Epidemia Covid-19 e autopsie. Una difficile convivenza

Andrea Gentilomo
15 Aprile 2020

L'epidemia Covid-19 ha imposto notevoli limitazioni i molteplici ambiti, non ultima l'attività giudiziaria. Nell'ambito di quest'ultima, vi è stato un impatto diretto su una delle attività caratteristiche della medicina legale, vale a dire l'autopsia. Si illustrano i caratteri specifici delle due forme di accertamento necroscopico e le disposizioni di tipo sanitario che sono state emanate da agenzie internazionali di riferimento (CDC – USA) e dall'Istituto Superiore di Sanità e le soluzioni operative adottate dalla Medicina legale di Milano per ovviare alle limitazioni operative imposte dalla salvaguardia di profili sufficienti di sicurezza.
Premesse

L'epidemia in corso ha innescato limitazioni progressivamente crescenti che stanno coinvolgendo settori sempre più estesi di attività, secondo uno schema che, per molti aspetti, è radicato nell'area occidentale dalla metà del XIV secolo. In effetti, l'Eurasia ha conosciuto epidemie descritte sin dall'epoca classica, e ricorrenti. Certo, quella che più ha inciso nella memoria è la Morte Nera del XIV secolo ma molte altre si aggiunsero a complicare l'esistenza delle comunità e degli stati (febbre gialla, colera, tifo, sifilide, influenza, più recentemente HIV etc.); senza dimenticare quello che accadde ai nativi americani con l'arrivo di spagnoli e portoghesi (Roberts L. Diseases and deaths in the new word. (1989) Science. 246: 1245-7. Ramenofsky AF, Wilbur AK, Stone AC. Archaeology of Epidemic and Infectious Disease. (2003) World Archaeology, 35(2): 241-257; Portilla ML. Il rovescio della Conquista. Testimonianze azteche, maya e inca. Milano, 1974). Di fatto, dalla metà del XIV secolo in avanti, la riposta “sociale” all'epidemia è andata sempre più strutturandosi, così da generare risposte articolate, dapprima solo di natura politico-amministrativa (ad esempio, con la nascita della quarantena), poi (ma solo da meno di un secolo) anche di ordine medico. Da sempre, in ogni caso, le epidemie sono eventi con un'elevata potenzialità aggressiva sulle strutture sociali, oltre che sugli umani infettati.

In queste settimane, la successione degli eventi ha profondamente modificato molti aspetti della vita associata, come effetti satelliti della necessità di arginare la diffusione di un evento prettamente biologico com'è l'epidemia Covid-19.

Anche l'attività giudiziaria è stata investita da queste ricadute e, nell'ambito di questa, si è posto sin da subito la questione dell'attività autoptica, tanto più in uno dei settori medico-legali più grandi d'Italia.

La disciplina degli accertamenti autoptici

Nel nostro Paese, l'autopsia (che, incidentalmente, non ha una definizione normativa specifica) ha una doppia disciplina. La prima riguarda la sfera giudiziaria penale e trova inquadramento nell' art. 116 delle Disposizioni di attuazione del c.p.p., in base al quale: «Se per la morte di una persona sorge sospetto di reato, il procuratore della Repubblica accerta la causa della morte e, se lo ravvisa necessario, ordina l'autopsia secondo le modalità previste dall'articolo 360 del codice ovvero fa richiesta di incidente probatorio, dopo aver compiuto le indagini occorrenti per l'identificazione. Trattandosi di persona sconosciuta, ordina che il cadavere sia esposto nel luogo pubblico a ciò designato e, occorrendo, sia fotografato; descrive nel verbale le vesti e gli oggetti rinvenuti con esso, assicurandone la custodia. Nei predetti casi la sepoltura non può essere eseguita senza l'ordine del procuratore della Repubblica».

Vi è poi la disciplina prevista dal d.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, Regolamento di polizia mortuaria, che riguarda gli accertamenti a carattere prettamente sanitario, volti, in altri termini, a definire il meccanismo biologico del decesso. In particolare, l'art. 37 stabilisce i casi in cui si deve procedere al riscontro diagnostico, nei seguenti termini: «1). Fatti salvi i poteri dell'autorità giudiziaria, sono sottoposti al riscontro diagnostico, secondo le norme della legge 15 febbraio 1961, n. 83, i cadaveri delle persone decedute senza assistenza medica, trasportati ad un ospedale o ad un deposito di osservazione o ad un obitorio, nonché i cadaveri delle persone decedute negli ospedali, nelle cliniche universitarie e negli istituti di cura privati quando i rispettivi direttori, primari o medici curanti lo dispongano per il controllo della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici. 2). Il coordinatore sanitario può disporre il riscontro diagnostico anche sui cadaveri delle persone decedute a domicilio quando la morte sia dovuta a malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, o a richiesta del medico curante quando sussista il dubbio sulle cause di morte. 3). Il riscontro diagnostico è eseguito, alla presenza del primario o medico curante, ove questi lo ritenga necessario, nelle cliniche universitarie o negli ospedali dall'anatomopatologo universitario od ospedaliero ovvero da altro sanitario competente incaricato del servizio, i quali devono evitare mutilazioni e dissezioni non necessarie a raggiungere l'accertamento della causa di morte. (…)».

