La composizione assistita della crisi

Niccolò Nisivoccia
08 Aprile 2020

Di composizione assistita della crisi ci parla l'art. 19 del Codice della crisi, ed è la prima volta che questa figura entra nel nostro orizzonte, nel nostro ordinamento. Si tratta di una figura giuridica nuova, che fino ad oggi nel nostro ordinamento non esisteva. Conoscevamo, e conosciamo, i piani di risanamento, i concordati, fallimentare e preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il sovraindebitamento, la mediazione; ma non esisteva la “composizione assistita della crisi”. Di cosa si tratta?
Premessa

Di composizione assistita della crisi ci parla l'art. 19 del Codice della crisi, ed è la prima volta che questa figura entra nel nostro orizzonte, nel nostro ordinamento.

Si tratta di una figura giuridica nuova, che fino ad oggi nel nostro ordinamento non esisteva.

Conoscevamo, e conosciamo, i piani di risanamento, i concordati, fallimentare e preventivo, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il sovraindebitamento, la mediazione; ma non esisteva la “composizione assistita della crisi”. Di cosa si tratta?

L'art. 19 non ci offre una definizione di “composizione assistita della crisi”, né ce la offre l'art. 2, che pure contiene la definizione di molti istituti presenti nel Codice. Non proprio una definizione diretta ma almeno una parafrasi delle parole, che contribuisce a spiegarne il contenuto, ci viene invece fornita dalla relazione illustrativa, che qui come altrove si conferma più che mai fondamentale per la comprensione delle nuove norme. L'art. 19 della relazione ci dice questo: che la composizione assistita della crisi è uno strumento funzionale alla “ristrutturazione del debito”, che viene ricercata attraverso una “trattativa con i creditori, favorita dall'intervento dell'Ocri che si pone come una sorta di mediatore attivo tra le parti”.

Ecco, come si vede, il tono della relazione è quasi discorsivo, ma soprattutto è molto chiarificatore e chiaro: la composizione assistita della crisi, capiamo, è un accordo fra debitore e creditori raggiunto in sede stragiudiziale, davanti agli organismi di composizione della crisi dell'impresa costituiti presso ogni Camera di Commercio.

L'Ocri, precisa la relazione, svolge in particolare una funzione assimilabile a quella del mediatore: vale a dire la funzione di favorire, di facilitare l'accordo (s'intende: dove la relazione fa riferimento alla mediazione vuole senza dubbio alludere alla mediazione civile e commerciale, perché sappiamo che in realtà nel nostro ordinamento esistono molti tipi di mediazione, da quella penale a quella familiare, fra i quali oltretutto la mediazione civile è solo la più recente, ma in ogni caso la funzione di favorire gli accordi, nel senso di facilitarli, è tipica di tutte le figure di mediazione, non solo di quella civile). Vedremo i modi di questa facilitazione, vedremo come le norme prevedono che l'Ocri debba svolgere il proprio ruolo, ma intanto la relazione è chiara esattamente in questo, nella spiegazione delle parole: “composizione” significa “accordo” e “assistita” significa semplicemente “facilitata” e non certo “indirizzata” o tantomeno “imposta”.

L'Ocri non è un giudice, non è giudicante, non è impositivo; come non è mai un giudice né giudicante né impositivo il mediatore, che sia civile o familiare o penale o sociale. Non è scorretto allora riconoscere alla composizione assistita della crisi, come fa la dottrina che si sta già occupando del tema, un'ispirazione, anzi “un'aspirazione mediatorio-assistenziale”, ma per onor del vero deve rimanere chiaro, davanti alle possibili implicazioni negative o polemiche che il concetto di “assistenzialismo” porta con sé, che la volontà del legislatore non è quella di supplire all'inerzia del debitore ma semmai quella di non lasciarlo solo, sul presupposto che il debitore sia di per sé autonomo e proattivo (per usare un'espressione di derivazione aziendale). Tant'è che la parola “attivo”, che la relazione affianca al “mediatore”, andrebbe affiancata anche al “debitore”; ma la verità è che non ce n'è bisogno, perché le norme che disciplinano il procedimento sono già inequivoche nella loro sostanza, in sé stesse, nell'imporre al debitore un atteggiamento, come dicevo, autonomo e costruttivo. E questo a cominciare dall'iniziativa dalla quale il procedimento prende avvio, che spetta al debitore e solo e soltanto a lui. Ma vediamole, le norme, entriamo nel merito.

