Aspetti critici sulla decorrenza dei termini per impugnare le delibere condominiali durante l'emergenza COVID-19
20 Aprile 2020
Il quadro normativo
La diffusione del virus Covid-19 ha indotto il legislatore italiano ad approvare una legislazione emergenziale che, allo scopo di contenere e neutralizzare il preoccupante diffondersi del contagio, ha imposto un radicale cambiamento nell'ordinario stile di vita dei cittadini, con ricadute profonde non solo per quest'ultimi, ma anche per tutti i ceti produttivi: imprenditori, professionisti, lavoratori dipendenti ed autonomi, pubblica amministrazione. In tale scenario, anche il Condominio è costretto a misurarsi con un insolito quadro normativo. Difatti, in presenza di una sospensione ex lege, disposta per ragioni di ordine igienico-sanitario, una convocazione eseguita nel periodo di vigenza della normativa emergenziale, così come, in ogni caso, un eventuale deliberato assunto nel medesimo periodo - pur in presenza di una convocazione eventualmente regolare, perché perfezionatasi in data anteriore a quella di entrata in vigore del d.l. n. 6/2020 - sarebbero affetti da radicale nullità, per contrarietà a norma imperativa (art. 1418 c.c.); giacché l'assemblea, per effetto della sopravvenienza delle disposizioni innanzi richiamate, non potrebbe svolgersi. Ed infatti, tenendo conto del divieto di allontanamento dal domicilio o dalla dimora dei soggetti in quarantena o contagiati (art.1, comma 1, lett. a,d.p.c.m. 1 marzo 2020, nonché art. 1, comma 1, lett. b, d.p.c.m. 8 marzo 2020, esteso a tutto il territorio nazionale dall'art. 1, comma 1, d.p.c.m. 9 marzo 2020). In tali ipotesi, dunque, lo svolgimento dell'assemblea risulterebbe viziato per effetto della compromissione della facoltà del condomino alla partecipazione personale alla riunione, diritto indisponibile finanche da un regolamento contrattuale ovvero da una deliberazione assunta all'unanimità (art. 72 disp. att. c.c.), senza che, peraltro, l'art. 67 disp. att. c.c. sia stato interessato da alcun intervento manipolativo, espresso ovvero implicito (non potendo una normativa speciale - quale quella condominiale - essere abrogata implicitamente da una norma generale, in virtù del principio lex posterior non derogat priori speciali): effetto di tale vizio “a monte” sarebbe, dunque, la nullità “a valle” della delibera. La questione - come sostenuto da alcuni autori - appare, poi, di chiara soluzione, in senso ostativa allo svolgimento dell'assemblea, ove si consideri che la partecipazione alla riunione non rientra in alcune delle cause (comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, spostamenti per motivi di salute) previste dall'art. 1, comma 1, lett. a, d.p.c.m. 8 marzo 2020 per lo spostamento dalla propria residenza, dimora o domicilio e confermate dall'art. 1, comma 2, lett. a, d.l. n. 19/2020. Come evidente, nessuno dei decreti-legge o dei decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri adottati dall'inizio dell'emergenza sanitaria si occupa espressamente della materia condominiale: sicché ogni conclusione relativa a tale precipua materia va ricavata mediante il ricorso ai principi generali dell'ordinamento, anche di carattere interpretativo e, in particolare, riguardo alla questione legata ai termini previsti dall'art. 1137 c.c. Su tale ultimo aspetto, il presente focus mira a fornire una lettura articolata dei decreti intervenuti delle c.d. Zone Rosse (prima parziale e poi totale) e, in particolare, dell'ultimo “Decreto Salva Italia”. L'interrogativo riguarda due aspetti fondamenti: le tutele per i condomini assenti o dissenzienti nei confronti delle delibere assunte prima dell'emergenza e i possibili scenari del post Covid-19. La sospensione dei termini sostanziali durante la legislazione emergenziale dei precedenti avvenimenti
Prima dell'attuale emergenza da Covid-19, in tema di sospensione dei termini sostanziali e processuali, lo Stato era intervenuto tempestivamente in altre situazioni di emergenza con una particolare tecnica legislativa. a) Terremoto dell'Aquila del 2009 In tale situazione, il Governo con il d.l. n. 39/2009 - recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici nella regione Abruzzo nel mese di aprile 2009 e ulteriori interventi urgenti di protezione civile” - con l'art. 5, comma 3, d.l. n. 39/2009 aveva previsto che: “Per i soggetti che alla data del 5 aprile 2009 erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o di funzione nei comuni e nei territori individuati con i provvedimenti di cui al comma 1 (regione Abruzzo), il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 6 aprile 2009 al 31 luglio 2009 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. È fatta salva la facoltà di rinuncia espressa alla sospensione da parte degli interessati. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine del periodo. Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi, escluse le procedure di esecuzione coattiva tributaria, e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi amministrativi e giurisdizionali”. b) Terremoto del Centro Italia del 2016 Anche in tale periodo emergenziale, il Governo, con il d.l. n. 189/2016 convertito con modificazioni dalla l. 15 dicembre 2016, n. 229 (in Gazzetta ufficiale 17 dicembre 2016, n. 294) - recante “Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma del 24 agosto 2016” - con l'art. 49, comma 4, d.l. n. 189/2016 (con la medesima tecnica normativa adoperata con il d.l. n. 39/2009) aveva previsto che: “Per i soggetti che alla data del 24 agosto 2016 erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o di funzione nei Comuni di cui all'allegato 1, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 24 agosto 2016. Fino al 31 maggio 2017 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine del periodo. Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi amministrativi e giurisdizionali”. Nell'emergenza Coronavirus, è stato dapprima, con lodevole tempestività, emesso il d.l. n. 9/2020 (limitatamente alle c.d. Zone Rosse della Lombardia ed alle quattordici Province sino alla marchigiana Pesaro). Dopo alcuni giorni, il Governo Conte firmava il d.p.c.m. del 9 marzo 2020 recante nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull'intero territorio nazionale. Successivamente, grazie ad un intervento ad ampio spettro (dipanatosi per ben 127 articoli), con il d.l. n. 18/2020 - recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19” (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, serie generale, n. 79 del 17 marzo 2020), si è tentato di contenere gli effetti negativi scaturenti dall'epidemia intervenendo nei più diversificati settori della società, dai trasporti all'agricoltura, dall'industria allo sport, dallo spettacolo alla cultura, dalla sanità all'università, dalla scuola agli obblighi tributari e, non ultimo, in tema di esercizio della giurisdizione. In tema di sospensione dei termini, quest'ultimo provvedimento ha suscitato alcuni dubbi interpretativi in quanto differente (come tecnica legislativa) rispetto al precedente d.l.2 marzo 2020 n. 9. Difatti, in tema di sospensione dei termini: a) l'art. 10, comma 4, d.l. n. 9/2020 (limitatamente alle c.d. Zone Rosse della Lombardia ed alle quattordici province sino alla marchigiana Pesaro), disponeva che: "Per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attivita' lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all'allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1° marzo 2020, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove la decorrenza del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, il termine decorre dalla fine del medesimo periodo. Sono altresì sospesi, per lo stesso periodo e nei riguardi dei medesimi soggetti, i termini relativi ai processi esecutivi e i termini relativi alle procedure concorsuali, nonché i termini di notificazione dei processi verbali, di esecuzione del pagamento in misura ridotta, di svolgimento di attività difensiva e per la presentazione di ricorsi giurisdizionali”. b) l'art. 83, d.l. n. 18/2020 (esteso a tutto il territorio nazionale): - comma 2: Dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (successivamente, con il Decreto del 6 aprile 2020, nel settore della giustizia, il Governo ha previsto lo spostamento, dal 15 aprile all'11 maggio, del termine relativo al rinvio d'ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari; nonché, ancora una volta, la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali); - comma 8: Per il periodo di efficacia dei provvedimenti di cui ai commi 5 (misure che possono attuare i capi degli uffici giudiziari) e 6 (misure organizzative) che precludano la presentazione della domanda giudiziale è sospesa la decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti medesimi. - comma 20: Per il periodo dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 “sono altresì sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, nei procedimenti di negoziazione assistita ai sensi del d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, nonché in tutti i procedimenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie regolati dalle disposizioni vigenti, quando i predetti procedimenti siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscono condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Sono conseguentemente sospesi i termini di durata massima dei medesimi procedimenti. Termini sostanziali nel periodo Covid-19: aspetti critici sulla tecnica normativa utilizzata dal Governo
Secondo i primi commentatori, a differenza di quanto scritto nel d.l. n. 9/2020, il comma 8 dell'art. 83 non dispone seccamente la sospensione ex lege dei termini sostanziali comportanti “prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto”, come sarebbe stato logico, ma in maniera difficilmente comprensibile aggancia la (possibile) sospensione dei ridetti termini a due condizioni: a) che siano stati adottati i provvedimenti organizzativi che spettano ai capi degli uffici (e solo durante il periodo di loro efficacia); b) che si tratti di diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento di attività processuali precluse. In proposito, secondo l'interpretazione fornita dalla dottrina, appare del tutto “complessa la determinazione dei diritti sostanziali cui la norma si riferisce, i quali, stando al dettato normativo, sono esercitabili esclusivamente mediante il compimento delle attività precluse dai provvedimenti assunti dal capo dell'ufficio. L'avverbio utilizzato esclusivamente lascia arguire che deve trattarsi di diritti relativamente ai quali gli effetti interruttivo della prescrizione e impeditivo della decadenza possono essere associati soltanto alla domanda giudiziale, essendo allo scopo irrilevanti eventuali atti stragiudiziali”. Dunque, secondo quanto esposto, la prescrizione e la decadenza resterebbero sospese solo a condizione che siano stati assunti provvedimenti organizzatori da parte dei capi degli uffici e per la durata dei detti provvedimenti. Questa conclusione, come sostenuto anche dalla Corte di Cassazione (relazione n. 28 del 1° aprile 2020), si scontra però con la generalizzata previsione - contenuta nel comma 2 dell'art. 83, d.l. n. 18/2020 - a tenore del quale sono sospesi tutti i termini processuali compresi quelli necessari per promuovere un giudizio. Proprio su tale aspetto, con la relazione in esame, la Suprema Corte ha evidenziato che le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24822), occupandosi dell'azione revocatoria, hanno affermato che la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi, ove il diritto - come nel caso della revocatoria appunto (in tal senso, Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13302) -non possa farsi valere se non con un atto processuale. Pertanto, ferma la sospensione dei termini sostanziali di prescrizione e decadenza nella fase di sospensione ex lege di tutti i termini processuali (dal 9 marzo al 15 aprile), come analizzato dalla relazione della Suprema Corte, si potrebbe sostenere che soltanto per il periodo successivo (dal 16 aprile al 30 giugno), la sospensione dei medesimi termini sostanziali potrà essere invocata, da chi ne abbia interesse, in presenza delle condizioni sopra esposte: quando i capi degli uffici giudiziari abbiano assunto misure organizzative che precludano, appunto, il compimento di quegli atti che necessariamente occorre compiere per interrompere la prescrizione o la decadenza (si pensi appunto all'atto di citazione in revocatoria). Aspetti pratici sulla sospensione dei termini sostanziali e le regole di Poste italiane
