Danno di immagine alla PA: la disciplina anti-assenteisti è incostituzionale
16 Aprile 2020
Lo ha affermato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 61/20, depositata il 10 aprile.
Il caso. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 55-quater, comma 3-quater, ultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001 (c.d. T.U. pubblico impiego), inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 116/2016, in attuazione dell'art. 17, comma 1, lett. s), della n. 124/2015 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). La questione è stata sollevata nell'ambito del giudizio di responsabilità promosso contro una dipendente pubblica che aveva falsamente attestato la propria presenza in servizio. La Corte dei Conti, con sentenza non definitiva, ha ritenuto fondata l'azione risarcitoria promossa nei confronti della convenuta, condannandola al risarcimento del danno patrimoniale derivante dalla percezione indebita della retribuzione, nonché del pregiudizio recato all'immagine della pubblica amministrazione di appartenenza. Le censure del giudice a quo. Il rimettente osserva come la previsione normativa applicabile alla fattispecie presenterebbe valenza sanzionatoria e deterrente al fine di rendere efficace il contrasto dei comportamenti assenteistici. Tale impostazione determinerebbe una violazione dell'art. 76 Cost., atteso che il decreto delegato, in base ai principi ed ai criteri direttivi della delega conferita al Governo, non avrebbe potuto incidere sulla disciplina dell'azione di responsabilità amministrativa, né tanto meno avrebbe potuto porre regole finalizzate a far assumere ai criteri di computo del danno all'immagine una valenza sanzionatoria, anche in ragione della natura di mero “riordino” espressamente prevista dalla legge delega. La Corte dei conti ritiene violato, altresì, l'art. 3 Cost., anche in combinato disposto con gli artt. 2 e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU e all'art. 4 del Protocollo n. 7 di detta Convenzione, in quanto la norma denunciata obbligherebbe il giudice contabile a infliggere una condanna sanzionatoria senza tener conto dell'offensività in concreto della condotta posta in essere: l'obbligatorietà del minimo sanzionatorio, imponendo al giudice di condannare il responsabile nella misura non inferiore a sei mensilità dell'ultimo stipendio in godimento, gli impedirebbe di dare rilevanza ad altre circostanze peculiari e caratterizzanti il caso concreto, anche in presenza di condotte marginali e tenui che avessero prodotto un pregiudizio minimo, violando sia il principio di proporzionalità che quello della gradualità sanzionatoria.
La Consulta ricostruisce il quadro normativo. Il danno all'immagine, frutto di un'elaborazione giurisprudenziale del giudice contabile come categoria particolare del danno erariale, è stato codificato dall'art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge n. 78/2009 e s.m.i.. Relativamente alla particolare fattispecie del danno all'immagine prodotto in conseguenza di indebite assenze dal servizio, la legge n. 15/2009 ha conferito al Governo la delega a modificare la disciplina delle sanzioni disciplinari e della responsabilità dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, al fine di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici, contrastando i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo. In attuazione di detta delega, il d.lgs. n. 150/2009 ha introdotto nel T.U. del pubblico impiego l'art. 55-quinquies (False attestazioni o certificazioni). In seguito, la legge delega n. 124/2015 ha previsto che i decreti legislativi per il riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche fossero adottati introducendo, tra l'altro, norme finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare. In attuazione di tale delega, il d.lgs. n. 116/2016 ha inserito il comma 3-quater all'art. 55-quater d.lgs. n. 165/2001, volto a sanzionare la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità. Il riordino delle norme sul procedimento disciplinare non permette l'introduzione di nuove norme sanzionatorie. A differenza di quanto avvenuto con la precedente legge n. 15/2009 – con la quale il legislatore aveva espressamente delegato il Governo a prevedere, a carico del dipendente responsabile, l'obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che del danno all'immagine subìti dall'amministrazione – la legge n. 124/2015 non contiene una simile delega. L'art. 17, comma 1, lett. s), di tale legge, infatti, prevede unicamente l'introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti, finalizzate ad accelerare ed a rendere certi i tempi del procedimento scaturente dall'esercizio dell'azione disciplinare. Quindi, la materia delegata è unicamente quella attinente al procedimento disciplinare, senza che possa ritenersi in essa contenuta l'introduzione di nuove fattispecie sostanziali in materia di responsabilità amministrativa. In proposito, la Consulta ha affermato più volte che la delega per il riordino concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai princìpi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante (cfr., ex multis, Corte Cost., n. 94, n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80 del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010). Pertanto, il giudice delle leggi ritiene che non possa ritenersi compresa nella legge delega la materia della responsabilità amministrativa e, in particolare, la specifica fattispecie del danno all'immagine arrecato dalle indebite assenze dal servizio dei dipendenti pubblici. Risulta, quindi, inequivocabile il contrasto con l'art. 76 Cost. della disposizione censurata nella parte in cui prevede una nuova fattispecie di natura sostanziale. La disciplina censurata viene, dunque, dichiarata incostituzionale.
(FONTE: dirittoegiustizia.it) |