L'incidenza del “Decreto Liquidità” sulle procedure prefallimentari

Martina Elisa Pillon
23 Aprile 2020

Al fine di agevolare la ripresa economica e finanziaria del Paese ed arginare le conseguenze negative dell'emergenza epidemiologica sulle imprese, il Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 reca “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” (c.d. “Decreto Liquidità”). Le misure di contenimento – adottate oramai a livello mondiale – si ripercuotono immediatamente sul tessuto produttivo, soprattutto in termini di contrazione dei meccanismi di domanda/offerta e di import/export, di perturbazione dei sistemi di approvvigionamento e di sconvolgimento dei mercati finanziari globali e comportano una grave crisi di liquidità nei confronti di imprese, anche sane e solvibili, idonea a pregiudicarne la sopravvivenza sul mercato.
Premessa

Al fine di agevolare la ripresa economica e finanziaria del Paese ed arginare le conseguenze negative dell'emergenza epidemiologica sulle imprese, il Decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 reca “misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali” (c.d. “Decreto Liquidità”).

Le misure di contenimento – adottate oramai a livello mondiale – si ripercuotono immediatamente sul tessuto produttivo, soprattutto in termini di contrazione dei meccanismi di domanda/offerta e di import/export, di perturbazione dei sistemi di approvvigionamento e di sconvolgimento dei mercati finanziari globali e comportano una grave crisi di liquidità nei confronti di imprese, anche sane e solvibili, idonea a pregiudicarne la sopravvivenza sul mercato.

Tali considerazioni hanno indotto il Governo ad inserire nell'intervento normativo in commento alcune norme che, in deroga alla disciplina della crisi d'impresa attualmente vigente, sottraggano le imprese alle straordinarie e (auspicabilmente) temporanee conseguenze negative provocate dall'epidemia. In materia concorsuale, dunque, il “Decreto Liquidità”, oltre a prevedere, all'art. 5, un differimento dell'entrata in vigore del Codice della crisi e dell'insolvenza di cui al Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, al 1º settembre 2021 e, all'art. 9, misure volte a non pregiudicare il successo di concordati preventivi ed accordi di ristrutturazione già pendenti, ha introdotto, all'art. 10, tre disposizioni dirette ad evitare che la momentanea inattività e sofferenza delle imprese si traduca in una probabile dichiarazione di fallimento delle stesse.

Tale ultimo articolo dispone, in primo luogo, l'improcedibilità di tutte le istanze dirette ad accertare l'insolvenza delle imprese soggette a fallimento o liquidazione coatta amministrativa (artt. 15 e 195 del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) e amministrazione straordinaria delle grandi imprese (art. 3 del Decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270) depositate tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020.

Se appaiono chiare le ragioni sottese a tale previsione, meno comprensibile risulta essere lo strumento processuale adottato.

Improcedibilità delle istanze di accertamento dell'insolvenza

Quanto al primo profilo, dalla Relazione illustrativa emerge con chiarezza l'intento del legislatore di evitare che imprese, altrimenti solvibili, vengano dichiarate fallite sulla base di presupposti maturati a causa di fattori esogeni e straordinari. Ciò, per un verso, ha come obiettivo quello di salvaguardare il tessuto produttivo del Paese ed impedire una disgregazione del patrimonio, con conseguente pregiudizio per i creditori, dovuta ad una liquidazione dei beni del debitore all'interno di un mercato fortemente alterato; per altro verso, neutralizza il rischio che gli uffici giudiziari si trovino costretti, in un momento di forte criticità organizzativa, a far fronte ad un incontrollabile incremento delle istanze di fallimento. Poiché risulta, dunque, chiaramente non percorribile l'alternativa di richiedere ai Tribunali, in una situazione emergenziale, di svolgere una complessa indagine volta a distinguere le ipotesi in cui i presupposti della decozione risiedono negli eventi dovuti alle misure di contenimento adottate per fronteggiare l'epidemia dai casi in cui, al contrario, i requisiti per il fallimento sussistevano già anteriormente al lockdown, si è optato per la generale improcedibilità di tutte i ricorsi depositati nel periodo marzo-giugno.

Nel caso, invece, delle istanze di fallimento presentate dagli imprenditori in proprio, il proposito è, secondo la Relazione illustrativa, quello di consentire al debitore di valutare, con maggior ponderazione, eventuali soluzioni concordate della crisi, senza temere di incorrere in responsabilità civili, ovvero penali, derivanti dall'aggravamento di uno stato di dissesto che, nella maggior parte delle ipotesi, risulterebbe verosimilmente causato dall'operare delle misure di contenimento.