Attraverso una tecnica normativa complessa, secondo le prime interpretazioni, la (possibile) sospensione dei termini (prescrizioni e decadenze), potrebbe avvenire solo a due condizioni: che siano stati adottati i provvedimenti organizzativi che spettano ai capi degli uffici (e solo durante il periodo di loro efficacia); che si tratti di diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento di attività processuali precluse. In mancanza di ulteriori elementi utili per la fattibilità di questa interpretazione, dobbiamo porci alcuni interrogativi: caso in cui (effettivamente) la sospensione del Covid-19 non riguardi i termini sostanziali, ad esempio, il caso della denuncia delle difformità e dei vizi dell'opera (art. 1667 c.c.). A tal proposito, sappiamo che la decadenza è la perdita di un diritto per il suo mancato esercizio entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal contratto. Nel caso delle norme in tema di vendita ed appalto, il termine di decadenza è ricollegato alla denunzia (o denuncia), cioè alla segnalazione del vizio o difetto. La decadenza non può essere interrotta o sospesa. La prescrizione (ci si riferisce a quella estintiva) è la perdita di un diritto per la prolungata inazione del suo titolare. Nel caso delle norme in tema di vendita ed appalto, il termine di prescrizione è ricollegato al tempo massimo entro il quale instaurare la domanda giudiziale (ad esempio per i danni). La prescrizione può essere interrotta o sospesa. I due termini (decadenza e prescrizione) sono interdipendenti, nel senso che, ove soltanto uno di essi non sia rispettato, la responsabilità delle diverse figure responsabili nei confronti dell'acquirente non può essere fatta valere (Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14561). In particolare, a norma del comma 2 dell'art. 1667 c.c., “il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta”. La natura di termine decadenziale fa sì che esso non sia suscettibile di sospensione o di interruzione, né sia rilevabile d'ufficio in giudizio. La denuncia è un atto a forma libera, salvo patto contrario, ma è evidente come l'onere della prova circa la sua tempestiva effettuazione ricada sul committente. Riguardando vizi occulti, non è richiesto che essa abbia un contenuto particolarmente analitico. Si ritiene, però, che debba contenere quanto meno una sintetica indicazione dei vizi e delle difformità. Non è ammissibile, invece, una contestazione dell'opera del tutto generica (Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2013, n. 25433). In questo caso, il calcolo dei giorni del termine decadenziale non subisce alcuna interruzione per i giorni festivi. Premesso quanto esposto, in questo scenario, supponendo la mancata sospensione dei termini sostanziali, il committente può denunciare i vizi all'appaltatore? La risposta è positiva. Ai sensi dell'art. 1134 c.c.: "Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati". Per determinare il contenuto o meglio il significato del concetto di "conoscenza legale" dell'atto si deve guardare al successivo art. 1335 c.c.: "La proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario...". Dunque, il soggetto che esercita il diritto e che vuole impedirne l'estinzione per decorrenza della prescrizione, avrà l'onere di fare in modo che, entro il termine, l'atto stesso pervenga presso l'indirizzo del destinatario. In che maniera? Per la denuncia dei vizi non si prevede una forma particolare, per cui può effettuarsi con qualsiasi mezzo idoneo, anche stragiudiziale, quale una lettera raccomandata o un fax. Quanto al servizio postale, alcuni autori hanno osservato che Poste Italiane dal 6 marzo 2020 ha impartito ai propri dipendenti (postini) l'ordine di non far più firmare ai destinatari gli avvisi di ricevimento di atti giudiziari e raccomandate, ma di lasciare semplicemente il plico in cassetta firmando loro stessi l'avviso di ricevimento. Dopo pochi giorni, esattamente in data 12 marzo 2020, Poste Italiane ha cambiato il modus operandi prevedendo una specifica disciplina, sia pure per la sola notifica degli atti giudiziari: il postino, in parole povere, era obbligato ad applicare le norme che disciplinano la consegna dell'atto giudiziario in assenza del destinatario, cioè lasciava un avviso di giacenza, riportava il plico presso l'ufficio postale e il giorno dopo avvisava il destinatario con raccomandata a.r. (anche questa a sua volta da consegnare “in remoto” al destinatario) che il plico poteva essere ritirato presso l'ufficio. Trascorsi dieci giorni dall'invio di questa seconda raccomandata senza che il plico fosse stato ritirato, la notifica si perfezionava per compiuta giacenza e la cartolina di ritorno veniva restituita al mittente con l'indicazione della compiuta giacenza. Infine, con l'art. 108, d.l. n. 18/2020 (Decreto Cura Italia), fino al 30 giugno 2020, al fine di assicurare l'adozione delle misure di prevenzione della diffusione del virus Covid-19, il Governo ha previsto che gli operatori postali procedono alla consegna dei suddetti invii e pacchi mediante preventivo accertamento della presenza del destinatario o di persona abilitata al ritiro, senza raccoglierne la firma con successiva immissione dell'invio nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda, al piano o in altro luogo, presso il medesimo indirizzo, indicato contestualmente dal destinatario o dalla persona abilitata al ritiro. La firma è apposta dall'operatore postale sui documenti di consegna in cui è attestata anche la suddetta modalità di recapito. Dunque, è stato validato per legge il primo sistema adottato da Poste Italiane (immissione del plico in cassetta) e non il secondo (finzione dell'assenza del destinatario). Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, i soggetti interessati (in questo caso committente), possono far valere i relativi vizi, rispettando i termini sostanziali, mediante il servizio di Poste Italiane. Con il d.l. 17 marzo 2020, n. 18 si sarebbe posto rimedio alla incertezza diffusa tra gli addetti ai lavori, in tema di termini processuali. Quanto ai termini sostanziali, anche escludendo l'interpretazione (complessa) prevista dall'art. 83, comma 8, d.l. n. 18/2020, abbiamo visto che è possibile denunciare i vizi mediante il servizio postale. Detto ciò, cosa accade per il condomino assente o dissenziente per una delibera adottata (ad esempio) negli ultimi giorni di febbraio o dei primi di marzo 2020? Su questo argomento, è quindi legittimo domandarsi se il termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c., non propriamente processuale, si sospenda o meno durante il periodo emergenziale che stiamo vivendo a processi sospesi. A parere di chi scrive, attesa la confusione e l'incertezza causata dalla quantità di norme emergenziali, ai fini di una possibile soluzione, occorre ricostruire la ratio dei termini previsti dall'art. 1137 c.c.
