qualificando funzionali alla procedura le obbligazioni sorte per l'attuazione degli accordi, nella fase c.d. esecutiva.

La decisione è senz'altro apprezzabile per la sua lucidità e deve condividersene l'approdo sia quanto al riconoscimento della natura di procedura concorsuale dell'istituto degli accordi di ristrutturazione sia sul punto della consecuzione tra accordi e altre procedure concorsuali; parimenti, è convincente sul punto della definizione dell'attività del liquidatore, per la fase successiva all'omologazione, come funzionale alla procedura.

La questione

Il Tribunale di Milano, nell'affrontare il tema della prededucibilità negli accordi, esattamente osserva che, quanto ai crediti successivi all'omologazione, la prededuzione è espressamente apprestata soltanto dall'art. 182-quater, primo comma, l.fall., in tema di crediti derivanti da finanziamenti, in qualsiasi forma effettuati, in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti; e che, al di fuori di questa tipologia di crediti, considerata la questione in termini astratti, potrebbe sovvenire unicamente la regola generale dell'art. 111, secondo comma, l.fall., a tenore del quale “sono considerati prededucibili … [i crediti] sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”.

Si pone pertanto, prosegue il tribunale, la questione se gli accordi di ristrutturazione dei debiti possano farsi rientrare nel novero delle “procedure concorsuali di cui alla presente legge”: e, infatti, solamente in tanto ed in quanto alla domanda sia data risposta positiva, sarà possibile riconoscere la natura prededucibile dei crediti che siano sorti successivamente all'omologa (e, s'intende, sempre che se ne possa predicare la natura di crediti funzionali alla procedura).

Al proposito, il tribunale afferma di voler rivedere la posizione già assunta in passato (e accolta anche in altre pronunzie di merito) e di aderire all'insegnamento della Cassazione che, da qualche tempo, e con ripetute pronunzie, su vari temi specifici, ha optato per la soluzione affermativa, riconoscendo appieno la natura di procedura concorsuale degli accordi.

A suffragio di tale scelta ermeneutica, la corte milanese invoca una pluralità di argomenti:

  • l'evoluzione normativa degli accordi, la cui disciplina è andata, via via negli anni, arricchendosi di aspetti tipici delle procedure concorsuali, in particolare uniformandosi, per più versi, al concordato preventivo, come reso palese, specialmente, dal possibile transito, all'esito del concordato con riserva, dalla procedura classica a quella di cui all'art. 182-bis l.fall.;
  • nella disciplina della riforma, l'assimilazione, per più versi, del regime degli accordi a quello del concordato, in particolare quanto al procedimento unitario di accesso alla procedura;
  • tenuto conto della progressiva perdita di appeal del concordato preventivo, il cui accesso è stato reso più difficoltoso e il cui “costo” più oneroso, soprattutto nell'ipotesi di concordato liquidatorio, gli accordi, specialmente le nuove figure del c.c.i.i., sono sempre più diffusamente visti alla stregua di “una sorta di concordato semplificato”, i.e. di uno strumento più snello, alternativo al declinante concordato, anche in considerazione del tipo speciale di accordi regolato dall'art. 182-septies L. Fall. (e delle nuove figure, del c.c.i.i., degli accordi ad efficacia estesa e degli accordi agevolati);
  • la Cassazione ha evidenziato una serie di caratteristiche degli accordi comuni al concordato preventivo: dalla identità dei presupposti, soggettivo ed oggettivo, alla (tendenziale) uniformità della disciplina delle misure protettive; dalla identica regola circa la competenza per i due istituti, all'eguaglianza degli effetti conseguenti all'avvio della procedura e della stabilizzazione degli effetti in conseguenza dell'omologazione;
  • gli argomenti addotti al fine di contestare la natura concorsuale degli accordi non colgono nel segno: la mancanza di un'adunanza non è significativa, considerata la diversa struttura dell'istituto rispetto a quello concordatario; la ripetutamente denunziata violazione della par condicio appare argomento di scarsa modernità, considerato che, dal 2005, con l'introduzione delle classi nel concordato, il rigore della regola della parità di trattamento è stato grandemente attenuato e che è ben chiaro come al legislatore stia a cuore, più che una formale eguaglianza tra i creditori, la composizione delle crisi;
  • infine, la classificazione degli accordi al di fuori del perimetro delle procedure concorsuali appare una scelta tassonomica démodée, alla luce del Regolamento 848/2015/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, che, nell'art. 1, allegato A, espressamente menziona gli accordi tra le procedure concorsuali.