Quanto, invece, alla sorte delle istanze promosse tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020, desta perplessità, come si anticipava, la scelta di disporne la declaratoria di improcedibilità. Sul piano sistematico, infatti, il ricorso a tale strumento può trovare giustificazione nel fatto che la domanda avente ad oggetto la richiesta di fallimento presenta un contenuto in astratto non consentito dal Decreto legge: mancando, quindi, una condizione per la decisione del merito, la naturale conseguenza è rappresentata dall'improcedibilità del giudizio.

Tuttavia, pur potendo rinvenire un'idonea collocazione, sul piano teorico, della scelta operata, permangono incertezze in relazione alla portata e alle conseguenze applicative di tale previsione.

Infatti, come noto, l'istituto dell'improcedibilità non è disciplinato, né definito, nel processo civile, in via generale, dal legislatore, il quale si limita a prevedere particolari ipotesi (in ambiti diversi ed assai eterogenei tra loro) in cui l'assenza delle premesse richieste per il giudizio impedisce al giudice l'esame e la decisione del merito (sul punto si veda, diffusamente, Lugo, Inammissibilità e improcedibilità (Diritto processuale civile), in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 483 ss.; Damiani, Il procedimento camerale in Cassazione, Napoli, 2011, 222 s.). Solo per limitarsi ad alcuni esempi, di improcedibilità si parla in tema di impugnazioni, agli artt. 348, 369, 371-bis, 399 e 408 c.p.c.; in tema di rilevanza del procedimento amministrativo sulla domanda relativa a controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, all'art. 443 c.p.c.; in tema di processo esecutivo, all'art. 164-bis, disp. att. c.p.c.; in tema di obbligo del tentativo di mediazione o negoziazione assistita, all'art. 5 del Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 e all'art. 3 del Decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito in Legge 10 novembre 2014, n. 162.

Differente estensione e differenti effetti dell'improcedibilità

Senza entrare nel merito dei dibattiti relativi all'inquadramento teorico dell'istituto in questione, ciò che appare evidente e su cui la maggior parte degli interpreti è concorde (si veda, esemplificativamente, La China, Procedibilità (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986; Provinciali, Sistema delle impugnazioni civili secondo la nuova legislazione, Padova) riguarda la differente estensione ed i differenti effetti dell'improcedibilità.

Infatti, talvolta il legislatore considera l'improcedibilità come un impedimento a carattere temporaneo, il quale impedisce la prosecuzione del processo solo nel caso in cui nel termine assegnato dalla legge o dal giudice non venga sanato il vizio rilevato (ciò avviene, ad esempio, in relazione all'obbligo di mediazione o negoziazione assistita, per cui è previsto che il giudice, ove sia stata rilevata l'assenza di tale condizione di procedibilità, assegni un termine alle parti per l'avvio o la prosecuzione del tentativo e rinvii la causa a successiva udienza, ovvero, ai sensi dell'art. 443 c.p.c., ove la causa di improcedibilità determina una sospensione del processo e la fissazione all'attore di un termine per la presentazione del ricorso in sede amministrativa). In altre fattispecie, al contrario, l'improcedibilità comporta una definitiva ed irrimediabile impossibilità di proseguire il giudizio, con conseguente definizione in rito del processo (ad esempio, in materia fallimentare, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., il Tribunale può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda prenotativa di concordato preventivo qualora verifichi che il debitore ha posto in essere una delle condotte di cui all'art. 173 l. fall.).