In generale, giova ricordare che l'impugnazione della delibera è l'atto del condomino che si ritiene leso da una delibera assunta nel corso dell'assemblea condominiale perché contrastante con la legge o con il regolamento. Le delibere viziate si distinguono in: - delibere nulle, quando il contrasto con la legge o il regolamento è talmente radicale e grave da non poter essere sanato dalla semplice adesione dei condomini che non provvedono ad impugnarle (ad esempio, sono nulle quelle delibere che non abbiano tutti i loro elementi essenziali, con oggetto illecito o che incidono sui diritti individuali dei singoli condomini o sulle proprietà esclusive). - delibere annullabili, quando il contrasto con la legge o il regolamento, pur causando una lesione in capo ad uno o più condomini, è di portata minore e si ritiene possa essere sanato per effetto di una sorta di accettazione tacita da parte dei condomini che non provvedono all'impugnazione (ad esempio, sono annullabili quando vi è una violazione delle regole relative alla costituzione dell'assemblea o alle maggioranze richieste per l'approvazione). La distinzione ha un rilievo fondamentale perché mentre le delibere annullabili devono essere impugnate entro 30 giorni, per quelle nulle questo termine non opera. In linea di principio, la regola stabilita dall'art. 1137 c.c. impone di considerare valide le delibere salvo che il giudice, su richiesta di uno dei condomini, non accerti la loro illegittimità. Si parla in questo caso di presunzione di validità delle delibere assembleari. Se la delibera non viene impugnata essa vincola tutti i condomini, anche se assenti all'assemblea o se nel corso della riunione avevano dichiarato di essere contrari. In generale, nel caso di delibere annullabili la mancata impugnazione nel termine previsto dalla legge sana definitivamente ogni invalidità e, pertanto, la delibera non potrà mai più essere messa in discussione; diversamente, l'interessato, entro 30 giorni, potrà proporre l'atto di citazione, notificata al condominio nella persona dell'amministratore, davanti al giudice civile. Premesso quanto innanzi esposto, in merito all'annullabilità della delibera, è importante soffermarsi sui termini previsti dalla legge. In materia, il comma 2 dell'art. 1137 c.c. recita: contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. Dunque, con tale disposto, il legislatore del 2012 mantiene il termine di 30 giorni per proporre l'impugnativa delle deliberazioni assembleari, laddove, se il 30° giorno cade in giorno festivo, opera la proroga al giorno feriale successivo (art. 2963, comma 3, c.c.). Per il resto, si conferma che il termine decorre dalla data di “deliberazione” per i dissenzienti e per gli astenuti, e dalla data di “comunicazione” per gli assenti alla riunione (Cass. civ. sez. VI, 27 settembre 2013, n. 22240, ha puntualizzato che, con la prova dell'avvenuto recapito, all'indirizzo del condomino assente, della lettera raccomandata contenente il verbale dell'assemblea, sorge in capo al destinatario la presunzione, iuris tantum, di conoscenza posta dall'art. 1335 c.c. e, conseguentemente, scatta il dies a quo per l'impugnazione della deliberazione stessa, ai sensi dell'art. 1137 c.c.). Spesso, tale comunicazione avviene mediante la trasmissione (a mani o per posta) di copia del verbale assembleare, ma non si è escluso che l'assente possa avere notizia in altro modo del contenuto della deliberazione, purché idonea alla tutela delle sue ragioni; sembra, in ogni caso, preferibile che la comunicazione sia “scritta”, ossia rivesta la stessa forma dell'atto (verbale) il cui contenuto viene portato a conoscenza del destinatario, e, in proposito, potrebbero mutuarsi i suggerimenti contenuti nel novellato art. 66, comma 3, disp. att. c.c. il quale, sia pure riguardo all'avviso di convocazione per l'assemblea condominiale, prescrive che lo stesso sia comunicato “a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano”. Secondo alcuni autori, la riforma del 2012 ha colto l'occasione di intervenire novellando profondamente il comma 3, attualmente inglobato nel comma 2: il previgente termine decadenziale diventa quindi “termine perentorio”. Nel caso del condomino che non abbia presenziato all'assemblea - e debba quindi ricevere il relativo verbale - ove risulti assente al tentativo di consegna della raccomandata da parte dell'agente postale, la comunicazione si avrà per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di rilascio dell'avviso di giacenza, in applicazione analogica dell'art. 8, comma 4, l. n. 890/1982 (Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2016, n. 25791). La decadenza del diritto di impugnare la deliberazione annullabile non può peraltro essere rilevata d'ufficio, trattandosi di materia non sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. civ., sez. II, 28 novembre 2001, n. 15131); chi intenda valersi dell'inosservanza del termine di decadenza ha perciò l'onere di eccepirlo durante, e non oltre, il giudizio di merito (Trib. Salerno 17 aprile 2008).