Risolta positivamente la questione della natura degli accordi, il tribunale passa ad esaminare il tema se possa affermarsi la natura “funzionale” delle obbligazioni sorte nella fase esecutiva degli accordi e perviene alla soluzione affermativa, sulla base della considerazione che la funzionalità va riconosciuta non soltanto ai crediti contratti in vista della presentazione della domanda di accesso alla procedura, ma più in generale, per tutte quelle prestazioni, di dare o di fare, che siano finalizzate alla realizzazione degli scopi della procedura e alla realizzazione del piano; tenuto, poi, conto che il c.c.i.i. ha eliminato il presupposto dell'occasionalità per il riconoscimento della prededuzione, ne deriva che la stessa in tanto può riconoscersi in quanto possa predicarsi comunque la funzionalità, ciò che, osserva il tribunale, essendo la prosecuzione dell'attività prevista nel piano, consente di qualificare l'opera dell'opponente, successiva all'omologazione, ed attuativa del piano, alla stregua di attività funzionale alla procedura.

Il tribunale passa quindi ad esaminare la questione della consecuzione tra procedure.

Al riguardo, la decisione richiama il recente insegnamento della corte di legittimità che ha esteso la nozione di consecuzione riconoscendola anche in senso “orizzontale”, vale a dire tra procedure minori, e non soltanto tra concordato e fallimento, e, specificamente, ha ammesso anche la consecuzione tra procedura di accordi e di fallimento; in termini generali, poi, la consecuzione s'inscrive in un concetto logico piuttosto che cronologico, e, sul punto, la soluzione negativa accolta dal giudice delegato viene dunque disattesa.

In conclusione, il tribunale accoglie l'opposizione, riconoscendo al credito già ammesso natura prededucibile.

La soluzione giuridica

Confidiamo che questa decisione, così chiara ed esaustiva sul punto specifico della natura della procedura di accordi, ponga fine al conflitto tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito.

Nonostante la Suprema Corte si sia espressa oramai in un numero cospicuo di decisioni, su temi diversi, nel senso di affermare la natura concorsuale degli accordi e si sia pronunziata, sul punto, ex professo, con una sentenza di singolare spessore innovativo (Cass. 12 aprile 2018, n. 9087), la giurisprudenza di merito non se ne è data per intesa, dimentica della funzione nomofilattica attribuita alla Corte di Cassazione e della stessa irragionevolezza di decisioni potenzialmente destinate ad essere cassate in sede di legittimità, avendo, tra l'altro, la corte regolatrice definito addirittura “in parte anacronistica” la tesi accolta dalla giurisprudenza di merito (cfr. Cass. 21 giugno 2018, n. 16347, § 5.2).

Gli argomenti invocati dai giudici di merito, in motivazioni spesso meramente tralaticie e talora prive di qualsiasi sforzo di disamina degli argomenti contrari, possono come di seguito elencarsi:

  1. negli accordi di ristrutturazione dei debiti difetta un provvedimento di apertura;
  2. non sono previsti organi del procedimento;
  3. non è prevista l'adunanza dei creditori;
  4. non vi è alcuna regolazione concorsuale del dissesto (nel senso che non tutti i creditori ne sono coinvolti);
  5. manca un'organizzazione del ceto creditorio come collettività;
  6. il controllo dell'impresa rimane in capo all'imprenditore, che ne resta il dominus, privo di qualsiasi controllo;
  7. i pagamenti non sono soggetti ad alcun regime particolare;
  8. gli atti costitutivi di diritti di prelazione (fatta eccezione per la fase anticipatoria) non incontrano limiti di sorta;
  9. l'istituto si basa fondamentalmente su accordi individuali;
  10. difetta la possibilità di propagarne gli effetti ai creditori che non aderiscano, in senso esattamente opposto a quella che è la regola del concordato preventivo;
  11. la stessa presenza di creditori estranei agli accordi avvalora la tesi della non universalità della procedura;
  12. l'accordo di ristrutturazione è astrattamente idoneo a rimuovere la crisi anche in assenza di omologazione del tribunale;
  13. non si distingue tra crediti anteriori e crediti successivi;
  14. soprattutto, non è rispettata la par condicio creditorum.

Tutti gli argomenti invocati dai sostenitori della tesi negativa non reggono ad una disamina approfondita.

Essi si riferiscono, in parte, a caratteristiche delle procedure concorsuali che, ad un più attento esame, o si presentano in modo diverso da quello preteso oppure, in realtà, non possono affermarsi almeno in termini assoluti; per la restante parte, non assumono rilievo decisivo per contraddistinguere le procedure concorsuali rispetto ad altre procedure od istituti.