Istanza del debitore

L'art. 19 inizia con il dire (nel suo primo comma) che il procedimento prende avvio su istanza del debitore: “Su istanza del debitore, formulata anche all'esito dell'audizione di cui all'art. 18, il collegio fissa un termine non superiore a tre mesi, prorogabile fino ad un massimo di ulteriori tre mesi solo in caso di positivi riscontri delle trattative, per la ricerca di una soluzione concordata della crisi d'impresa, incaricando il relatore di seguire le trattative”.

Quindi, a costo di ripeterci: spettano al debitore il potere e la facoltà di avviare le trattative, e solo a lui.

Né l'art. 19 né altre norme conferiscono ad altri soggetti, diversi dal debitore, la stessa facoltà e lo stesso potere. La decisione di provare a ricercare quell'accordo fra debitore e creditori davanti all'Ocri nel quale consiste la composizione assistita della crisi è tutta del debitore, che deve prenderla in autonomia; e nessuno gliela può togliere, né i creditori (i quali potranno solo partecipare alle trattative, una volta avviate) né il pubblico ministero né il giudice (che alle trattattive, così come agli accordi se raggiunti, rimangono estranei tout court). La dottrina usa a questo riguardo una bella espressione: “distanza dalla giurisdizione”, ed è un'epressione bella perché dotata di una capacità suggestiva di sapore quasi letterario, che però al tempo stesso restuituisce molto bene la natura del procedimento.

Bene: ma come e quando va formulata l'istanza da parte del debitore? “Come”, l'art. 19 non ce lo dice, ma a ben vedere ce lo dice proprio non dicendocelo. Aldilà del gioco di parole: il fatto che la norma ci parli genericamente di “istanza”, insieme al fatto che il procedimento non coinvolge l'autorità giurisdizionale, ci induce, o forse ce lo impone addirittura, a pensare che questa istanza possa essere formulata in qualunque modo, in qualunque forma. Cioè al di fuori di forme prescritte. Il che significa che rispetto a questo genere di istanze non saranno mai neppure immaginabili questioni di ammissibilità o inammissibilità, perché questioni di inammissibilità possono avere una loro ragion d'essere solo su un piano processuale, formalizzato, mentre qui giochiamo su un piano diverso, appunto deformalizzato. L'istanza, di per sé, sarà dunque sempre ammissibile dal punto di vista formale.

“Quando” l'istanza debba essere presentata, invece – questo l'art. 19 ce lo dice.

O meglio: ci dice che può essere formulata “anche all'esito dell'audizione di cui all'art. 18” – che è l'audizione del debitore davanti al collegio nell'ambito del procedimento di allerta.

Il che significa che l'istanza può essere presentata in qualunque momento: sia all'esito dell'allerta, nel caso in cui il procedimento di allerta non abbia dato i suoi frutti, sia prima, perché la norma dice che l'istanza può essere presentata “anche” dopo l'audizione di cui all'art. 18, e non “necessariamente” dopo, svincolando in questo modo i due procedimenti l'uno dall'altro. E non a caso la relazione illustrativa sottolinea che il “prima” va inteso anche come “a prescindere”. Del resto, procedimento di allerta e procedimento di composizione assistita hanno natura e funzioni diverse.

Natura: perché l'uno, il procedimento di allerta, può prendere avvio anche da segnalazioni provenienti da terzi, l'altro, il procedimento di composizione assistita, può essere attivato solo dal debitore, come abbiamo detto.