In ambito procedurale,l'art. 152 c.p.c. non offre una nozione generale di “termini processuali”, limitandosi a statuire che “i termini per il compimento degli atti del processo sono stabiliti dalla legge”. Su tale aspetto, in dottrina, è stato evidenziato che se anche lo stesso articolo offrisse una nozione di termine processuale, partire da quella per individuare il criterio di distinzione tra termini sostanziali e processuali, valida “anche” per l'interpretazione dell'art. 1, l. n. 742/1969, non sembra condivisibile, a meno che e fino a quando non si dimostri, per altra via, che “proprio e soltanto” a quel criterio la l. n. 742/1969 si è attenuta; ogni criterio di distinzione non soltanto non può essere assunto come generale ed assoluto, ma è, per sua natura, di volta in volta, legato allo scopo ed alla funzione del “distinguere”: la demarcazione tra “sostanza” (diritto sostanziale) e “procedura” (diritto processuale) è una delle linee più storicamente variabili e più legate alle necessità dei rami e dei singoli settori della ricerca. Difatti, accanto alle due categorie di termini “sostanziali” e “processuali”, se ne possono individuare altre - ad esempio, “termini sostanziali a rilevanza anche processuale” - come si può affermare l'esistenza di termini processuali “in senso stretto” (formalmente inseriti nel processo e riferiti ad atti processuali, a giudizio già iniziato) e termini processuali “in senso largo” (comunque processualmente rilevanti). La definizione non è di poco conto, soprattutto, ai fini di una corretta qualificazione dei termini indicati dall'art. 1137 c.c. In tale argomento, sappiamo che il Tribunale di Genova, ordinanza del 9 maggio 1989 n. 831 in tema di mancata applicazione al termine di trenta giorni previsto per la impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea dei condomini in ragione della natura sostanziale, ha ritenuto che (nella vicenda) non poteva considerarsi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, l.n.742/1969 in relazione all'art. 1137,ultimo comma, c.c. (precedente formulazione). Difatti, secondo il giudicante, come sostenuto anche dalla Corte di legittimità (Cass. civ., 16 luglio 1980, n. 4615), “il termine per l'impugnazione delle deliberazioni assembleari di condominio avrebbe carattere sostanziale e non processuale, risultando quindi insuscettibile di sospensione nel periodo feriale ai sensi della l. n. 742/1969”. Tuttavia, prosegue il giudicante genovese, alla luce delle decisioni Corte Costituzionale (Corte Cost. 13 febbraio 1985, n.40 e Corte Cost.13 luglio 1987, n. 255), l'aderenza al cennato orientamento della Suprema Corte, laddove in pratica negava rilevanza processuale al termine fissato dall'art. 1137, ultimocomma,c.c. (oggi primo comma), sebbene sostanziale, non appariva soluzione soddisfacente e convincente. Le due indicate decisioni della Corte Costituzionale avevano dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, l. n. 742/1969, nelle parti in cui non disponeva che la sospensione dei termini ivi prevista si applicasse, rispettivamente, al termine stabilito dall'art. 51, commi 1 e 2, l. n. 2359/1965 (per opposizione dell'espropriato alla stima) e (Corte Cost. n. 255/1987) al termine previsto dagli art.19, comma 1, l. n. 865/1971 e art. 14, l. n. 10/1977, in tema di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione. Per i motivi esposti, a parere del Tribunale di Genova: - i termini sostanziali (pur aventi origine e caratteristiche diverse da quelli strettamente processuali a seconda dei contesti) possono comunque rivestire rilevanza processuale quando, ad esempio, si tratta di termini stabiliti da una legge sostanziale per instaurare un giudizio relativo alla materia disciplinata da tale legge; - ai fini della tutela del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) non sembra diversa e meritevole di diverso regime rispetto alla sospensione dei termini nel periodo feriale la situazione del Condominio il quale voglia compiere l'atto introduttivo del giudizio di impugnazione di una deliberazione condominiale dalla situazione del condominio che, instaurato giudizio di tale specie, intenda compiere atto del processo; - il “ricorso all'autorità giudiziaria” (art. 1137 c.c.) si rivela l'unico rimedio concesso al condomino per impugnare deliberazioni dell'assemblea condominiale; - approfittando della “penuria” di legali disponibili e reperibili in primo periodo feriale, una amministrazione condominiale potrebbe vanificare e scoraggiare eventuali opposizioni di condomini alle sue deliberazioni con l'indire le assemblee in giorni a ridosso o compresi nella prima parte del periodo feriale e così rendendo difficoltoso il rispetto del termine di trenta giorni utile a proporre l'impugnazione avverso i provvedimenti assembleari assunti. In definitiva, secondo l'interpretazione del giudice genovese, il termine, previsto dall'art. 1137 c.c., seppur sostanziale, ha un'indubbia valenza processuale e per esso non pare giustificarsi un regime, durante il periodo feriale, diverso da quello stabilito dall'art. 1, l.n. 742/1969 per la sospensione dei termini processuali; dunque, a giudizio del collegio genovese, la semplice interpretazione dell'art. 1, l.n.742/1969 (e dell'art.1137, ultimocomma,c.c. – formulazione precedente alla l. n. 220/2012) non sembra sufficiente per reputare applicabile la sospensione, durante il periodo feriale, del termine previsto dall'art. 1137 c.c.: la prima norma potrebbe rivelarsi illegittima e lesiva dell'art. 24 Cost. nella parte in cui non dispone che la sospensione dei termini ivi prevista si applichi anche al termine di cui all'art.1137 c.c.