In primo luogo, consideriamo l'argomento dell'indisponibilità del patrimonio che colpirebbe l'imprenditore nelle procedure concorsuali, ma non negli accordi.

Se nel concordato preventivo si attua quel fenomeno che va comunemente sotto il nome di spossessamento attenuato, è legittimo ritenere che, anche negli accordi, sia pure in termini diversi, possa affermarsi un regime non troppo dissimile, che è stato definito d'indisponibilità relativa del patrimonio dell'imprenditore.

In tal senso, varrà la pena osservare che, se è vero che nessuna norma vieta all'imprenditore di compiere atti di disposizione del patrimonio durante il procedimento per l'omologazione degli accordi, (la revisione del 2012 ha esteso il divieto di acquisire titoli di prelazione alla fase definitiva, ma solo a patto che non siano concordati), va considerato implicitamente vietato il compimento, da parte dell'imprenditore, di atti che non siano in esecuzione degli accordi o comunque non coerenti al piano agli stessi sotteso.

Il divieto del compimento di tali atti (e l'implicita sanzione del diniego dell'omologazione da parte del tribunale, prima; e delle possibili azioni di annullamento o di risoluzione per inadempimento da parte dei creditori aderenti, poi) può desumersi abbastanza agevolmente se si tiene conto che il compimento da parte dell'imprenditore di atti non previsti dagli accordi e dal piano rappresenterebbe una violazione del diritto di difesa dei creditori e di tutti i legittimati all'opposizione, che sarebbero privati della possibilità di sollevare questioni in relazione ad atti che, sulla base degli accordi, del piano e della relazione, non erano affatto previsti (si pensi, in particolare, ad atti che fossero compiuti dopo la scadenza del termine di trenta giorni dalla pubblicazione, allorquando il termine per la proposizione dell'opposizione già è decorso); del pari, il compimento di atti difformi rispetto al piano (ivi compresi pagamenti di debiti, anteriori o successivi) determinerebbe una modificazione della condizione economico patrimoniale dell'imprenditore, impedendo, nella sostanza, al tribunale di poter assumere valutazioni corrette in ordine all'attuabilità del piano, in particolare per quanto riguarda l'integrale pagamento degli estranei.

Quanto alla mancanza di un provvedimento di apertura, di un commissario giudiziale (o di organi della procedura), di un'adunanza dei creditori, etc., sembrano rilievi che dipendono dallo schema procedimentale del concordato preventivo (come pure del fallimento).

Che un provvedimento giurisdizionale di apertura sia necessario affinché si possa affermare che si è in presenza di una procedura concorsuale è contraddetto dalla disciplina di alcune procedure cc.dd. amministrative, che prendono avvio da provvedimenti dell'autorità ministeriale.

E, ancorché non siano previsti, negli accordi, provvedimenti di apertura del procedimento, pure il tribunale deve compiere una verifica sommaria dei requisiti formali della domanda e della completezza e regolarità degli allegati alla stessa.

Tale controllo, ancorché non espressamente previsto dalla norma, può desumersi dall'esplicita previsione, contenuta nell'art. 182-bis, settimo comma, l.fall. per la fase anticipatoria (che così recita: “Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, …”), della verifica preliminare da parte del tribunale. Non avrebbe invero senso prevedere un simile adempimento per la fase preventiva e non per il procedimento per l'omologazione degli accordi.

Quanto al difetto di organi, prescindendo dalle perplessità di una tesi che attribuisce alle procedure caratteristiche antropomorfiche - certo, negli accordi non ci sono curatori, né commissari, né liquidatori; ma compiti rilevantissimi sono attribuiti al tribunale, cui è demandato un controllo assai penetrante, a partire dalla verifica preliminare della completezza della documentazione, per proseguire con la facoltà di concedere termini per l'integrazione delle produzioni documentali, cui fa naturalmente seguito un'ulteriore verifica circa i requisiti formali per l'avvio del procedimento, e così via, dovendosi menzionare il potere di acquisire, anche d'ufficio, prove, di disporre consulenze tecniche in corso di procedimento, ricorrendo ad ausiliari nell'accordo con creditori finanziari; e, infine, di vagliare – con un controllo definito di legalità sostanziale – la completezza dell'attestazione, la correttezza dell'iter logico seguito e, infine, la ricorrenza dei presupposti di legge per l'omologazione degli accordi; e tanto a tacere dell'art. 44, comma 4, c.c.i.i., che prevede che il tribunale debba nominare un commissario giudiziale se alla data della presentazione della domanda di accesso alla procedura di omologazione degli accordi risulti pendente procedimento per l'apertura di procedura di liquidazione giudiziale.

