I finanziamenti dei soci nella legislazione emergenziale da Covid-19

24 Aprile 2020

L'art. 8 del D.L. n. 23 del 2020 (c.d. Decreto Liquidità) deroga alla ordinaria disciplina dei finanziamenti dei soci. L'obiettivo del Governo è quello di favorire i finanziamenti dei soci, altrimenti penalizzati dal meccanismo della postergazione rispetto agli altri creditori. Nel presente contributo si esaminano le implicazioni che questa scelta del legislatore potrà avere. L'osservazione più importante da svolgere è che la momentanea applicabilità dell'art. 2467 c.c. implica solo che i crediti dei soci non sono postergati, ma non implica certo che i loro crediti divengano privilegiati. Ciò potrebbe dissuadere i soci dall'effettuare finanziamenti in società, confidando in un prestito bancario.
Il quadro normativo ordinario ed emergenziale sul finanziamento soci

L'art. 2467 comma 1 c.c. prevede che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito.

L'art. 2467 comma 2 c.c. stabilisce inoltre che “ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

Infine l'art. 2497 quinques c.c. statuisce che “ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti si applica l'articolo 2467”.

Le disposizioni che, per comodità di lettura si sono riportate testualmente, costituiscono lo statuto dei finanziamenti dei soci nel nostro diritto societario. La ratio delle disposizioni è la seguente. I soci devono effettuare, in sede di costituzione della società, dei conferimenti, ossia devono mettere a disposizione le risorse necessarie affinché la società possa svolgere la sua attività. Laddove dette risorse non bastino, la legge non vieta che i soci facciano successivamente dei semplici finanziamenti, distinti per natura dal capitale originariamente versato. Tuttavia i soci potrebbero comportarsi scorrettamente restituendosi i finanziamenti e così soddisfarsi prima degli altri creditori. Per evitare questa condotta di azzardo morale da parte dei soci, la legge – in sostanza – equipara i finanziamenti al capitale della società: ambedue non sono liberamente restituibili se prima non sono soddisfatti gli altri creditori.

Al riguardo la Corte di cassazione (Cass. 15 maggio 2019, n. 12994) ha recentemente statuito che la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale fra i creditori sociali, integrando una condizione legale di inesigibilità del credito del socio al rimborso del finanziamento – pur contrattualmente scaduto – che perdura fino a quando non sia superata la situazione di squilibrio prevista dal comma 2 della disposizione.

Il rischio di sottocapitalizzazione è particolarmente forte nelle s.r.l. italiane. Nel nostro tessuto economico, difatti, sono frequentissime le piccole società di capitali a responsabilità limitata caratterizzate da pochi soci (2, 3 o 4 soci), tutti collegati da rapporti familiari, di amicizia o comunque personali. In queste società i soci sono spesso anche amministratori della società. Sorge dunque con facilità un radicale conflitto di interessi fra soci e creditori. Quando ci sono avvisaglie che la situazione economica e finanziaria della società peggiora, i soci hanno interesse a “auto-restituirsi” i finanziamenti, ma – così facendo – si soddisfano prima degli altri creditori sociali. Il piccolo numero di soci e il fatto che siano in contemporanea amministratori (o comunque collegati per ragioni personali agli amministratori) fa sì che i soci conoscano perfettamente la situazione della società, così da anteporre il proprio interesse (= restituzione dei finanziamenti) a quello dei creditori (= pagamento dei debiti sociali).

Tanto brevemente premesso sulle disposizioni che disciplinano i finanziamenti dei soci e sulla ratio delle norme in condizioni “ordinarie”, la recentissima legislazione emergenziale determinata dall'epidemia di Covid-19 ha apportato una modifica – per quanto temporanea – alle norme appena illustrate. Difatti l'art. 8 del D.L. n. 23 del 2020 (decreto c.d. “liquidità”) prevede che “ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile”. Dunque le comuni disposizioni sui finanziamenti soci non sono applicabili per un arco temporale di circa nove mesi (da aprile 2020 a dicembre 2020).