E funzione: perché, come spiega benissimo, di nuovo, la relazione illustrativa, “mentre la procedura di allerta è finalizzata a far emergere tempestivamente la crisi dell'impresa, ricercando, con l'ausilio degli organi di controllo o dello stesso OCRI e senza coinvolgere i creditori, una soluzione alla crisi principalmente mediante l'adozione di misure riorganizzative dell'attività imprenditoriale, diversa è la prospettiva dell'istituto della composizione assistita della crisi, al cui interno, nel presupposto che sia imprescindibile la ristrutturazione del debito, la soluzione viene ricercata mediante una trattativa con i creditori”.

In altre parole: l'una, l'allerta, è una procedura funzionale al superamento della crisi attraverso misure di pura e semplice riorganizzazione interna, che come tali non richiedono il consenso dei creditori; l'altra, invece, la composizione assistita della crisi, è una procedura che presuppone la necessità di misure che vadano aldilà della semplice riorganizzazione interna, e cioè di misure di ristrutturazione del debito, che come tali invece richiedono sì, da parte loro, il consenso dei creditori, perché ristrutturare il debito significa, nei fatti, ottenere una riduzione o una dilazione dei crediti.

Natura e funzione dell'istanza

Va notata però una cosa: è vero che l'art. 19 consente la presentazione dell'istanza in qualunque momento, ma è vero anche che altrove, nell'art. 24, dove si parla delle “misure premiali” derivanti dall'accesso tempestivo alle procedure (non solo alla composizione assistita), è specificato che, nel caso della composizione assistita, le misure premiali potranno essere applicate solo nell'ipotesi in cui l'istanza ai sensi dell'art. 19 sia stata presentata entro tre mesi dal momento in cui si manifesti l'esistenza di debiti retributivi o verso fornitori oltre un certo ammontare o risultino superati, nell'ultimo bilancio, gli indici qualificati come “indicatori della crisi” dall'art. 13. È vero allora che non esistono termini entro i quali l'istanza ai sensi dell'art. 19 va presentata; ma esistono dei termini, decorsi i quali la presentazione dell'istanza preclude se non altro l'applicazione delle misure premiali.

Cosa dovrà contenere, in ogni caso, questa istanza deformalizzata che il debitore può presentare in qualunque momento (aldilà del rispetto dei termini previsti in relazione alle misure premiali) agli organismi competenti?

Cosa dovrà dire, il debitore, nella sua istanza?

E cosa dovrà chiedere?

Dovrà dire e chiedere, a mio parere, ciò che consenta all'istanza di assolvere alla sua natura e alla sua funzione. È la composizione assistita un procedimento avente la funzione di consentire al debitore il superamento della crisi attraverso una ristrutturazione del debito, favorito dagli organismi competenti? Bene: il debitore dovrà dare atto della crisi e delle ragioni che ne impongono ma al tempo stesso ne consentono il superamento attraverso un accordo di ristrutturazione; dovrà illustrare, quantomeno per sommi capi, il contenuto del possibile accordo; e dovrà chiedere infine al collegio, già nominato e composto nel procedimento di allerta (nel caso in cui la composizione assistita sia stata attivata dopo l'allerta), o da nominare e comporre secondo le medesime norme che ne regolano nomina e composizione nell'allerta (nel caso in cui la composizione assistita sia stata attivata a prescindere dall'allerta), di fissare “un termine non superiore a tre mesi, prorogabile fino ad un massimo di ulteriori tre mesi solo in caso di positivi riscontri delle trattative”, come previsto dal primo comma dell'art. 19, “per la ricerca di una soluzione concordata della crisi”.

