Rilevanze dell'errore diagnostico sulla causa del decesso: causalità omissiva secondo la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza

Vittorio Nizza
20 Aprile 2020

In tema di responsabilità medica il giudice che ritenga sussistente il rapporto di causalità tra omissione ed evento, in presenza di una consulenza del pubblico ministero...
Massima

In tema di responsabilità medica il giudice che ritenga sussistente il rapporto di causalità tra omissione ed evento, in presenza di una consulenza del pubblico ministero che indichi un coefficiente medio basso di probabilità statistica circa l'esito salvifico della condotta doverosa omessa nel caso considerato, deve indicare le ragioni tecnico scientifiche per le quali ritiene di elevare la percentuale di riuscita dell'intervento chirurgico indicata dal consulente, in considerazione delle particolarità del caso concreto. (In applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio al giudice civile, per vizio di motivazione in ordine al nesso causale, la sentenza di condanna per omicidio colposo di un radiologo che aveva omesso di rilevare una lesione al cuore in una persona accoltellata, in una fattispecie in cui il consulente del pubblico ministero aveva ritenuto, che ove tale lesione fosse stata rilevata, il paziente avrebbe potuto essere sottoposto a un intervento chirurgico dalle scarse probabilità di successo, quantificate dal consulente tecnico della difesa nell'ordine del 40-50%, e in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto superiori tali probabilità solo in considerazione della giovane età della vittima, delle sue buone condizioni di salute, e della non particolare complessità dell'intervento).

Il caso

A seguito del decesso di un giovane per ferita da arma da taglio veniva imputato per omicidio colposo il radiologo del pronto soccorso presso il quale il giovane si era recato e che aveva eseguito i primi esami sulla ferita. Il medico infatti all'esito della Tac torace-addome eseguita non aveva rilevato la presenza di lesioni interne, emorragie o versamenti. Il paziente, pertanto era stato trasferito dal reparto di rianimazione a quello di medicina generale ove era deceduto poco dopo. La causa della morte era risultata essere un tamponamento cardiaco cagionato dalla fuoriuscita di sangue dalla ferita da taglio e punta all'emitorace sinistro, poiché la ferita era stata così profonda da determinare una lesione ventricolare del cuore, con conseguente emopericardio, ossia versamento di sangue nel pericardio, non rilevato dal radiologo.

Il medico veniva imputato per la morte del paziente per colpa, consistita in negligenza ed imperizia, per l'erronea valutazione dell'esame radiografico avendo omesso di rilevare, pur risultando un evidente emopericardio, la lesione cardiaca ed il versamento ematico, così condizionando negativamente il percorso diagnostico e terapeutico del paziente che avrebbe dovuto essere sottoposto ad intervento chirurgico che ne avrebbe assicurato delle possibilità di vita, anche se non elevate.

Il medico veniva condannato in primo e secondo grado e proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

La Corte nella sentenza in oggetto torna sulla problematica che rappresenta uno dei temi centrali nelle ipotesi condotte omissive, come quelle che tipicamente si verificano nell'ambito della responsabilità medica, ossia dell'accertamento del nesso causale. In particolare evidenza la Corte come nell'ambito della causalità omissiva valga la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza, pertanto il giudice nella sua valutazione non può basarsi solo su informazioni statistiche generalizzate, ma deve tenere in considerazione tutte le peculiarità del caso concreto.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in esame la Corte è chiamata a valutare possibili profili di responsabilità penale in capo al personale sanitario del pronto soccorso che ebbe ad accogliere un giovane paziente pervenuto per ferita da arma da taglio. In particolare, il paziente aveva riportato una ferita profonda da taglio e punta nella regione base emitoracica anteriore sinistra. Giunto al pronto soccorso era stato sottoposto all'esame radiologico Tac torace-addome. Il medico radiologo – imputato poi per omicidio colposo – aveva erroneamente valutato l'esito dell'esame non rilevando la lesione cardiaca e il versamento ematico già presenti.

Il paziente pertanto era stato trasferito, con referto negativo della Tac in relazione alla presenza di eventuali lesioni interne, emorragie o versamenti, al reparto di medicina generale con una prognosi di 25 giorni. Nella notte, però, era deceduto a seguito di crisi respiratoria e arresto cardiaco.

La causa della morte era stata accertata nel tamponamento cardiaco cagionato alla fuoriuscita di sangue dalla ferita: la ferita, infatti, era stata così profonda da andare al determinare una lesione ventricolare destra del cuore e la lenta fuoriuscita del sangue poi coagulatosi aveva creato un tampone che era andato a comprimere il cuore con conseguente shock cardiaco da cui era derivato il decesso.

