Quasi 24 ore in treno: il maltempo non giustifica l'azienda e il viaggiatore va risarcito
17 Aprile 2020
23 ore trascorse in treno: un incubo, più che un viaggio. Legittimo il risarcimento in favore del viaggiatore, costretto a rimanere sul convoglio praticamente per un giorno intero e senza assistenza adeguata (Cassazione, ordinanza n. 7754/20, sez. III Civile, depositata l'8 aprile).
Notte. A finire sotto accusa è Trenitalia. Ciò a seguito della disavventura vissuta, nel febbraio del 2012, da un viaggiatore: quest'ultimo, difatti, «ha viaggiato su un treno che è giunto a destinazione dopo una notte di percorrenza» e con circa 23 ore di ritardo, a causa «di avverse quanto prevedibili condizioni meteorologiche», e «senza alcuna assistenza in termini di luce, riscaldamento e coperte, cibo e acqua». Conseguente la richiesta di risarcimento avanzata dal cliente, richiesta legittima secondo i giudici di merito, nonostante i legali di Trenitalia abbiano richiamato «l'improvviso peggioramento delle pur cattive condizioni meteorologiche inizialmente previste» e abbiano sostenuto perciò «l'assenza di colpa per aver fatto quanto possibile nelle concrete circostanze». Per il Giudice di Pace è acclarata «l'oggettività del ritardo e dei disagi, in uno alla mancanza della dovuta assistenza». E per i Giudici del Tribunale «i bollettini meteorologici non lasciavano adito a dubbi sulla prevedibilità delle condizioni di tempo».
Lesione. Nel contesto del ‘Palazzaccio', però, i legali dell'azienda ferroviaria ribadiscono la tesi della assenza di colpa per la disavventura vissuta dal viaggiatore. A questo proposito, viene chiarito che «il trasporto non avrebbe potuto essere soppresso, né il ritardo e i disagi avrebbero potuto imputarsi alla società», anche perché, aggiungono i legali, «l'inesatto adempimento del servizio di trasporto è stato determinato da uno stato di calamità naturale, come tale non ragionevolmente ipotizzabile». E a questo proposito viene osservato che all'epoca dei fatti «vi era stato un imprevedibile quanto determinante peggioramento delle condizioni meteorologiche inizialmente previste», e che comunque la società «aveva assicurato riscaldamento, per quanto era stato possibile ovvero nei limiti della erogazione elettrica disponibile, e cibo, nei limiti delle scorte degli esercizi commerciali reperibili durante il percorso, così come mezzi alternativi di trasporto su gomma, anch'essi infine impossibilitati a raggiungere in tempi minori la destinazione per le stesse ragioni», cioè l'emergenza meteo. Per i Giudici della Cassazione, invece, le valutazioni compiute in Tribunale sono assolutamente corrette, poiché si è potuto constatare «l'oggettività del ritardo di quasi ventiquattro ore e l'omissione di ogni adeguata assistenza», e allo stesso tempo si è dovuto prendere atto che, all'epoca, «i bollettini metereologici risultavano aver chiarito in misura sufficiente – al di là quindi delle pur possibili evoluzioni ulteriormente peggiorative –» la situazione, tanto da «dover indurre l'esercente il servizio di trasporto ferroviario a predisporre, con precauzionale diligenza, misure organizzative di assistenza, indipendentemente, cioè, dalla possibilità di porle in essere, in forma ridotta, una volta concretizzata la situazione di emergenza, e ciò, dunque, pur non potendo cancellare la tratta di quel giorno». Per quanto concerne, infine, «le invocate normative, nazionali e comunitarie sulle tutele indennitarie cui è tenuto il prestatore del servizio di trasporto ferroviario», esse, chiariscono i giudici, «sono dirette ad assicurare forme di indennizzo per le ipotesi di cancellazione o interruzione o ritardo nel servizio, ma non a impedire che, qualora ne sussistano i presupposti, sia accolta la richiesta giudiziale di risarcimento di ulteriori pregiudizi tutelati e lesi». E ancora più in dettaglio, con riferimento al danno non patrimoniale, «la tutela riparatoria del danno non patrimoniale, estesa a situazioni giuridiche soggettive di rango costituzionale lese senza condotte integranti reato, può nel caso essere avallata proprio perché, come osservato dal pubblico ministero, ciò che sostanzialmente era stato allegato risponde alla tutela della libertà di autodeterminazione e di movimento che trova riconoscimento nella superiore normativa della Carta». E in questo caso correttamente si è ritenuto «il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative in abrasive condizioni di carenza di cibo, necessario riscaldamento e possibilità di riposare» come «un'offesa effettivamente seria e grave all'individuabile e sopra rimarcato interesse protetto, tale da non tradursi in meri e frammentati disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione».
Fonte: www.dirittoegiustizia.it
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