Questa procedura (a finalità solo sanitarie) può intersecare anche un percorso giudiziario e il coordinamento tra le due è disciplinato dall'art. 45 del d.P.R. n. 285/1990 nei seguenti termini: «Quando nel corso di una autopsia non ordinata dall'autorità giudiziaria si abbia il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico settore deve sospendere le operazioni e darne immediata comunicazione all'autorità giudiziaria».

Qualche commento preliminare è opportuno. Se si considerano le norme di riferimento richiamate, è agevole rilevare che entrambe includono la formula “causa di morte” ma il significato di questa nei due contesti normativi è differente.

Nel caso dell'autopsia giudiziaria, si deve considerare che l'autopsia è solo una delle possibilità di accertamento della causa della morte, obbligo che incombe al pubblico ministero quando dalla morte di un uomo scaturisce il sospetto di un reato. Ne consegue che il concetto di causa di morte ha un carattere prettamente giuridico ed è essenzialmente teso a individuare (o escludere, il che è lo stesso rispetto alle esigenze di indagine) le correlazioni normativamente richieste per l'esistenza di un reato. Ciò include l'interpretazione biologica dell'evento morte, ma non vi si esaurisce, poiché l'interpretazione in chiave biologica è solo uno dei passaggi necessari a ricostruire la sequenza causale (giuridicamente intesa). In altri termini, in una prospettiva penalistica, stabilire che il decesso di una persona è derivato da lesioni destruenti del parenchima cerebrale determinate da un proiettile non è sufficiente; infatti, sulla premessa di questo dato è necessario ricostruire se quel proiettile, ad esempio, è stato esploso dalla persona stessa (nel caso di un suicidio o di un accidente), oppure da un altro soggetto, dovendo a questo punto stabilire se si è trattato di un ferimento intenzionale oppure no; tutto questo senza dimenticare la necessità di acquisire una serie di altri elementi (sempre di provenienza biologica) che sono funzionali a ricostruire, e provare, una determinata sequenza di eventi, base dell'imputazione o del proscioglimento. Da queste esigenze deriva il carattere di procedura “aperta” dell'autopsia giudiziaria, nel senso di costituire un'attività modulabile operativamente in funzione delle specifiche esigenze investigative e probatorie.

Il riscontro diagnostico, per contro, ha una finalità molto più ristretta ed è limitato agli aspetti di carattere prettamente biologico, volti all'individuazione del processo morboso che ha portato al decesso per esigenze di tipo statistico-epidemiologico generale e, in alcuni casi, di una precoce diagnosi di processi morbosi che possono assumere un carattere diffusivo ed epidemico tale da richiedere misure di tipo preventivo generale. Di qui l'obbligo per il medico che effettua il riscontro diagnostico di denunciare (obbligatoriamente) alla autorità sanitaria i casi di decesso derivanti da alcune malattie, essenzialmente di tipo infettivo (previste in specifici elenchi). D'altro canto, le finalità specifiche del riscontro diagnostico motivano la limitazione operativa stabilita dall'art. 37 del d.P.R. 10 settembre1990 n. 285, che vieta le «…mutilazioni e dissezioni non necessarie a raggiungere l'accertamento della causa di morte …», divieto non sussistente per quanto riguarda l'autopsia giudiziaria.

Le disposizioni sanitarie in corso di epidemia COVID-19

L'attività settoria comporta un'esposizione a contaminanti biologici molteplici, virali e batterici in primo luogo. Di qui la (ovvia) necessità di adeguate protezioni del personale addetto. L'attività settoria, di fatto, si è andata strutturando nel corso del tempo così da prevedere come routine misure di protezione individuale e ambientale che si sono dimostrate del tutto efficaci anche rispetto ad agenti biologici pericolosi come HIV.

La questione che si è posta nelle ultime settimane sorge essenzialmente dall'incompleta conoscenza dei caratteri biologici di SARS-CoV-2, in particolare per quanto riguarda la sopravvivenza (e infettività) su materiale cadaverico e ambientale. Un testo di riferimento è stato prodotto dai Centers for Disease Control and Prevention (Collection and Submission of Postmortem Specimens from Deceased Persons with Known or Suspected COVID-19, March 2020 (Interim Guidance) - https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/hcp/guidance-postmortem-specimens.html) ed è stato ampiamente ripreso in varie sedi, non ultimo l'Istituto Superiore di Sanità che ha emanato una “Procedura per l'esecuzione dei riscontri diagnostici in pazienti deceduti con infezione da SARS-CoV2” (Rapporto ISS COVID-19 n. 6/2020).

È del giorno 1 aprile l'emanazione di una nota del Ministero della salute (0011285-01/04/2020-DGPRE-DGPRE-P. Direzione generale della prevenzione sanitaria. Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia COVID-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione).