Quanto all'adunanza dei creditori, non pare che la previsione di un simile istituto sia ontologicamente necessaria per potersi parlare di procedura concorsuale. Tra le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, espressamente definite dalla legge speciale procedure concorsuali, il piano del consumatore non prevede certamente alcuna adunanza dei creditori; questi ultimi, poi, nemmeno hanno facoltà di esprimere il loro voto circa la proposta formulata dal debitore. Nel progetto di riforma, l'adunanza dei creditori, nel concordato preventivo, è addirittura soppressa.

Né è vero che difetta negli accordi quello che è uno dei più caratteristici effetti del concordato preventivo, vale a dire la soggezione agli effetti della procedura di tutti i creditori, compresi quelli contrari (nell'accordo, i creditori non aderenti): i creditori estranei subiscono la moratoria dei termini di pagamento, l'inibitoria di azioni esecutive e cautelari, le prededuzioni degli artt. 182-quatere 182-quinquies l.fall., e, soprattutto, la sottrazione alla revocatoria degli atti, dei pagamenti e delle garanzie posti in essere in esecuzione degli accordi.

Infine, la par condicio creditorum.

Non sempre, non necessariamente, non indefettibilmente, in tutte le procedure concorsuali il principio di parità di trattamento dei creditori è rispettato: nel concordato preventivo, la regola secondo cui è possibile, a determinate condizioni, dettate dall'art. 182-quinquies l.fall., ammettere il pagamento integrale di crediti anteriori, quale che ne sia il rango, è una palese violazione della regola della parità di trattamento dei creditori; egualmente, altra ipotesi in cui si ammette il mancato rispetto del principio della par condicio si verifica nel caso in cui si preveda la formazione di due classi di creditori, astrattamente aventi lo stesso rango, ma trattati in modo del tutto diverso; se vi è l'assenso della maggioranza dei creditori e delle classi, la regola della par condicio non è certo rispettata.

È ben vero che il diverso trattamento delle classi richiede il consenso dei creditori.

Ma assolutamente lo stesso si verifica negli accordi.

Nella procedura ex art. 182-bis l.fall., il debitore si accorda con i creditori (recte: con una percentuale degli stessi che rappresenti almeno il 60% del passivo) circa il trattamento da riservare loro. I creditori possono accettare di dilazionare la riscossione dei loro crediti, di rimettere parzialmente i debiti ovvero di convertirli in capitale o in obbligazioni; infine, possono anche rinunziarvi, integralmente. Per quali ragioni lo facciano, è certo affar loro e, in tanto questo sia funzionale alla ristrutturazione dei debiti e quindi alla soluzione della crisi, qualsiasi soluzione venga negoziata, essa è meritevole di tutela a norma dell'art. 1322, secondo comma, c.c.

Risulta così palese che, negli accordi, non si pone alcuna questione di rispetto della regola della parità di trattamento dei creditori: tutti i creditori (aderenti) ricevono l'intera prestazione eventualmente loro dovuta, in conseguenza delle intese raggiunte.

Né violazione di sorta si verifica per i non aderenti. Gli estranei subiscono, per vero, pregiudizi, effettivi o potenziali, dagli accordi: non possono agire esecutivamente, cautelarmente e cautelativamente nei periodi di inibitoria (sia della fase preventiva che della fase definitiva); si vedono sottratti alla revocatoria fallimentare gli atti di disposizione che siano previsti nel piano, una volta che intervenga l'omologazione; subiscono l'affacciarsi al tavolo dei commensali di nuovi creditori il cui appetito è destinato ad essere soddisfatto prima del loro (per effetto delle prededuzioni dei crediti di cui all'art. 182-quater l.fall.) e, con la novella del 2012, debbono subire la dilazione dei termini di pagamento di centoventi giorni e ulteriori prededuzioni (ex art. 182-quinquies) – ma, in linea di principio, il loro diritto di credito dovrà essere soddisfatto per l'intero: i.e. integralmente (senza alcuna riduzione di sorta), quasi puntualmente (e cioè alla scadenza convenzionale o legale, salva la dilazione di centoventi giorni), con i mezzi e nei modi pattuiti ovvero di legge (quindi, non con mezzi diversi da quelli ch'essi avevano diritto di pretendere; non quindi mediante datio in solutum, aliud pro alio, etc.).

In una parola, nessun creditore subisce violazione della regola della par condicio creditorum; tanto gli aderenti (volenti non fit iniuria), quanto gli estranei si vedono riconosciuto ciò che loro spetta: i primi sulla base dell'accordo concluso, i secondi secondo la previsione di legge.