La lesione cardiaca e il versamento ematico erano già evidenti al momento dell'effettuazione dell'esame radiografico, ma erano stati erroneamente valutati del medico, al quale pertanto veniva imputata la morte del paziente.

L'erronea valutazione del medico, infatti, secondo la ricostruzione accusatoria, aveva determinato anche le successive scelte diagnostiche e terapeutiche, così che il paziente invece di essere sottoposto immediatamente ad un intervento chirurgico, che avrebbe potuto garantirgli la sopravvivenza, era stato mandato in un reparto di medicina generale.

La valutazione dalla Corte in merito alla suddetta vicenda si incentra pertanto sulla verifica della sussistenza del nesso causale tra la condotta negligente ed imperita del radiologo e il decesso del paziente.

I giudici di prime cure (sia in primo grado che la Corte di Appello) infatti, avevano ritenuto provata la penale responsabilità del medico facendo proprie le conclusioni del consulente tecnico della difesa secondo il quale la probabilità di riuscita dell'intervento chirurgico, se fosse stato praticato all'esito della Tac, sarebbero state del 40/50%. Inoltre, i giudici di merito avevano ritenuto che le probabilità di riuscita dell'intervento sarebbero state nel caso di specie più alte in considerazione della giovane età del paziente (21 anni) delle sue buone condizioni di salute e dell'assenza di patologie in atto, nonché della non particolare difficoltà dell'intervento per uno specialista del settore.

La Corte però ha ritenuto che i giudici di merito non avessero correttamente applicato in principi giurisprudenziali in materia di causalità omissiva. Afferma la Cassazione come, per giurisprudenza ormai constante, in materia di causalità omissiva debba essere applicata la regola di giudizio della ragionevole, umana certezza. I giudici nel compiere tale valutazione devono tener conto da una parte di tutte le informazioni di carattere generalizzante afferenti al coefficiente probabilistico che assiste il carattere salvifico delle misure doverose appropriate; e dall'altra di tutte le contingenze del caso concreto, adeguando dunque le informazioni statistiche generalizzanti al caso concreto.

La condanna potrà essere pronunciata solo ove “il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità che, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, siano remote, nel senso che l'effettiva realizzazione di dette eventualità, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali”.

Punto di partenza per la valutazione del nesso causale non può che essere la condotta attiva od omissiva contestata all'agente, ossia quella cristallizzata nel capo di imputazione. Il capo di imputazione infatti delinea e delimita la specifica sequenza fenomenologica nell'ambito della quale si assume che la condotta abbia determinato la causazione dell'evento dannoso.

Secondo la Cassazione è proprio rispetto a tale sequenza fenomenologica che deve avvenire la valutazione del nesso causale. Il ragionamento controfattuale deve essere svolto tenendo conto della specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, ad impedire l'evento lesivo, così come realizzatosi, con un elevato grado di credibilità razionale.

Nel caso di specie, evidenziano i supremi giudici, ciò non era avvento, in quanto non erano state tenute nella dovuta considerazione tutte le circostanze concrete in grado di incidere sul coefficiente probabilistico della portata salvifica della condotta doverosa omessa. In particolare, non erano state valutate alcune dinamiche legate alla struttura stessa dell'ospedale presso il cui pronto soccorso il paziente si era recato. Tale struttura sanitaria, infatti, non era dotata di un reparto specialistico di cardiochirurgia, per cui il paziente avrebbe dovuto essere trasferito presso un'altra struttura attrezzata. In particolare, i giudici di merito avrebbero dovuto tener conto anche della mancanza di un reparto specialistico di cardiochirurgia presso l'ospedale, della possibilità di allertare un centro specializzato a seguito del rilievo dell'emopericardio dovuto alla ferita, della disponibilità di un'ambulanza e il tempo del tragitto, della possibilità di organizzare ad horas un'equipe operatoria per intervenire in tempi brevi, delle probabilità non elevate di riuscita dell'eventuale intervento.

D'altro canto, sottolinea ancora la Corte, lo stesso consulente tecnico del Pubblico Ministero aveva affermato che le probabilità di successo dell'intervento, considerate le problematiche connesse alla possibilità che lo stesso fosse corretto e tempestivo, risultavano essere piuttosto scarse, con probabilità di sopravvivenza non elevate.