Cerchiamo allora di capire quale sia la ratio della nuova disposizione. Il senso della regola è la seguente: le imprese sono in tale difficoltà che qualsiasi danaro che vi venga versato è benvenuto, indipendentemente dal soggetto che lo effettua. Quando in condizioni normali i soci effettuano versamenti, il loro diritto di credito (alla restituzione) viene postergato rispetto a quello degli altri creditori; i soci potranno ottenere la restituzione dei finanziamenti solo dopo i creditori sociali. Se la società fallisce, non hanno alcuna possibilità di recuperare i finanziamenti. In questa condizione ordinaria, il socio sa che rischia di perdere l'investimento e potrebbe essere portato a non farlo: meglio lasciar fallire la società che perdere i proprio danari “privati”. Con la nuova disposizione il socio è (apparentemente) incentivato a finanziare la propria impresa perché viene meno il meccanismo della postergazione. Il socio dunque può restituirsi i finanziamenti anche se non sono soddisfatti prima i creditori sociali. A queste condizioni, si deve rilevare che - se l'intenzione del legislatore si comprende sotto il profilo della necessità di fornire immediata liquidità alle imprese - vi è un fortissimo rischio di danno ai creditori.

I tipi societari coinvolti e la diffusione del fenomeno dei finanziamenti soci

L'art. 2467 c.c. si riferisce alle sole s.r.l. L'art. 2497 quinquies c.c. invece si riferisce a finanziamenti effettuati a favore di generiche “società” da parte di chi esercita attività di direzione e di coordinamento. Vi è anche una definizione di direzione e coordinamento: “si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo 2359” (art. 2497 sexies comma 1 c.c.). Non è questa la sede per soffermarsi in dettaglio sulla nozione di direzione e coordinamento. Basterà qui osservare che interessati dalla disposizione su direzione e coordinamento sono i soci che detengono una partecipazione significativa, mentre nella s.r.l. basta una partecipazione anche infinitesimale.

L'analisi delle due disposizioni porta dunque a concludere nel senso che:

  • nella s.r.l. la postergazione opera anche se il socio ha una partecipazione del tutto minoritaria (art. 2467 c.c.);
  • al di fuori della s.r.l., la postergazione opera solo se il socio ha una partecipazione significativa (art. 2497 quinquies c.c.).

Vale la pena ricordare che diversi interventi giurisprudenziali hanno stabilito che l'art. 2467 c.c. si applica anche nelle s.p.a. In particolare secondo la Corte di cassazione (Cass. 20 giugno 2018, n. 16291) è estensibile ad altri tipi di società di capitali il disposto di cui all'art. 2467 c.c. che, nelle s.r.l., prevede la postergazione del rimborso del finanziamento del socio concesso in situazioni che renderebbero necessario un conferimento, perché la ratio della norma consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale delle società chiuse. Tale disciplina deve pertanto trovare applicazione, continua la Cassazione, anche al finanziamento del socio di una s.p.a., qualora le condizioni della società siano a quest'ultimo note, per lo specifico assetto dell'ente o per la posizione da lui concretamente rivestita, quando essa sia sostanzialmente equivalente a quella del socio di una s.r.l.

Va ulteriormente premesso che le società italiane sono terribilmente sottocapitalizzate. Il capitale minimo della s.r.l. è di 1 euro (!): prevede difatti l'art. 2463 comma 4 c.c. che “l'ammontare del capitale può essere determinato in misura inferiore a euro diecimila, pari almeno a un euro”. Prima della riforma del 2013, il capitale minimo era di 10.000 euro. In ogni caso si tratta di importi alquanto modesti, inidonei all'avvio pressoché di qualsiasi attività economica.

La sottocapitalizzazione iniziale delle nostre s.r.l. impone di cercare risorse in altro modo. Le alternative principali sono due:

  • il ricorso al credito bancario;
  • i finanziamenti dei soci.

La differenza principale fra le due fattispecie è che i soci possono erogare finanziamenti senza l'applicazione di tassi d'interesse (finanziamenti c.d. “infruttiferi”), mentre le banche chiedono un corrispettivo per i finanziamenti che erogano. Inoltre le banche assoggettano la società a una stringente verifica del merito creditizio, prima di erogare il credito, diversamente dai soci.

Nella prassi dunque sono frequenti i finanziamenti soci alle piccole s.r.l. Al riguardo bisogna però distinguere fra il caso in cui tutti i soci effettuano finanziamenti e il caso in cui solo uno o alcuni dei soci effettuano finanziamenti.

