La decadenza c.d. sanzionatoria del sindaco non è automatica e non può essere usata a vantaggio dello stesso

14 Aprile 2020

La decadenza del sindaco c.d. sanzionatoria, prevista dagli artt. 2404 e 2405 c.c. non viene dichiarata automaticamente, necessitando invece un accertamento sui motivi della decadenza stessa.
Massima

L'ipotesi di decadenza sanzionatoria di cui agli artt. 2404 e 2405 c.c. comporta un ineludibile procedimento di accertamento della violazione degli obblighi da parte del sindaco di tal che, in assenza dello stesso, il sindaco non può essere revocato, né – tantomeno – egli stesso può vantare la mancata partecipazione a due riunioni del consigli di amministrazione della società per invocare l'avvenuta decadenza.

Il caso

La curatela di una società a responsabilità limitata agiva presso il Tribunale competente al fine di sentire condannare alcuni sindaci del consiglio di amministrazione con azione di responsabilità ex art. 146 L. Fall.

All'esito del giudizio i sindaci venivano condannati in solido al risarcimento di una somma a titolo di risarcimento per la società, oltre interessi e spese legali.

Uno dei sindaci impugnava la predetta decisione in grado d'appello con atto di citazione incentrato su due motivazioni di fatto e diritto.

In prima battuta il sindaco appellante affermava la propria carenza di legittimazione passiva nel giudizio de quo.

In particolare, egli affermava di essere decaduto dalla qualità di sindaco anni addietro e quindi di non essere stato responsabile del dissesto societario successivo alla propria decadenza.

A tal fine invocava la mancata partecipazione a due successive assemblee del c.d.a., specificando come – ai sensi degli artt. 2404 e 2405 c.c. – tale mancata partecipazione avrebbe comportato la sua automatica decadenza dal ruolo di sindaco.

Come ulteriore argomentazione, poi, egli domandava alla Corte d'Appello la revisione della prima sentenza nella misura in cui il diritto vantato dalla curatela attrice non sarebbe stato provato né in punto an né in punto quantum.

A detta del sindaco, difatti, l'azione della curatela sarebbe stata carente della dovuta base probatoria rispetto al nesso causale tra il dissesto e la propria condotta professionale come sindaco.

Tale assenza di prova avrebbe coinvolto sia l'esistenza stessa del diritto (an) che la quantificazione del danno (quantum), con l'effetto di rendere necessaria la riforma della sentenza impugnata.

La questione

L'appello proposto dal sindaco pone diverse questioni giuridiche di notevole complessità.

In prima battuta l'appellante contesta la sua legittimazione passiva, ossia la possibilità stessa di essere convenuto in giudizio dalla curatela.

A detta del sindaco, infatti, la normativa codicistica in materia di partecipazione alle assemblee da parte dei sindaci avrebbe comportato la sua decadenza dal ruolo anni addietro.

Di conseguenza egli invocava la sua estraneità alla gestione a far data dall'anno 2007 e quindi l'assenza di responsabilità sulle vicende successive.

Le norme invocate, artt. 2404 e 2405 c.c., trattavano infatti della c.d. decadenza sanzionatoria del sindaco affermando rispettivamente che “Il collegio sindacale deve riunirsi almeno ogni novanta giorni. La riunione può svolgersi, se lo statuto lo consente indicandone le modalità, anche con mezzi di telecomunicazione. Il sindaco che, senza giustificato motivo, non partecipa durante un esercizio sociale a due riunioni del collegio decade dall'ufficio” e che “I sindaci devono assistere alle adunanze del consiglio di amministrazione, alle assemblee e alle riunioni del comitato esecutivo.

I sindaci, che non assistono senza giustificato motivo alle assemblee o, durante un esercizio sociale, a due adunanze consecutive del consiglio d'amministrazione o del comitato esecutivo, decadono dall'ufficio”.

Per la difesa dell'appellante, quindi, egli sarebbe decaduto automaticamente a seguito delle due assenze consecutive dalle assemblee del c.d.a. e, conseguentemente, non avrebbe avuto alcuna responsabilità per fatti avvenuti a seguito della revoca.

La contestazione, come detto, non si fermava alla figura del sindaco, ma si estendeva alla domanda stessa della curatela.

A detta dell'appellante, difatti, questa domanda non sarebbe stata in alcun modo provata.

Ai fini della sua condanna – a detta del sindaco – sarebbe stato necessario fornire la prova del nesso di causalità tra le sue azioni od omissioni e la verificazione del dissesto societario e la prova della riferibilità di tale dissesto al sindaco stesso.

La quantificazione del risarcimento, poi, sarebbe stata carente di prove certe e solo basata su approssimazioni.

Sulla base di tali argomentazioni, il sindaco domandava alla Corte d'Appello la riforma della sentenza del Tribunale.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento la Corte d'Appello di Catania rigettava in toto le tesi dell'appellante.

Dal punto di vista della legittimazione passiva del sindaco, il giudice del riesame affermava l'erroneità del ragionamento dell'appellante in merito alla decadenza sanzionatoria del sindaco.