I giudici di prime cure, infine, a parere della suprema Corte, non avevano correttamente applicato nemmeno i principi relativi al libero convincimento del giudice. Infatti, sebbene la giurisprudenza costante consenta al giudice di scegliere tra le diverse tesi prospettate dai periti e dai consulenti tecnici di parte, occorre in ogni caso che fornisca un'adeguata motivazione delle ragioni della scelta operata. Nel caso di specie, invece, i giudici di merito non avevano motivano le ragioni che li aveva portati a far propria la tesi dei consulenti dell'accusa e soprattutto non avevano indicato le ragioni tecnico scientifiche che avrebbero dovuto giustificare la loro scelta di elevare la percentuale di riuscita dell'intervento rispetto a quella indicata dal consulente stesso, ma si erano limitati a richiamare apoditticamente le giovani condizioni del paziente.

La Corte pertanto aveva annullato la sentenza senza rinvio essendo intervenuta la prescrizione del reato. Sotto il profilo degli effetti civili, aveva annullato la sentenza rinviandolo per un nuovo giudizio che tenesse conto delle valutazioni effettuati in relazione alla sussistenza del nesso di causa tra la condotta del ricorrente e l'evento mortale.

Osservazioni

Il caso in esame riguardava il decesso del paziente conseguente alla condotta imperito o negligente di un medico radiologo che nell'esecuzione dell'esame radiologico al torace non aveva correttamente valutato la profondità della ferita e la conseguente lesione cardiaca, nonché la presenza di un versamento ematico. Tale errore diagnostico aveva comportato la mancata richiesta da parte del medico stesso di un intervento chirurgico e il ricovero del paziente in un reparto di medicina generale, ove era deceduto dopo poche ore proprio a causa dell'emopericardio.

La valutazione delle Corte pertanto si incentra sull'analisi del nesso causale tra la condotta colposa del medico e l'evento morte, ossia se una corretta diagnosi all'esito dell'esame radiografico - con refertazione positiva delle lesioni interne e del versamento ematico – e la conseguente richiesta dell'intervento chirurgico avrebbe potuto assicurare delle possibilità di vita al paziente e in quale percentuale.

Nel capo di imputazione contestato al sanitario già si dava atto che l'intervento chirurgico avrebbe assicurato al paziente delle possibilità di vita, ancorché non elevate.

La sentenza pertanto ribadisce gli approdi giurisprudenziali in materia di causalità omissiva. Secondo la giurisprudenza ormai costante occorre infatti operare attraverso il c.d. giudizio controfattuale ossia ipotizzando come avvenuta la condotta omessa verificare se l'evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio. Per poter proceder in tal senso occorre individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell'evento, trattandosi di ipotesi di responsabilità medica, verificare tutto il decorso della patologia. Inoltre la regola di giudizio nell'ambito della causalità omissiva deve essere quella ragionevole, umana certezza. Per valutare le probabilità salvifiche della condotta omessa occorre quindi tener conto non solo del coefficiente statistico determinato dalle leggi scientifiche di copertura, ma anche di tutte le peculiarità del caso concreto che su questo possono influire.

Nel caso di specie la Corte ha considerato le possibilità di salvezza che il paziente avrebbe avuto se fosse stato sottoposto all'intervento chirurgico non eseguito a causa dell'errata diagnosi del radiologo: la cui possibilità di riuscita risultava invero non elevatissima, ma comunque possibile. Ciò che però ha influito sull'analisi della Corte sono state le considerazioni riguardanti tutti gli aspetti che hanno caratterizzato il caso concreto, andando a considerare come particolarmente rilevante anche le specificità della struttura ospedaliera ove il medico operava. La stessa infatti, è emerso nel corso dell'istruttoria, non era dotata del reparto di cardiochirurgia ove l'intervento avrebbe dovuto essere eseguito. Il paziente, quindi, avrebbe dovuto essere trasferito presso un'altra struttura con le conseguenti problematiche, sia da un punto di vista organizzativo che di tempistiche, relative all'organizzazione del trasporto e della predisposizione di una adeguata equipe medico-chirurgica. Tali aspetti sono stati ritenuti essenziali valutare la percentuale di successo dell'operazione, riducendone così portata.

La Corte, invece, ha ritenuto di non condividere le valutazioni dei giudici di merito che avevano, invece, effettuato un ragionamento opposto considerando incidenti nella valutazione della potenzialità salvifiche dell'operazione chirurgica aspetti relativi alle caratteristiche personali del paziente, quali la giovane età, le buone condizioni generali di saluti: dati però questi non supportati da evidenze scientifiche o quanto meno non riportate nelle motivazioni delle sentenze.