Ricevuta l'istanza, il collegio incarica un “relatore di seguire le trattative”. È sempre l'art. 19, nell'ultima frase del primo comma, a dircelo, ed è questo il primo atto del procedimento da parte dell'Ocri: la nomina da parte del collegio di un relatore al proprio interno incaricato di seguire le trattative. Ed è qui che assume valore quella parola, “attivo”, affiancata alla parola “mediatore” nella relazione illustrativa. Ne parlavamo all'inizio: la relazione qualifica l'Ocri, nel suo ruolo svolto all'interno della procedura di composizione assistita, “come una sorta di mediatore attivo tra le parti”; e potrebbe essere lecito chiedersi come sarebbe mai immaginabile un mediatore passivo, e quindi che significato abbia questa parola, “attivo”. L'art. 19 ce lo indica, il suo significato, proprio nel dirci che il compito del relatore è quello di “seguire le trattative”. E la relazione aggiunge e precisa: il relatore, nel seguire le trattative, potrà anche farsi “parte attiva, se ciò sia utile per favorire l'accordo, con l'autorevolezza che gli deriva dal ruolo”.

Mi spingo a dire che, sotto questo aspetto, il ruolo del relatore potrebbe essere avvicinato a quello del commissario giudiziale, pur senza rivestirne la medesima veste di pubblico ufficiale che la disciplina del concordato preventivo attribuisce a quest'ultimo. Intendo dire che, come spetta al commissario, nel concordato, convocare i creditori nell'adunanza ai fini del voto, così mi sembrerebbe possibile riconoscere al relatore incaricato dal collegio la medesima facoltà nella composizione assistita: la norma non lo chiarisce (e va sottolineata la sua lacunosità, francamente), ma perché non riconoscere la possibilità che sia il relatore a contattare i creditori al fine di ottenere un accordo sulla ristrutturazione del debito, anche spiegandogliene l'oggetto? Nel silenzio della norma, a questa possibilità va attribuita, a mio parere, una dignità almeno uguale a quella da attribuire alla possibilità che sia il debitore a farsi parte attiva in questo senso. Il procedimento, come l'istanza da cui prende avvio, è del tutto deformalizzato.

Di più: di fatto, non è disciplinato dalla norma. E questa assenza di regolamentazione consente di ammettere entrambe le ipotesi: che sia il debitore a convocare i creditori, o che sia il relatore La norma si concentra sul risultato, che è quello di ottenere un accordo; e potremmo spingerci, nel silenzio, a considerare valido ogni mezzo utile a raggiungere tale risultato.

D'altronde il relatore è in possesso di tutte le informazioni necessarie al fine di contattare i creditori e di fornire loro chiarimenti sull'accordo, perché il secondo comma dell'art. 19 prescrive che il collegio debba procedere “nel più breve tempo possibile ad acquisire dal debitore, o su sua richiesta a predisporre” (e qui la dottrina osserva: oppure a predisporre anche in proprio, senza istanza del debitore), “anche mediante suddivisione dei compiti tra i suoi componenti sulla base delle diverse competenze e professionalità, una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, nonché un elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali, con indicazione dei rispettivi crediti e delle eventuali cause di prelazione”.

Che dire?

Come si vede, si tratta della medesima relazione che le norme sul concordato preventivo, passate e venture, prevedono debba essere allegata alla domanda di concordato.

E si tratta infatti, sottolinea ancora la dottrina, di una documentazione utile anche in vista di una “migrazione successiva” – per usare letteralmente le parole della dottrina – “in una possibile procedura concorsuale giudiziale, nell'evidente prospettiva di aiuto al debitore, comprimendo costi e tempi di accesso, come voluto dalla legge delega”. Perché l'accesso, o quantomeno la domanda di accesso, a una procedura concorsuale costituisce in effetti uno dei possibili esiti della composizione assistita: ed è vero che, anche solo da questo punto di vista, la composizione assistita si offre come una risorsa allettante agli occhi del debitore.

Tanto più alla luce di quanto previsto, subito dopo, dal terzo comma dell'art. 19: “Quando il debitore dichiara che intende presentare domanda di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti o di apertura del concordato preventivo, il collegio procede, su richiesta del debitore, ad attestare la veridicità dei dati aziendali”.