Reputata dottrina ha contestato tale affermazione, definendola “semplificatoria”; essa non terrebbe conto che nel procedimento degli accordi non sarebbe rispettata la par condicio posto che si può falcidiare un privilegiato capiente e pagare per intero un chirografario (del tutto vero), e che “nel concordato preventivo un tale piano sarebbe illegittimo e non si potrebbe superare l'illegittimità neppure con l'accordo dei creditori” (M. Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in Il Caso.it, pubb. 9.10.2018, pag. 9, nota 9).

La critica è apparentemente decisiva, ma non coglie nel segno.

Anche nel concordato preventivo è possibile regolare il trattamento dei creditori prevedendo che alcuni di loro possano essere soddisfatti in misura inferiore rispetto ad altri, persino di rango deteriore. Così avviene per i creditori postergati, e precisamente nell'ipotesi di postergazione volontaria. Se un creditore posterga (si badi bene, anche parzialmente) il suo credito, e accetta ch'esso sia soddisfatto dopo che siano soddisfatti altri creditori di rango poziore o pari al suo, non si verifica alcuna illegittimità, non vi è alcuna inammissibilità della domanda di concordato, del piano o della proposta. I creditori postergati, come affermato dalla Suprema Corte, “sono pur sempre creditori” (Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706) ed hanno perciò pieno diritto di voto; partecipano al concorso, sono creditori concorrenti e concorsuali.

Non è diverso il ragionamento se un creditore rinunzia ad una prelazione, come espressamente gli è consentito dall'art. 177 l.fall. In questo caso, è indubbio che possa verificarsi che un creditore privilegiato non incapiente sia soddisfatto soltanto parzialmente. Ma non si può sostenere che è inammissibile il concordato in cui una classe di creditori, in virtù di accordi presi con il debitore o per decisione unilaterale, accettino di essere pagati in misura ridotta rispetto a quello che è il trattamento riservato ai creditori di pari rango, che non abbiano accettato la postergazione o la rinunzia alla prelazione. Qual è la differenza rispetto ad una procedura di accordi in cui i creditori aderenti abbiano acconsentito ad essere pagati in misura inferiore rispetto al pagamento integrale riservato ai creditori estranei?

Se poi si vuole fare approfondire il tema non sotto la lente dei tratti classificatori, ma facendo una disamina funzionalistica, il questito che occorre porsi è quello degli scopi delle procedure concorsuali e delle ragioni per cui a queste è riservata una disciplina speciale. Perché le procedure concorsuali sono diverse dagli altri procedimenti giudiziari? In che si diferenziano, e perché?

Credo si debba rispondere che la peculiarità delle procedure concorsuali vada ricondotta a due distinte, ma concorrenti, ragioni. In primo luogo, perché la soluzione della crisi tramite procedure concorsuali è sottoposta all'omologazione, vale a dire ad un sindacato giurisdizionale; in secondo luogo, perché tale esito è, tendenzialmente, mirato a garantire la soddisfazione, per quanto possibile, di tutti i creditori con il loro consenso, unanime o quanto meno maggioritario.

Le esecuzioni individuali mirano a soddisfare soltanto i creditori procedenti ed intervenuti; degli altri certamente non si occupano; e i beni non assoggettati all'esecuzione non sono affatto considerati. L'autorità giudiziaria non compie alcuna verifica circa la potenziale soddisfazione di tutti i creditori, nessuno escluso. Si occupa (e solo se sorgono questioni a tale riguardo) che sia rispettata la regola della parità di trattamento tra i creditori procedenti ed intervenuti.

Il piano attestato di risanamento mira alla soluzione della crisi, ma, per definizione, non c'è alcun sindacato preventivo. Questa dovrebbe essere conseguita, ma il piano non si preoccupa dei creditori, che essi abbiano il trattamento che loro spetta per legge o per accordo tra le parti; accordi certamente vi possono essere, ma non necessariamente con tutti.

Quanto agli accordi stragiudiziali, alle transazioni individuali, etc., essi possono essere rilevanti per la soluzione della crisi, ma per definizione non sono stipulati con tutti i creditori e men che meno si preoccupano della soddisfazione dei creditori che a questi non partecipano.

La tesi che colloca nell'alveo (o nel perimetro, se si preferisce) delle procedure concorsuali gli accordi di ristrutturazione dei debiti è stata da ultimo criticata perché condurrebbe ad un'assimilazione degli accordi al concordato preventivo; ne farebbe, come icasticamente è stato evocato, una sorta di “pallido concordato” (M. Fabiani, Dal codice della crisi d'impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in Il Caso.it, pubb. 14.10.2018, 8), bon à tout, bon à rien, uno strumento del tutto inutile, privo dei punti di forza (se ancora se ne sono salvati) del concordato e, al contempo, spogliato delle duttilità e dei vantaggi delle soluzioni prettamente negoziali.