Come è agevole notare, dunque, in assenza di una disciplina positivamente individuata, applicabile alla generalità delle fattispecie, il problema che si pone – e che sembra sussistere anche nell'ipotesi prevista dall'art. 10 del “Decreto Liquidità” – riguarda l'individuazione degli effetti nei casi in cui sia prevista l'improcedibilità e, tuttavia, non venga esplicitata la possibilità per il giudice di assegnare un termine alle parti, ovvero di rinviare il giudizio a nuova udienza, al fine di verificare se è venuto meno l'elemento che impedisce la regolare prosecuzione del processo. In altre parole, fermo restando che nelle ipotesi di improcedibilità, per così dire, assoluta, è inevitabile una decisione definitiva in rito, in quanto la ragione che non consente di pervenire al giudizio di merito risulta ineliminabile una volta che si sia verificata, è necessario chiedersi se, nell'eventualità in cui l'assenza della condizione di procedibilità sia temporanea e, dunque, suscettibile di verificarsi decorso un certo periodo di tempo, ovvero con il compimento di specifici atti, residui sempre la possibilità per l'organo giudicante, in mancanza di una diversa disciplina di legge, come è nel caso di specie, di sospendere il processo per un determinato periodo di tempo, solamente trascorso il quale, ove non sia stato posto rimedio al vizio, il processo verrà definito con una declinatoria in rito. Nel caso del “Decreto Liquidità”, infatti, l'improcedibilità colpisce le istanze depositate all'interno di un arco temporale definito, ciò che potrebbe indurre il giudice delegato a rilevare l'improcedibilità e, contestualmente, fissare una nuova udienza a partire dal 1º luglio 2020.

La tesi favorevole, in linea di principio, al rinvio ad altra udienza, è stata condivisa, sporadicamente, seppur in altro contesto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina (cfr., ad esempio, Trib. Varese, 29.01.2011, in Redazione Giuffrè, 2011; Trib. Larino, 24 ottobre 2011, in Riv. esec. forz., 2011, 683 ss.; Chizzini, Sub art. 62, in Consolo – De Cristofaro (a cura di), Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, Milanofiori; Fabiani, L'inefficacia della trascrizione del pignoramento, in Judicium, §3.4) in considerazione del fatto che devono ritenersi eccezionali i casi in cui il processo di cognizione non si conclude con una decisione di merito.

La questione si presenta di non agevole soluzione, essendo possibile sostenere argomenti a favore di entrambe le tesi, dato il tenore letterale ambiguo dell'art. 10 del “Decreto Liquidità”.

A favore del rinvio si potrebbe ravvisare un duplice argomento.

Per un verso, infatti, il terzo comma della medesima disposizione prevede che, se alla dichiarazione di improcedibilità “fa seguito” la dichiarazione di fallimento, nel computo dei termini di cui agli artt. 10 e 69-bis l. fall. non si tiene conto del periodo intercorrente tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020. L'espressione utilizzata induce ad identificare come un'unica esperienza processuale la sequenza di atti iniziata con l'istanza depositata durante il periodo di emergenza a cui “fa seguito”, senza alcuna soluzione di continuità rappresentata da una sentenza definitiva di rito, la dichiarazione di insolvenza: risultato perseguibile unicamente mediante sospensione del procedimento e fissazione di una nuova udienza.

Per altro verso, al medesimo esito sembra doversi giungere in virtù dell'esclusione dei mesi marzo-giugno dal calcolo dell'anno entro cui l'imprenditore cancellato dal registro delle imprese può essere dichiarato fallito, ai sensi dell'art. 10 l. fall. e del termine di decadenza previsto per l'esercizio delle azioni revocatorie dall'art. 69-bis l. fall.: se tale disciplina derogatoria è applicabile esclusivamente alle procedure fallimentari aperte in seguito a domande promosse nel periodo, per così dire, “viziato” da improcedibilità, pare obbligato optare per il rinvio del giudizio. Infatti, nel caso in cui il giudice delegato, in seguito al rilievo dell'improcedibilità, pronunciasse una sentenza definitiva di rito, la parte istante avrebbe l'onere di riproporre la domanda ex art. 15 e 195 l. fall. ed ex art. 3 del D.lgs. n. 270/1999 al fine di ottenere l'apertura della procedura concorsuale; domanda che, tuttavia, non potrebbe essere depositata – a pena di subire la medesima sorte di quella dichiarata improcedibile – se non prima del 1º luglio 2020 e non rientrerebbe, pertanto, nella previsione del comma 3 dell'art. 10, che rimarrebbe, in definitiva, priva di applicazione.

D'altra parte, a sostegno dell'opposta tesi, si può osservare come, allorché il legislatore di emergenza ha voluto disporre la sospensione del giudizio, ha espressamente provveduto in tal senso. Ciò è avvenuto, ad esempio, con il rinvio d'ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari a data successiva al 15 aprile 2020, ex art. 83, comma 1, del Decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 e con la proroga di tale termine all'11 maggio 2020, ad opera dell'art. 36 del “Decreto Liquidità”, sicché “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” (cfr. al riguardo F. Lamanna, Il “blocco” dei procedimenti prefallimentari imposto dal Decreto Liquidità, in www.ilFallimentarista.it, 14 aprile 2020).