Come dire: che vada o non vada a buon fine la composizione assistita, che produca o non produca un accordo, il debitore potrà pur sempre accedere a una procedura concorsuale vera e propria, “giudiziale”; e nel caso in cui la procedura fosse un concordato preventivo, oppure un giudizio per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito, potrà farlo disponendo già di una relazione attestata.

Ancora una volta, anche qui, la relazione illustrativa chiarisce ancora meglio: “La ragione dell'acquisizione di tale documentazione”, cioè della relazione aggiornata sulla situazione dell'impresa, “si spiega con l'opportunità di disporre di tutti gli elementi conoscitivi utili a valutare la situazione dell'impresa e ad individuare il possibile oggetto delle trattative, ma anche al fine di precostituire la documentazione necessaria per l'accesso ad una procedura concorsuale, così realizzandosi evidenti economie di tempi e costi procedurali in linea con il principio di cui all'articolo 2, comma 1, lettera l), legge delega”; ed è “con le stesse finalità”, prosegue la relazione, che “il comma 3 consente al collegio, su richiesta del debitore, di attestare la veridicità dei dati aziendali” (con la precisazione, sono sempre parole della relazione, che “il falso nell'attestazione è sanzionato penalmente”).

Chiusura con un accordo

Infine, l'ultimo comma, il quarto, dell'art. 19 disciplina l'ipotesi in cui la procedura si chiuda con un accordo.

L'accordo, ci dice il quarto comma, “deve avere forma scritta”, deve venir “depositato presso l'organismo”, “non è ostensibile”, vale a dire non può essere mostrato, “a soggetti diversi da coloro che lo hanno sottoscritto”; e “produce gli stessi effetti degli accordi che danno esecuzione al piano attestato di risanamento e, su richiesta del debitore e con il consenso dei creditori interessati, è iscritto nel registro delle imprese”. La previsione più importante di questo comma è naturalmente quella che concerne gli effetti del piano, essendo la portata precettiva delle altre prescrizioni (sulla forma scritta e sulla non ostensibilità a terzi) più ovvia. L'accordo produce i medesimi effetti del piano di risanamento e può essere iscritto nel registro delle imprese. Gli effetti del piano di risanamento sono previsti dagli articoli 56 e 166 del Codice e consistono, sostanzialmente, nella irrevocabilità degli atti, dei pagamenti e delle garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano stesso (peraltro si tratta degli effetti che già oggi derivano dai piani di risanamento disciplinati dall'art. 67 della legge fallimentare); ma non è chiarito se a tal fine sia necessaria l'iscrizione nel registro delle imprese, a sua volta prevista dal quarto comma. O meglio: non è chiarito nella norma, ma lo è nella relazione illustrativa, dove l'iscrizione nel registro delle imprese, che rende l'accordo conoscibile a tutti, viene esplicitamente qualificata come facoltativa. Ma va detto che, nel dubbio, la circostanza che l'art. 56 preveda a sua volta come puramente facoltativa l'iscrizione del piano, senza farne dipendere l'effetto dell'irrevocabilità, avrebbe già indotto a propendere per la facoltatività anche in relazione all'accordo di cui al nostro art. 19. In ogni caso, ciò che l'art. 19 ci dice di più importante è questo: l'accordo raggiunto all'esito di una procedura di composizione assistita è un contratto privato, semplicemente sottoscritto davanti a un soggetto terzo quale l'Ocri.

È un contratto speciale, perché gli atti che vi danno esecuzione non saranno revocabili; ma è pur sempre un contratto fra privati, che come tale non può produrre altri effetti diversi da quelli dell'irrevocabilità degli atti che vi danno esecuzione, in particolare non può produrre quegli effetti esdebitatori che possono derivare solo da procedure di natura pubblicistica (fallimento, concordati, sovraindebitamento).