C'è voluto l'intervento della Corte Costituzionale per chiarire la natura del termine di cui all'art. 1137 c.c.: con la sent. n. 49 emessa il 2 febbraio 1990, la Consulta dichiarò l'illegittimità dell'art. 1, l. 7 ottobre 1969, n. 742 in funzione dell'art. 24 Cost. (diritto di difesa), nella parte in cui non riconosceva applicabile l'istituto della “sospensione feriale” anche al termine di cui all'art. 1137 c.c., per come qualificatosi “termine sostanziale a rilievo processuale”. In particolare, il giudice delle leggi aveva rilevato come la sospensione di detti termini per il periodo feriale si imponga, quando la possibilità di agire in giudizio costituisca per il titolare l'unico rimedio per far valere un suo diritto. Quest'ultimo principio doveva ritenersi applicabile anche al caso in esame, che riguardava la previsione dell'art. 1137 c.c., il quale fissa, a pena di decadenza, il termine di 30 giorni per l'impugnativa delle deliberazioni dell'assemblea condominiale: invero, la brevità di tale termine rende particolarmente difficile, a colui che intenda esercitare il proprio diritto di impugnativa delle suddette deliberazioni, di munirsi della necessaria difesa tecnica quando detto termine cada nel periodo feriale, proprio perché l'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale nasce dalla necessità di assicurare un periodo di riposo a favore degli avvocati. Quindi, ove la sospensione in parola non fosse estesa anche a detta ipotesi, ne risulterebbe menomato il diritto alla tutela giurisdizionale, in contrasto con l'art. 24 Cost. Pertanto, atteso che non si ravvisavano preminenti ragioni a tutela di altri valori costituzionali, che imponessero la rigorosa osservanza del suddetto termine, ricorreva anche nel caso in esame la medesima ratio che aveva indotto il legislatore ad introdurre con la norma denunciata la sospensione dei termini processuali e, poiché il giudice a quo non riteneva che l'art. 1, l. n. 742/1969 potesse essere interpretato nel senso di comprendervi anche il termine previsto dall'art. 1137 c.c., la prima disposizione doveva dichiararsi costituzionalmente illegittima, nella parte in cui non prevedeva la sospensione, durante il periodo feriale, del suddetto termine. Oltre alla questione di rilevanza costituzionale (art. 24 Cost), come sostenuti da altri autori, per riuscire a superare l'empasse, dovremmo anche valutare l'iter procedimentale occorrente per provvedere all'impugnazione di una delibera assembleare. In merito all'art. 83, comma 20, d.l. n. 18/2020, sappiamo che “sono altresì sospesi i termini per lo svolgimento di qualunque attività nei procedimenti di mediazione… quando i procedimenti in questione siano stati promossi entro il 9 marzo 2020 e quando costituiscano condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Sono conseguentemente sospesi i termini di durata massima dei procedimenti”. La sospensione, stando ad una interpretazione letterale, in tema di mediazione si applicherebbe solamente ai procedimenti in corso, quando previsti quali obbligatori dalla norma di riferimento (come, in effetti, avviene per le azioni di cui all'art. 1137 c.c.). Quindi, se il termine di cui all'art. 1137 c.c. cadesse nel periodo “emergenziale”, per tentare di interrompere il termine di decadenza, bisognerebbe comunque presentare una istanza di mediazione? Non si può escludere il contrario, visto che risulta possibile presentare un'istanza di mediazione anche tramite il semplice invio di una PEC, una mail, ad un organismo abilitato. Ma anche tale evenienza pone altri interrogativi. Difatti, secondo i giudici milanesi (Trib. Milano, 23 maggio 2018, n. 5971) gli effetti interruttivi decorrano non dal deposito della domanda di mediazione ma dal momento della comunicazione della stessa alle parti che si vogliano invitare. Perciò, qualora le parti abbiano tempestivamente depositato l'istanza di mediazione entro il termine dei trenta giorni dalla data di deliberazione ma poi l'organismo di mediazione non abbia provveduto entro lo stesso termine a comunicarlo alle parti, il termine si considera passato per cui non può operare l'interruzione di cui all'art. 5, comma 6,d.lgs. n. 28/2010. A conferma di ciò, secondo altra pronuncia, non è dal momento di presentazione della domanda di mediazione, ma soltanto da quello della relativa comunicazione all'altra o alle altre parti, che si verifica l'effetto di impedire la decadenza eventualmente prevista per la proposizione dell'azione giudiziale, come nel caso dell'impugnazione della delibera dell'assemblea condominiale prevista dall'art. 1137, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2019, n. 2273). Diversamente, però, esiste anche altra pronuncia in base alla quale la decadenza dall'impugnazione della delibera è impedita con il deposito della domanda di mediazione presso il competente organismo (App. Brescia,30 luglio 2018, n.1337: nel caso di specie, i condomini, attori in giudizio, avevano depositato la domanda di mediazione entro i trenta giorni dall'adozione del deliberato assunto in loro presenza, mentre la comunicazione da parte dell'organismo, al condominio convenuto, interveniva oltre tale termine; secondo la Corte territoriale, laddove la decadenza venisse correlata alla comunicazione alle altre parti, l'attore, nel rispetto del termine dell'art.1137 c.c., dovrebbe prudenzialmente procedere sia all'avvio del procedimento giurisdizionale, sia al deposito dell'istanza di mediazione e ciò per evitare che eventuale ritardo nell'informare i litisconsorti da parte dell'organismo di mediazione - sul