Ma non è così.

Gli accordi non sono né un subgenus del concordato perché, nella loro struttura essenziale, si basano sull'adesione di una maggioranza qualificata mediante accordi che precedono l'avvio della procedura; e non sono meri accordi privatistici, per la loro salda natura giurisdizionale: basti riflettere sulla necessità dell'omologazione, sulla salvaguardia dei diritti degli estranei, sulla stessa garanzia riservata, alla minoranza, di una soddisfazione non inferiore rispetto a quella delle alternative concretamente praticabili (nel c.c.i.i., “… in misura non inferiore alla liquidazione giudiziale”: art. 61, comma 2, lettera d).

La tesi per cui la sottolineatura degli aspetti concorsuali degli accordi finirebbe per farli assorbire nel genus del concordato preventivo, con un esito infelice, quindi, anche considerata l'evoluzione regressiva dell'istituto concordatario, non tiene conto del fatto che esiste una nettissima linea di demarcazione tra i due istituti.

E tale linea è l'assoluta incompatibilità, negli accordi, degli istituti delle proposte concorrenti e delle offerte concorrenti. Non è pensabile applicare, analogicamente, agli accordi, questi istituti, non solo e non tanto perché la durata della procedura, quanto meno nella Legge fallimentare, è destinata ad essere incompatibile con la presentazione di proposte concorrenti e con lo stesso subprocedimento delle offerte concorrenti, ma, fondamentalmente, perché gli accordi non si basano su un consenso acquisito in corso di procedura, ma su un consenso previo, anteriore.

Non avrebbe senso chiedere ai creditori aderenti, che già hanno aderito alla soluzione loro proposta, di votare su una proposta concorrente. Ancor meno ha senso prevedere che debbano votare i creditori estranei, che, di per sé, possono essere interessati soltanto alla questione se il piano sia fattibile o meno, in particolare per quanto attiene alla loro soddisfazione, al loro integrale pagamento.

È quindi impossibile che gli accordi finiscano per essere sussunti nel concordato preventivo.

Anche sul punto della consecuzione tra procedure, il Tribunale di Milano risolve esattamente la questione, affermando che la consecuzione va ravvisata tra procedure sia in senso verticale, sia in senso orizzontale, dovendosi quindi ammettere l'esistenza di una consecuzione tra procedure minori e, comunque, esattamente rammentando come sia stata affermata la possibile consecuzione tra una procedura di accordi e una di fallimento.

Sul punto, va notato come il fenomeno della consecuzione abbia progressivamente preso campo, estendendosi dall'originaria nozione enucleata nell'ambito dell'istituto revocatorio, al fine di consentire la retrodatazione del periodo sospetto con riferimento alla più antica delle procedure susseguitesi (dovendosi ricordare come, nel secolo scorso, non fosse rara la sequenza: amministrazione controllata - concordato preventivo – fallimento). A tale applicazione, inizialmente di matrice giurisprudenziale, e che ha trovato recepimento nell'art. 69-bis L. fall., hanno fatto seguito altri impieghi: così, in primo luogo, alla nozione di consecuzione tra procedure si è fatto riferimento per il riconoscimento della prededuzione, osservandosi che, in difetto, il creditore il quale avesse eseguito la sua prestazione nell'ambito di una procedura e fosse rimasto insoddisfatto all'interno di questa, avrebbe perduto la ragione di preferenza nella successiva, con un esito da un lato iniquo, e, dall'altro, non funzionale all'istituto: non è nell'interesse della procedura una regola che non consenta al creditore, che deve eseguire la prestazione, di contare sulla certezza dell'adempimento del debito. Ma la consecuzione trova applicazione anche in tema di inefficacia delle formalità per l'opponibilità degli atti ai creditori, ex art. 45 L. fall., richiamato dall'art. 169 L. fall. Così, le domande trascritte dopo l'apertura della procedura di concordato preventivo, sono inopponibili alla massa dei creditori del fallimento successivo; e i documenti la cui data certa sia stata acquisita in corso di concordato preventivo non possono fondare la pretesa dell'ammissione al passivo del credito nella successiva procedura di fallimento.

Infine, egualmente merita condivisione la decisione assunta in ordine alla natura prededucibile del credito per il compenso del liquidatore, cui il piano della procedura abbia assegnato il compito di dare esecuzione agli accordi.