Le conseguenze a cui portano le contrapposte tesi sono di non poco momento: l'immediata chiusura in rito del procedimento, infatti, consente al debitore, da un lato, di guadagnare tempo nella speranza di una rinuncia del creditore nel riproporre il ricorso e, dall'altro lato, può contribuire ad impedire che nei confronti dell'impresa sia proposta una moltitudine di istanze di fallimento, in quanto la prospettiva di una inevitabile definizione in rito del giudizio e del conseguente onere di riproposizione della domanda potrebbe avere efficacia dissuasiva nei confronti del creditore.

A parere di chi scrive, determinante ai fini della risoluzione del problema in un senso o nell'altro è l'indagine relativa agli interessi alla cui protezione la norma è destinata (sulla rilevanza, ai fini di un corretto inquadramento di ciascuna ipotesi di improcedibilità, di tale analisi, si veda, ex multis, Poli, Invalidità ed equipollenza degli atti processuali, Torino, 2012, 93; Querzola, Contributo allo studio degli atti processuali tra forma e linguaggio giuridico, Torino, 131 s.).

In questa prospettiva, risulta evidente che all'improcedibilità dei ricorsi depositati nel periodo marzo-giugno debba seguire, dopo opportuna sollecitazione del contraddittorio delle parti sul punto (sulla necessità di sottoporre il rilievo della causa di improcedibilità alle parti anche nel caso in cui questa emerga per tabulas al momento del deposito del ricorso, si veda Andreoni – Battaglia – Giavarrini –Romano, Sub art. 5, Condizione di procedibilità e rapporti con il processo, in Castagnola – Delfini (a cura di), La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010) eventualmente con scambio in via telematica di memorie, la chiusura in rito del giudizio (in tal senso si è espresso anche Lamanna, Il “blocco” cit.,. L'Autore, tuttavia, ritiene che il Tribunale possa provvedere con decreto emesso de plano in Camera di consiglio, senza previa sottoposizione della questione rilevata d'ufficio alle parti, trattandosi “di una dichiarazione di improcedibilità basata su una previsione normativa ad hoc, contenente inequivoci parametri temporali” e tenendo conto del fatto che l'integrazione del contraddittorio richiederebbe lo svolgimento di attività che “si porrebbero in insanabile contraddizione con lo scopo di evitare il più possibile lo svolgimento di ultronee attività giudiziarie (specie se “in presenza”) perseguito dal legislatore”).

Nella Relazione illustrativa, del resto, viene esplicitata la ratio sottesa all'art. 10, comma 1, del “Decreto Liquidità”, in quanto, come già illustrato, l'obiettivo perseguito è quello di preservare le attività produttive del Paese, impedendo che esse vengano travolte e disgregate da una moltitudine di istanze determinate dalla crisi di liquidità causata dall'epidemia. Se, dunque, la sfera di interessi protetti dal legislatore d'emergenza è quella delle imprese, è preferibile l'interpretazione che privilegia il debitore, tramite una chiusura in rito del giudizio (a conferma di tale ricostruzione, peraltro, la stessa Relazione illustrativa afferma che, trascorso il periodo di “blocco”, “le istanze per la dichiarazione dello stato di insolvenza potranno essere nuovamente depositate”).

Rimane, ovviamente, il dubbio che la norma in questione possa essere oggetto di abuso da parte dei debitori, i quali, non essendo, come già visto, perseguibili, sul piano penale o civile, per non aver presentato tempestivamente richiesta di fallimento in proprio, potrebbero porre in essere condotte distrattive dei beni dell'impresa.

Tale pericolo è, tuttavia, parzialmente limitato dalla previsione del secondo comma dell'art. 10 del “Decreto Liquidità”, il quale protegge dall'improcedibilità le istanze contenenti domande di emissione di provvedimenti cautelari o conservativi presentate dal Pubblico ministero, con ciò arginando il rischio per i creditori derivante da comportamenti fraudolenti dell'imprenditore.