quale solo ha ritenuto si configuri il relativo onere - possa comportarne il maturare; da qui l'interpretazione che, operando il “bilanciamento degli interessi delle parti” correla l'effetto impediente al mero deposito della richiesta conciliativa). In definitiva, occorre prestare massima prudenza per evitare di incorrere nella decadenza di cui all'art. 1137 c.c. D'altro canto, la presentazione di una istanza di mediazione attraverso l'ausilio dei mezzi telematici e il contestuale invio al condominio, in persona dell'amministratore, risultano attività perfettamente compatibili con le ragioni dei provvedimenti da ultimo presi. Tuttavia, anche in tal caso, si potrebbero verificare altri problemi pratici dovute alla comprensibile scelta di alcuni Organismi di mediazione di sospendere ogni attività. Altri Organismi, invece, stanno proseguendo l'attività in modalità telematica continuando a ricevere e protocollare le istanze di mediazione, gestendo con il consenso di tutte le parti e il mediatore le sessioni di mediazione in videoconferenza e comunicando alle parti i rinvii degli incontri di mediazione. Anche in questo caso, l'interprete si trova a valutare la questione dei termini ex art. 1137 c.c. alla luce di una norma che pone in esse altri interrogativi. Possibili scenari e soluzione del post Covid-19
In assenza di uno specifico intervento da parte del legislatore nella materia condominiale, le applicazioni pratiche successive all'emergenza potrebbero avere serie conseguenze per gli operatori del diritto; in particolare, della tutela dei condomini che (in senso negativo alle norme citate), potrebbero non avere più la possibilità di proporre l'azione. Detto ciò, in un'ottica post Covid-19, sarebbe auspicabile da parte dei giudici un invito ad una maggiore sensibilità di quanto detto. In particolare, in caso di azione del condomino (non più nei termini ex art. 1137 c.c.) per l'annullabilità dei una delibera, si potrebbero ipotizzare questi istituti: a) Questione di legittimità costituzionale L'art. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948 rimette alla decisione della Corte la questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un “giudizio” e non ritenuta dal “giudice” manifestamente infondata. L'art. 23, comma 1, l. 11 marzo 1953, n. 87 specifica, con una formulazione apparentemente più restrittiva, che il “giudizio” nel corso del quale la questione può essere sollevata dalle parti o rilevata d'ufficio verte innanzi ad un'“autorità giurisdizionale”. L'art. 1 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale (nel testo vigente, approvato il 7 ottobre 2008), aprendo il capo I intitolato alle “questioni di legittimità costituzionale nel corso di un giudizio”, disciplina la trasmissione alla Corte dell'ordinanza con cui “il giudice, singolo o collegiale”, davanti al quale pende la “causa”, promuove il giudizio di legittimità costituzionale. Le suddette disposizioni ancorano, dunque, il presupposto processuale della legittimazione ad attivare l'incidente di costituzionalità a due condizioni, una di carattere soggettivo ed un'altra di natura oggettiva: la qualità di “giudice” o di “autorità giurisdizionale” del soggetto che investe della questione la Corte; la sussistenza di un “giudizio” (o “causa”) nel corso del quale il quesito è sollevato o rilevato d'ufficio per essere trasmesso, con ordinanza di rimessione, al giudice delle leggi, ove reputato rilevante c non manifestamente infondato. Premesso ciò, in tema decadenza dei termini sostanziali, il giudicante potrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale dei due decreti citati con le due diverse “Zone Rosse”, a causa della diversa tecnica normativa utilizzata: artt. 10, comma 4, d.l. n. 9/2020 (Zona Rossa limitata) e 83, commi 2 e 8, d.l. n. 18/2020 (Zona Rossa nazionale). b) Forza maggiore In tema contrattuale, la causa di forza maggiore opera quale condizione assolutoria dell'inadempimento contrattuale nel momento in cui la sinallagmaticità e corrispettività delle prestazioni contrattuali vengono meno in virtù di eventi straordinari ed imprevedibili. Infatti, essi sono tali da determinare uno squilibrio delle forze all'interno del rapporto obbligazionario tali da determinarne finanche l'impossibilità di esecuzione. La sopraggiunta impossibilità di adempiere alla prestazione contrattuale, per causa non imputabile al debitore, è disciplinata dall'art. 1256 c.c., il quale sancisce la risoluzione del contratto ove l'impossibilità di dare seguito alla prestazione in esso prevista sia determinata da una causa (anche temporanea) straordinaria, imprevedibile e non addebitabile al debitore. Ed ancora, circa le circostanze che integrano la ricorrenza di forza maggiore, il diritto applicato italiano fa riferimento a concetti assai generali, identificando sostanzialmente la forza maggiore con una forza esterna, o con fatti umani di terzi, o del principio che siano ostativi in modo assoluto alla esecuzione della prestazione dovuta. Tali eventi esterni debbono altresì essere imprevedibili al momento della conclusione del contratto e sopraggiungere quando il debitore non sia già in mora. Calando queste direttive nelle concrete circostanze derivate dall'emergenza Covid-19 ne dovrebbe discendere una gerarchia di situazioni specifiche a seconda della tipologia di ostacoli.Pertanto, i presupposti di operatività della causa di forza maggiore sono la straordinarietà e imprevedibilità dell'evento esterno alla sfera di azione delle parti, nonché la non riconducibilità dello stesso alla figura del debitore. In