Il principio di diritto, già affermato dalla corte di legittimità con riferimento ad una procedura di concordato preventivo, è nel senso di riconoscere che gli atti mirati agli obiettivi del concordato ed in particolare quelli esecutivi del piano sono da ritenersi sorti in funzione della procedura e, pertanto, hanno senz'altro natura prededucibile ex art. 111, secondo comma, L. fall.

Osservazioni

Salutiamo con favore il revirement del Tribunale di Milano, nella convinzione che gli accordi di ristrutturazione dei debiti, i cui capisaldi sono costituiti dall'accordo previo con i creditori aderenti, e dal controllo giurisdizionale sulla fattibilità del piano ed in ispecie sul pagamento integrale dei creditori estranei, sono destinati, con l'entrata in vigore del c.c.i.i., ad assumere il rilievo che merita una procedura concorsuale incentrata sull'adesione di maggioranze qualificate dei creditori e sul perfetto rispetto delle ragioni dei non aderenti.

Riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Circa la questione della natura degli accordi di riustrutturazione dei debiti.

Per la tesi della natura di procedura concorsuale degli accordi, si vedano le seguenti decisioni della Corte di Cassazione: Cass. 22 maggio 2019, n. 13850; Cass. 8 maggio 2019, n. 12064; Cass. 10 aprile 2019, n. 10106; Cass. 21 giugno 2018, n. 16347; Cass. 24 maggio 2018, n. 12965; Cass. 12 aprile 2018, n. 9087; Cass. 25 gennaio 2018, n. 1896; Cass. 18 gennaio 2018, n. 1182. In dottrina: C. Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso, in Fall., 2018, 988; E. Frascaroli Santi, Il diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, Padova, 2016, 784; C. Trentini, Legittimazione agli accordi di ristrutturazione degli intermediari finanziari: la natura dell'istituto, nota a Trib. Milano 10 novembre 2016, (decr.), Il Fallimentarista, pubblicato 20.3.2017; C. Trentini, Piano attestato di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2016, 164 segg.; F. Abate, La spinta degli accordi di ristrutturazione verso la concorsualità, in Fall., 2013, 1183; S. Delle Monache, Profili dei “nuovi” accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2013, 546; A. Pezzano, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis legge fallimentare: una occasione da non perdere, in Dir. fall., 2006, II, 678; P. Pajardi A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, VII ed., Milano, 2008, 908; G. M. Perugini, L'intervento delle banche nei finanziamenti di cui al primo ed al secondo comma del nuovo art. 182-quater legge fallim., in Dir. fall., 2011, I, 337; G. Terranova, I nuovi accordi di ristrutturazione: il problema della sottocapitalizzazione dell'impresa, in Dir. fall., 2012, I, 4; R. Amatore, Omologa dell'accordo: requisiti di ammissibilità del ricorso e limiti del sindacato del Tribunale sulla fattibilità, nota a Trib. Reggio Calabria 24 gennaio 2012, in Il Fallimentarista. Qualifica espressamente gli accordi come una “procedura” G. Lo Cascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall., 2008, 994-995.