La mancata partecipazione a due assemblee del c.d.a., infatti, non comporta l'automatica e istantanea decadenza del sindaco, essendo a tal fine necessario a tal fine un accertamento “della decadenza che diventa requisito indispensabile per la sua operatività, sulla base dell'argomentazione che esistono ineludibili esigenze garantiste che impongono l'attivazione di un procedimento formale volto alla comminatoria della decadenza” (così nella sentenza in commento).

L'esigenza della decadenza sanzionatoria del sindaco, poi, è posta anche a tutela della società, la quale ha interesse alla rimozione di un organo inattivo e non può essere quindi domandata dal sindaco come argomentazione a sostegno della sua assenza di responsabilità nell'aggravamento del dissesto societario.

Continuava il giudice affermando che, ove la tesi dell'appellante fosse accolta, vi sarebbe stata una totale incertezza sulla composizione degli organi societari tale da rendere funzionalmente impossibile comprendere chi siano i membri in carica e quali siano le loro responsabilità nel tempo.

Da ultimo, poi, la decadenza, per avere efficacia, avrebbe dovuto essere pubblicizzata nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 2400, comma 3, c.c. e per gli effetti dell'art. 2448 c.c. in materia di opponibilità degli atti societari ai terzi.

Quanto alle contestazioni in merito all'an e al quantum della domanda della curatela, la Corte d'Appello confermava le disposizioni del primo giudice, nuovamente rigettando le tesi del sindaco.

Dal punto di vista dell'an, i fatti di causa del primo grado avevano provato l'assoluto disinteresse dei sindaci rispetto alla gestione societaria, in totale violazione dei loro obblighi e per loro stessa ammissione.

Tale disinteresse aveva chiaramente cagionato il depauperamento del capitale sociale e la contestuale prosecuzione dell'attività sociale in deficit, che aveva aggravato il dissesto societario.

Innegabile, quindi, l'apporto causale dei sindaci nei problemi societari.

Dal punto di vista del quantum del risarcimento, invece, la Corte d'Appello aveva chiarito come la stessa gestione disordinata e carente dei sindaci avesse reso sostanzialmente impossibile comprendere l'effettivo danno cagionato alla società.

Le scritture contabili, difatti, erano in parte carenti e in parte contenenti operazioni anomale che avevano reso impossibile per il consulente tecnico d'ufficio giungere ad una precisa quantificazione del danno.

La gestione in perdita, come detto, era proseguita per più di due anni, con conseguente aggravamento dei problemi societari.

Alla luce di tali circostanze, quindi, il danno era stato quantificato con criterio equitativo dato dalla differenza tra i netti patrimoniali e la perdita incrementale (al netto della perdita che si sarebbe comunque prodotta in caso di liquidazione della società).

In conclusione, quindi, la Corte d'Appello confermava la condanna del sindaco già irrogata in prime cure.

Osservazioni

La decisione della Corte d'Appello di Catania pare corretta ed appropriata.

Dal punto di vista della c.d. decadenza sanzionatoria del sindaco, le argomentazioni del giudice non paiono contestabili.

Ove la tesi dell'appellante fossero state accolte, infatti, il sindaco avrebbe potuto usufruire di una facile esenzione dalle proprie responsabilità solamente mancando la partecipazione al c.d.a. per due volte e comportando così l'automatica decadenza dalla qualità di sindaco.

La decadenza, tuttavia, non può essere comminata automaticamente, e ciò per due ragioni entrambe evidenziate dalla Corte d'Appello.

In prima battuta per interesse dello stesso sindaco, il quale potrebbe giustificare le proprie assenze ed evitare la decadenza.

In secondo luogo per esigenza di proteggere la società dall'utilizzo fraudolento della eventuale decadenza automatica da parte di sindaci che vogliano sottrarsi alle loro responsabilità.

La seconda parte del ragionamento della sentenza, inoltre, pare nuovamente pregevole.

Dal punto di vista dell'an è corretto, infatti, condannare un sindaco quando la sua omissione di controllo abbia cagionato o aggravato il dissesto societario.

Dal punto di vista della quantificazione del risarcimento, similmente, è corretto fare riferimento ad un criterio suppletivo come quello utilizzato dal primo giudice, laddove la stessa attività dei sindaci abbia compromesso la contabilità sociale rendendola inintellegibile.

Corretta, quindi, sia la decisione del Tribunale, che della Corte d'Appello sotto i punti di vista appena citati.

Guida all'approfondimento

FIORE, Corporate governance, considerazioni sulle nuove norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate, in Riv. Dottori Commercialisti, fasc.1, 1 Febbraio 2019, 29.

COSSU, Ancora sulla prorogatio del collegio sindacale dimissionario, in Riv. Notariato, fasc.6, 1 Dicembre 2018, 1341.

CORUBOLO, Responsabilità del sindaco decaduto ed esercizio di fatto delle funzioni., in Giur. Comm., fasc.5, 2015, 961.

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