ambito (penale), invece, ai sensi dell'art. 45 c.p. non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore. Dunque, la forza maggiore è la cosiddetta vis maior cui resisti non potest, cioè quella forza esterna che determina la persona a compiere un'azione cui questa non può opporsi; nel nostro caso di Covid-19, potremmo interpretare la forza maggiore in negativo: forza esterna (Covid-19) che determina la persona (condomino) a non compiere un'azione (impugnativa) cui questa non può opporsi (normativa emergenziale). È chiaro, quindi, che in entrambi e diversi ambiti (contrattuale e penalistico), la causa di forza maggiore rappresenta un principio estremamente variabile e, il più delle volte, la sua applicazione è rimessa all'arbitrio del giudice rispetto al caso concreto. Di conseguenza, nell'ottica di una maggiore flessibilità e sensibilità di quanto detto a causa del Coronavirus, nel post Covid-19, i giudici potrebbero (dico potrebbero con un puro condizionale) valutare l'azione dei condomini assenti e dissenzienti anche alla luce di un'interpretazione (vasta) del generale principio della forza maggiore; di conseguenza, avvalorare maggiormente la rimessione in termini. c) La rimessione in termini L'ordinamento processuale-civilistico italiano prevede in molti casi dei termini perentori entro i quali provvedere a depositare atti o memorie, procedere a notificazioni e compiere altre attività processuali. Se i termini sono perentori non è possibile né prorogarli né abbreviarli, neanche se sul punto sia raggiunto un accordo dalle parti interessate. Tuttavia, in forza di quanto previsto dal secondo comma dell'art. 153 c.p.c., se una parte dimostra di essere incorsa in decadenze (e di non aver quindi potuto rispettare un termine perentorio) per causa ad essa non imputabile, il giudice può rimetterla in termini. La rimessione va espressamente richiesta dalla parte con ricorso da depositare in cancelleria o direttamente in udienza. Come osservato dalla dottrina, vista la collocazione della norma che si occupa della rimessione nella parte del codice civile dedicata in generale ai termini perentori, deve ritenersi che tale istituto sia applicabile anche ai termini per impugnare. In tema, la Suprema Corte ha osservato che alla luce del comma 2 dell'art. 153 c.p.c., che ha introdotto, per i giudizi iniziati dal 4 luglio 2009 in poi, la generale facoltà per la parte, che dimostri di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabile, di chiedere al giudice di essere rimessa in termini, anche in riferimento ai termini perentori l'istanza di rimessione in termini riferita ad un termine per proporre impugnazione deve ritenersi ammissibile (Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2018, n. 32725).Difatti, la rimessione in termini, presuppone la tempestività dell'iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un'attività processuale ormai preclusa (Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2011, n. 23561). Per meglio dire, la rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall'art. 184-bis c.p.c. che in quella di più ampia portata contenuta nell'art. 153, comma 2, c.p.c., come novellato dalla l. n. 69/2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (Cass. civ., sez.lav., 28 settembre 2011, n. 19836; conforme Cass. civ., sez. lav., 25 marzo 2011, n. 7003). Detto ciò, l'emergenza causata dal Covid-19 rappresenta, indubbiamente, una causa estranea alla volontà dei condomini assenti o dissenzienti. In conclusione
Il panorama operativo in campo procedurale civile del decreto in analisi appare una misura proporzionale alla gravità della situazione emergenziale conseguente alla diffusione del virus Covid-19. L'art. 83, d.l. n. 18/2020(Decreto Cura Italia) pur non avendo presentato particolari problemi applicativi in tema di termini processuali, tuttavia, in ambito di termini sostanziali, la normativa porta ad alcune riflessioni e criticità nei confronti dell'interprete che dovrà valutare, con approccio logico ed in considerazione dei principi di buona fede procedurale, l'intento di evitare qualsiasi abuso degli strumenti offerti per la tutela dei diritti per i quali si chiede l'intervento giurisdizionale. Nonostante lo sforzo della tecnica normativa (art. 83, comma 8, d.l. n. 18/2020), restano ancora dubbi dell'applicabilità di tale disciplina nell'ambito dell'art. 1137 c.c. Difatti, nonostante alcuni accorgimenti come nel caso della mediazione o dei possibili futuri scenari (sensibilizzazione dell'organo giudicante), ad oggi, non disponiamo di una norma chiara che risolve il problema dei termini sostanziali di cui all'art. 1137 c.c. In definitiva - come abbiamo visto - il termine dall'art. 1137 c.c. è di natura sostanziale con rilevanza processuale: è necessaria l'azione processuale del condomino nel rispetto dei termini sostanziali. Di conseguenza, poiché l'istituto della sospensione dei termini nel periodo feriale è anche correlato al potenziamento del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.), limitare (durante l'emergenza Covid-19) arbitrariamente la sospensione ai soli termini che, ad altri fini, sono qualificati processuali - termini processuali “in senso stretto”, che presuppongono il giudizio già iniziato - ed escludere, per l'ipotesi dell'art. 1137 c.c. che è certamente non meno importante dei termini processuali “puri” e che non incide, in modo rilevante, su situazioni “preminenti” rispetto agli scopi del suddetto istituto della sospensione, equivale a violare l'art. 24 Cost.
*Fonte: www.condominioelocaziione.it |