Per la soluzione negativa: Trib. Reggio Emilia 14 febbraio 2018, in Il Caso.it, 27.2.2018; Trib. Benevento 8 febbraio 2017, in Massimario OCI, massima n. 01086; Trib. Milano 10 novembre 2016, (decr.), Il Fallimentarista, 20.3.2017; App. Firenze 7 aprile 2016, in Il Caso.it, 20.4.2016; App. Napoli 1° dicembre 2014, in Unijuris.it, 30.1.2015 (che espressamente afferma che “quello previsto dall'art. 182-bis l. fall. è un istituto ontologicamente diverso dalle procedure concorsuali”); Trib. Verona 16 febbraio 2015, in Il Caso.it, 19.2.2015 (che pone a fondamento della decisione, di escludere la natura prededucibile del compenso del professionista che abbia assistito il debitore, l'inapplicabilità dell'art. 111 l.fall., poiché l'istituto degli accordi “presenta caratteristiche prettamente privatistiche“); Trib. Bergamo 19 dicembre 2013, in Il Fallimentarista; Trib. Ravenna 10 ottobre 2013, in Unijuris.it, 3.11.2013; Trib. Milano 2 marzo 2013, in Giur. it., 2013, 2275;Trib. Bologna 17 novembre 2011, decr., in Fall., 2012, 594 e in Fall., 2012, 129 (s.m.) che tratta ex professo la questione. Per la dottrina M. Fabiani, Dal codice della crisi d'impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in Il Caso.it, pubb. 14.10.2018; S. Bonfatti, I “cerchi concentrici” della concorsualità e la prededuzione dei creditori (“dentro o fuori”), in Il Caso.it, 25.6.2018; M. Vitiello, La nuova stagione degli accordi di ristrutturazione: dalla Cassazione una spinta definitiva verso la natura concorsuale?, in Il fallimentarista.it, 28.2.2018; M. Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della Crisi e dell'Insolvenza, in Il Caso.it, 9.10.2018; G. Falcone, in A. Didone, Le riforme delle procedure concorsuali, Milano, 2016, 1936; M. Fabiani, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell'accordo, in Fall., 2013, 770; G. Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm.,2014, I, 284; I. L. Nocera, Riflessioni civilistiche sull'omologa degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Corriere giur., 2013, 1571; G.B. Nardecchia, commento ad art. 182 bis, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da L. Panzani, II ed., IV vol., Torino, 2014, 478; M. Renzulli, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, a cura di A. Caiafa-S. Romeo, tomo III, Padova, 2014, 176; P. De Bei, ll trattamento dei creditori postergati nell'omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, in Il Fallimentarista.it (pubb. 12.1.2013); E. Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione delle crisi d'impresa. Profili strutturali e funzionali e conseguenze dell'inadempimento del debitore, in Banca, borsa e tit. cred., 2010, I, 309; S. Ambrosini, in AA. VV., Il nuovo diritto fallimentare, ed. 2007, Bologna, 2007, tomo II, 2557; C. Proto, Accordi di ristrutturazione dei debiti, tutela dei soggetti coinvolti nella crisi d'impresa e ruolo del giudice, nota a Trib. Roma 16 ottobre 2006, in Fall., 2007, 192; M. Fabiani, L'ulteriore upgrade degli accordi di ristrutturazione e l'incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, in Fall., 2010, 902; G. Racugno, in I presupposti La dichiarazione di fallimento Le soluzioni concordatarie, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, vol. I, Padova, 2010, 556; G. La Croce, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., 2463; A. Patti, L'accelerazione delle soluzioni concordate: esperienze applicative, in Fall., 2010, 1100; L. Fazzi, Questioni in tema di accordi di ristrutturazione dei debiti, nota a Trib. Roma 20 maggio 2010 (decr.), in Dir. fall., 2011, II, 355; G. Scarselli, in E. Bertacchini L. Gualandi S. Pacchi G. Pacchi e G. Scarselli, Manuale di diritto fallimentare, II ed., Milano, 2011, 534; A. Patti, La prededuzione dei crediti funzionali al concordato preventivo tra art. 111 ed art. 182 quater l. fall., nota a Trib. Milano 26 maggio 2011 e Trib. Terni 13 giugno 2011, in Fall., 2011, 1343, nota 9 e 1346; G. Carmellino, Riflessioni sul procedimento cautelare ex art. 182 bis, sesto comma, nota a Trib. Bergamo decr. 12 maggio 2011, Trib. Novara 2 maggio 2011, Trib. Torino 15 febbraio 2011, Trib. Novara 1° febbraio 2011, decr., in Fall., 2011, 1228; S. Bonfatti P. F. Censoni, Manuale di diritto fallimentare, IV ed., Padova, 2011, 645 e 659; F. Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Milano, 2011, 130 segg.; P. Quarticelli, Gestione negoziata della crisi di impresa e autotutela preventiva dei diritti dei creditori nel confronto fra la riforma francese della procédure de conciliation e la nuova disciplina degli accordi ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa e tit. cred., 2011, I, 15; B. Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fallim.: natura, profili funzionali e limiti dell'opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. fall., 2012, I, 14; I. L. Nocera, Gli accordi di ristrutturazione come contratto privatistico: il diritto delle crisi d'impresa oltre le procedure concorsuali, in Dir. fall., 2012, I, 391.

Circa la consecuzione tra procedure e prededuzione, si rimanda, per la sua particolare chiarezza, a Cass. 11 giugno 2019, n. 15724; per l'ammissibilità della consecuzione tra una procedura di accordi di ristrutturazione dei debiti e una procedura di fallimento, cfr. Cass. 10 aprile 2019, n. 10106, cit.; in ordine alla consecuzione tra procedure anche ai fini dell'inopponibilità alla massa dei creditori del fallimento di documenti muniti di data certa acquisita nel corso di una previa procedura di concordato preventivo, cfr. Trib. Verona 17 giugno 2019, in Unijuris.it, 20.9.2019;

Circa la natura “funzionale” dei crediti sorti, dopo l'omologazione, per l'esecuzione del piano concordatario, si vedano Cass. 10 gennaio 2018, n. 380; Cass. 9 settembre 2016, n. 17911, in Il Caso.it, p. 14.12.2016; Trib. Milano 2 agosto 2018, in Dejure.

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