Ma l'accordo è solo un esito possibile della procedura di composizione assistita. Non è anche un esito necessario. Di una conclusione diversa dall'accordo non si occupa più l'art. 19, ma l'art. 21.

E l'art. 21 ci dice che, quando allo scadere del termine previsto dall'art. 19 (tre mesi dall'istanza, prorogabili fino ad altri tre mesi) non sia stato raggiunto un accordo, il collegio deve fare due cose: la prima, invitare il debitore a presentare una domanda di accesso a una delle procedure previste dall'art. 37, cioè a una qualunque procedura concorsuale, o meglio ancora, per usare il nuovo lessico del Codice: a una qualunque procedura di regolazione della crisi e dell'insolvenza (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, giudizio per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione, sovraindebitamento); la seconda, comunicare la conclusione negativa della procedura ai soggetti di cui agli articoli 14 e 15 (organi di controllo societari e creditori pubblici qualificati) che non vi abbiano partecipato. Ma non basta per la verità che non sia stato raggiunto un accordo. L'insuccesso della procedura di composizione assistita non si gioca solo qui, non si misura solo questo, sul cosidetto no deal, sulla mancata conclusione di un accordo – con tutti i creditori o magari anche solo con alcuni di loro. Di un accordo, comunque sia, attraverso l'esecuzione del quale il debitore possa aspirare al superamento della crisi. Occorre anche che una situazione di crisi permanga, perché potrebbe anche darsi che, al di là di un accordo, la crisi sia nel frattempo ugualmente venuta meno.

L'art. 21 contempla espressamente questa ipotesi, dove ci dice che il collegio invita il debitore a presentare una domanda di accesso a una procedura concorsuale, entro trenta giorni, e comunica la conclusione negativa della procedura ai soggetti di cui agli articoli 14 e 15 solo quando un accordo non sia stato concluso ma al tempo stesso “permane una situazione di crisi”. A queste condizioni, e solo al ricorrere di entrambe, il collegio è tenuto a formulare l'invito e a inviare la comunicazione. Da parte loro, l'uno, il debitore dovrà raccogliere l'invito e gli altri, i soggetti di cui agli articoli 14 e 15, dovranno attivarsi al fine di adempiere ai loro obblighi di segnalazione all'Ocri previsti dagli stessi articoli 14 e 15, nell'ipotesi cui non l'avessero già fatto (e quindi nell'ipotesi in cui la procedura di composizione assistita si fosse aperta prima dell'allerta), oppure potranno chiedere l'apertura della liquidazione giudiziale.

Cosa succede se il debitore non adempie all'invito a presentare domanda di accesso a una procedura concorsuale?

Ce lo dice l'art. 22: se il debitore non adempie all'invito, o non vi adempie entro il termine, il collegio ne dà notizia al referente, il quale a sua volta ne dà notizia al pubblico ministero, il quale a sua volta (sembra “La fiera dell'est” di Angelo Branduardi) dovrà esercitare entro sessanta giorni l'iniziativa di cui all'art. 38.

Il che significa: dovrà chiedere l'apertura della liquidazione giudiziale (a patto, naturalmente, di ritenere fondata la notizia di insolvenza).

Aggiungo: ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 21, tutti gli atti relativi alla procedura di composizione assistita così come tutti i documenti acquisiti o prodotti nel corso del suo svolgimento potranno essere utilizzati, una volta conclusasi negativamente la procedura, solo nell'ambito di una liquidazione giudiziale o di un procedimento penale (“in ossequio”, spiega la relazione illustrativa, ma questo è ovvio in realtà, “al principio di riservatezza e confidenzialità e al fine di evitare ostacoli in capo al debitore nell'illustrare al collegio la reale situazione dell'impresa”).

Misure protettive e misure premiali

Circoscritto com'era il discorso al procedimento di composizione assistita in senso stretto, mi limito a poche parole sul resto del discorso.