La disposizione potrebbe, peraltro, generare perplessità, in quanto si potrebbe sostenere che le medesime esigenze di preservazione del patrimonio e dei beni dell'impresa da condotte dissipative del debitore – le quali giustificano, in ragione della loro gravità, l'eccezione alla disciplina delineata al primo comma – dovrebbero sottrarre all'improcedibilità anche le richieste ex art. 15, comma 8, l. fall. presentate dai creditori (sul punto si veda, problematicamente, anche Galletti, Il diritto della crisi sospeso e la legislazione concorsuale in tempo di guerra, in IlFallimentarista).

Peraltro, tale scelta risulta coerente e, in definitiva, condivisibile se si considera che, in caso contrario, si rischierebbe di assistere alla moltiplicazione di istanze di fallimento che, in assenza di un concreto e verosimile periculum in mora, contengano domande cautelari al solo fine di scongiurare la chiusura in rito del giudizio.

Prolungamento dei termini di cui agli artt. 10 e 69-bis l. fall.

Venendo, infine, all'ultimo comma dell'art. 10 del “Decreto Liquidità”, la previsione, già ricordata, del prolungamento dei termini di cui agli artt. 10 e 69-bis l. fall. risponde all'esigenza, esplicitata nella Relazione illustrativa, di evitare che il blocco delle istanze prefallimentari pregiudichi irreparabilmente la possibilità di chiedere il fallimento dell'imprenditore cancellato dal registro delle imprese, ovvero di garantire la par condicio creditorum attraverso l'esperimento delle azioni revocatorie.

Tale disposizione sembra essere discriminatoria rispetto alle regole applicabili alle domande depositate anteriormente al 9 marzo 2020: per esse, infatti, opera il rinvio d'ufficio delle udienze civili a partire da tale data e sino all'11 maggio 2020, ai sensi dell'art. 36 del medesimo Decreto, senza che sia possibile beneficiare della disciplina di favore prevista per i fallimenti seguiti ad istanze dichiarate improcedibili. Ciò significa che, nel caso del termine previsto dall'art. 10 l. fall., il periodo di sospensione obbligatoria potrebbe precludere l'accoglimento di quelle istanze che, pur depositate anteriormente al periodo di “blocco”, riguardino situazioni in cui il termine di un anno dalla cancellazione del registro delle imprese cade in un momento di impossibilità, per gli uffici giudiziari, di svolgere regolarmente l'attività e dichiarare l'insolvenza (salva, ovviamente, l'eventualità in cui il Tribunale decida di abbreviare i termini ai sensi dell'art. 15, comma 5, l. fall.). Allo stesso modo, le misure di contenimento potrebbero pregiudicare le attività delle amministrazioni fallimentari le quali, non potendo consultare agevolmente la documentazione dell'impresa fallita, rischierebbero di trovarsi nell'impossibilità di promuovere azioni a tutela della par condicio creditorum, quali le azioni revocatorie, con conseguente pericolo di decadenza ai sensi dell'art. 69-bis l. fall.

Tale evenienza non risulta neppure neutralizzata dall'art. 83, comma 8 del Decreto legge n. 18 del 2020, richiamato dall'art. 36 del “Decreto Liquidità”, il quale, almeno sul piano letterale, prevede la sospensione della decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza solamente nel caso in cui tali termini riguardino diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento di attività precluse dai provvedimenti dei capi degli uffici giudiziari, aventi ad oggetto le direttive per lo svolgimento in sicurezza delle attività giudiziarie non colpite dalla sospensione. Infatti, almeno per quanto concerne la previsione di cui all'art. 10 l. fall., non sembra coerente non computare, ai fini della decadenza e della prescrizione, il periodo di “blocco” nel caso in cui l'impossibilità di tutela dipenda dai provvedimenti adottati dai capi degli uffici giudiziari in relazione ad attività, in astratto, consentite e, al contrario, calcolare anche tale termine con riferimento a domande per cui è espressamente prevista la sospensione delle udienze.

A parere di chi scrive, se l'intento del legislatore d'emergenza – esplicitato, del resto, anche nella Relazione illustrativa – è quello di “neutralizzare” gli effetti negativi conseguenti al periodo di blocco delle attività, sarebbe forse stato opportuno prevedere un meccanismo idoneo ad assicurare la sospensione dei termini di decadenza e prescrizione di tutti quei diritti che, a causa del rinvio d'ufficio delle udienze, ovvero delle misure di contenimento adottate, corrono il rischio – similmente a quanto avviene per gli interessi tutelati dal terzo comma dell'art. 10 del “Decreto Liquidità” – di essere pregiudicati sul piano della tutela giudiziale in concreto perseguibile.

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