La Interim Guidance citata, così come le indicazioni ministeriali (ed anche un documento comparso recentemente a cura della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica e da un'associazione medico-legale), definisce le linee di intervento per i casi di decessi di soggetti con Covid-19 diagnosticata (si rammenta che Covid-19 è la sigla della malattia causata dal virus SARS-CoV-2) oppure in accertamento.

La procedura ISS nei casi non diagnosticati ma sospetti raccomanda di effettuare entro due ore dal decesso un tampone orofaringeo e attendere l'esito prima di effettuare l'autopsia.

L'aspetto critico riguarda le caratteristiche della sala anatomica che deve rispecchiare standard di sicurezza infettivologica (BSL 3: 6-12 ricambi di aria/ora, pressione negativa, eliminazione dell'aria all'esterno o attraverso filtri HEPA in caso di ricircolo). Se non sono disponibili ambienti idonei e se non è possibile il trasferimento del cadavere in altra sede, vi è indicazione di procedere a biopsie polmonari a cielo chiuso, tampone orofaringeo e recupero dei liquidi corporei raccolti subito prima del decesso.

I problemi operativi e le possibili soluzioni

Tali restrizioni fanno sì che la possibilità di svolgere attività autoptica sia notevolmente ridotta. Si consideri che a Milano si dispone di una sola sala settoria idonea (presso l'ospedale L. Sacco).

Tradizionalmente, il riscontro diagnostico ha la funzione di controllo della diagnosi clinica, di permettere un approfondimento di tipo clinico scientifico per i soggetti deceduti in corso di ricovero e anche di identificare il meccanismo del decesso in tutti i casi di soggetti deceduti senza assistenza sanitaria o per i quali non vi sia possibilità di ricostruire il meccanismo di morte per via clinica; la maggior parte della casistica riguarda persone decedute al domicilio oppure giunte cadavere in un pronto soccorso. Gli accertamenti giudiziari possono essere in parte indipendenti da queste esigenze ma, in ogni caso, richiedono procedure autoptiche.

Di fatto, proprio per le restrizioni operative imposte (e non superabili nel breve periodo con interventi strutturali sulle dotazioni esistenti), l'attività autoptica ha subito un sostanziale arresto; la natura della casistica non permette una valutazione a priori di maggiore o minore probabilità di infezione in corso e, tanto meno, è plausibile il test virologico preliminare.

I maggiori problemi sorgono riguardo all'autopsia giudiziaria. Si deve considerare che nella norma richiamata l'autopsia è solo una delle scelte praticabili e che l'unico obbligo riguarda l'accertamento della causa della morte. Ciò implica che, almeno in alcuni casi, è possibile evitare procedure settorie, magari limitandosi a un esame esterno della salma. Ciò è particolarmente vero nel caso dei traumatismi maggiori (ad esempio, la precipitazione da grande altezza, gli investimenti da parte di mezzi pesanti) e, soprattutto, nei casi in cui vi è stata una degenza ospedaliera sufficientemente lunga da permettere indagini (di laboratorio, radiologiche etc.).

Nell'ambito di questo intervento è anche possibile acquisire materiale biologico per approfondimenti tossicologici e istologici (sia pure in modo limitato, mediante accessi minimi). Certo è che altri distretti corporei sono di fatto inesplorabili, in primo luogo la testa.

Pertanto, escludendo i casi in cui la documentazione clinica permette valutazioni precise sulla causa della morte oppure vi sono quadri lesivi destruenti, gli accertamenti oggi esperibili in condizioni minime di sicurezza sostanzialmente escludono la possibilità di giudizi in termini di certezza.

In concreto, di concerto con gli uffici, si è concordato di svolgere autopsie complete solo in situazioni molto selezionate (ad esempio, in caso di stringenti sospetti di omicidio volontario) e ricorrendo alle strutture idonee.

Conclusioni

Per evitare contestazioni sull'incompletezza dell'accertamento sarebbe del tutto auspicabile che per le situazioni di decesso all'esito di un ricovero sia disposto un accertamento ex art. 359 c.p.p. per la definizione della causa della morte, limitando l'intervento non ripetibile al solo esame esterno e all'eventuale acquisizione di minimi prelievi biologici, prescindendo da quesiti attinenti la causa di morte. Questi ultimi potrebbero trovare spazio solo nelle evenienze in cui il complesso lesivo sia manifesto con il solo esame del cadavere (senza accessi in profondità).

Si tratta con ogni evidenza di soluzioni poco soddisfacenti ma, nelle condizioni attuali, sono gli unici accorgimenti che consentono valutazioni essenziali per l'inquadramento giuridico essenziale mantenendo comunque criteri di garanzia.

Queste circostanze rendono anche evidente la necessità di un adeguamento delle strutture che da quasi un secolo hanno visto l'avvicendarsi di eventi drammatici; sempre, anche in condizioni avverse, sono state assicurate risposte tecnicamente adeguate e l'attuale contingenza deve essere motivo di potenziare le capacità d'intervento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.