Perché c'è un resto del discorso, in effetti; e mi riferisco al tema delle misure protettive e delle misure premiali: le prime, le misure protettive, disciplinate dall'art. 20, riguardano specificamente la composizione assistita; le seconde, le misure premiali, disciplinate dall'art. 25, riguardano anche le altre procedure previste nel Codice. Si tratta di un tema, mutatis mutandis, assimilabile a quello degli elementi accidentali del contratto – condizione, termine e modo (ed è un'assimilazione che ha una sua ragion d'essere, tenuto conto della natura di contratto tout court dell'accordo che venga raggiunto nella composizione assistita). Anche le misure protettive e premiali costituiscono elementi accidentali rispetto alla procedura di composizione assistita, nel senso che una procedura di composizione assistita potrebbe tranquillamente compiersi (e cioè potrebbe tranquillamente arrivare al termine, con o senza un accordo), senza aver conosciuto misure protettive e senza che vi facciano seguito misure premiali.

Mi limito allora all'essenziale.

Le misure protettive, che possono essere richieste solo dopo la presentazione dell'istanza ai sensi dell'art. 19, e devono essere richieste mediante domanda alle sezioni specializzate del tribunale competente, sono quelle medesime misure che il tribunale può emettere nel corso del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale o del concordato preventivo o del giudizio per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti: tipicamente il divieto delle azioni esecutive e cautelari e l'esonero dagli obblighi di ridurre il capitale per perdite, in caso di società, ma più in generale qualunque misura appaia idonea ad assicurare lo svolgimento delle trattative senza complicazioni esterne.

Le misure non possono avere una durata superiore a tre mesi, in prima istanza, ma questa durata può essere successivamente prorogata più volte, su nuova istanza del debitore, fino al termine massimo di ulteriori tre mesi, a condizione che, dice l'art. 20, “siano stati compiuti progressi significativi nelle trattative tali da rendere probabile il raggiungimento dell'accordo”; e possono essere sempre revocate anche d'ufficio, una volta concesse, se risulti la commissione da parte del debitore di atti di frode nei confronti dei creditori o se il collegio segnali al giudice l'impossibilità di raggiungere un accordo o la mancanza di progressi nelle trattative.

Quanto alle misure premiali, sono applicabili, per quanto ci interessa, esclusivamente al debitore che abbia presentato tempestivamente l'istanza di cui all'art. 19 (dove la tempestività va accertata dal presidente del collegio su richiesta del debitore), nel senso di cui parlavo prima: entro tre mesi dal momento in cui si manifesti l'esistenza di debiti retributivi o verso fornitori oltre un certo ammontare o risultino superati, nell'ultimo bilancio, gli indici qualificati come “indicatori della crisi” dall'art. 13.

Mi limito a leggerne l'elenco, contenuto nell'art. 25:

  • durante la procedura di composizione assistita e fino alla sua conclusione gli interessi sui debiti tributari sono ridotti alla misura legale;
  • le sanzioni tributarie, per le quali sia prevista l'applicazione di una misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine dalla comunicazione dell'ufficio che le emette, sono ridotte alla misura minima se il termine per il pagamento scade dopo la presentazione dell'istanza di cui all'art. 19;
  • le sanzioni e gli interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita sono ridotti della metà nell'eventuale procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza successivamente aperta;
  • la proroga del termine fissato dal giudice ai sensi dell'art. 44 per il deposito della proposta di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti è pari al doppio di quella che il giudice può concedere ordinariamente (a meno che l'Ocri non abbia dato notizia di insolvenza al pubblico ministero);
  • la proposta di concordato preventivo in continuità concorrente con quella presentata dal debitore non è ammissibile se il professionista incaricato attesta che la proposta del debitore assicura il soddisfacimento dei creditori chirografari in misura almeno pari al 20% dell'ammontare complessivo dei crediti.

Infine, altre misure premiali riguardano la responsabilità penale (sotto il profilo della non punibilità o della riduzione della pena) per fatti antecedenti alla presentazione tempestiva dell'istanza di cui all'art. 19.

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