Nel caso in cui tutti i soci sono finanziatori, non si pongono problemi particolari. Si immagini il caso (invero, piuttosto frequente nella prassi) in cui i soci siano due al 50% del capitale (e il capitale ammonti a € 10.000). Se il fabbisogno della società è di € 100.000 e ciascuno di essi versa € 50.000, la loro posizione è del tutto paritaria. Molto probabilmente non chiederanno alla società alcun interesse, poiché gli interessi verrebbero pagati da un soggetto (la società) di cui sono gli unici titolari in posizione paritaria: se la società pagasse interessi, la società verrebbe svuotata di risorse che - in ultima istanza - sono dei soci stessi.

Una situazione diversa si ha nel caso in cui i soci non hanno quote dello stesso peso: si immagini che un primo socio Tizio abbia il 70% del capitale e un secondo socio Caio il 30%. In questo caso la parità formale di trattamento fra soci viene conseguita solo se il finanziamento è ripartito nella stessa misura percentuale. Nell'esempio fatto sopra (fabbisogno complessivo di € 100.000), dunque, il primo socio verserà € 70.000, mentre il secondo socio verserà € 30.000. Vero è che il socio Tizio ha finanziato la società più del socio Caio, ma il socio Tizio ha un'aspettativa agli utili maggiori del socio Caio, detenendo il 70% della società.

Nel diverso caso in cui solo alcuni dei soci fanno finanziamenti, la situazione è più complicata. Si torni all'esempio di una società con due soli soci, e con un fabbisogno finanziario di € 100.000. Se solo Tizio versa in società € 100.000, ciò determina uno squilibrio fra la posizione di Tizio e quella di Caio. Assumendo che il capitale sociale nominale sia di € 10.000, ciascuno dei soci aveva originariamente contribuito con un (risibile) conferimento di € 5.000. Dopo il finanziamento del socio Tizio, il contributo di ciascuno alla società sarebbe fortemente squilibrato in quanto Tizio ha versato in tutto € 105.000 (5.000 di capitale + 100.000 di finanziamento), mentre Caio ha versato in tutto € 5.000. Siccome il diritto agli utili è proporzionale al capitale, Tizio rischia di perdere molto di più di Caio, senza avere l'aspettativa – nel caso la società vada bene – di conseguire più utili. In una situazione del genere è più difficile che Tizio dia la propria disponibilità a finanziare la società. Egli chiederà interessi alla società o, in alternativa, delle garanzie all'altro socio. Forse si dovrà rinunciare ai finanziamenti soci e ricorrere al finanziamento bancario.

Indicazioni pratiche per l'erogazione di finanziamenti soci nel periodo aprile-dicembre 2020

Un buon numero di imprenditori italiani dovrà a breve decidere come aiutare la propria impresa, se mediante ricorso al credito bancario oppure effettuando un finanziamento.

Nel caso i soci decidano di finanziare la società, il primo consiglio da dare è quello di formalizzare un accordo di finanziamento fra soci e società. L'accordo può venire ad esistenza anche mediante scambio di corrispondenza, ossia mediante un testo – prima condiviso informalmente fra le parti – che viene poi scambiato fra i soci che promettono di erogare il finanziamento e la società che promette di restituire detto finanziamento.

L'accordo di finanziamento deve prevedere (o comunque è utile che preveda):

  • la spiegazione dei motivi del finanziamento;
  • una data certa;
  • quali soci finanziano la società;
  • l'importo che ciascuno di essi si obbliga a versare alla società ed entro quale termine;
  • la previsione dell'eventuale tasso di interesse che la società riconosce come corrispettivo ai soci finanziatori;
  • la durata del finanziamento.

Nelle premesse dell'accordo di finanziamento deve essere fatto espresso riferimento all'art. 8 D.L. n. 23 del 2020 e all'emergenza determinata dall'epidemia di Covid-19. Questa avvertenza consente, in caso di futuro contenzioso, di rendere edotti i terzi (e in particolare il giudice) delle ragioni che hanno portato alla conclusione del finanziamento.

Molto più importante dell'indicazione dei motivi che hanno spinto i soci a effettuare il finanziamento è che l'accordo sia munito di data certa. Come è noto, l'art. 2704 c.c. prevede che “la data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata … o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici”. La data certa è utile perché l'accordo di finanziamento fra soci e società produce effetti nei confronti dei creditori della società. L'art. 8 D.L. n. 23 del 2020 deroga all'art. 2467 c.c. e dunque i finanziamenti dei soci non sono postergati. Non essendo postergati, i soci entrano in conflitto con i creditori della società.

I restanti elementi (quali soci finanziano e per quale importo, l'eventuale tasso di interesse) servono a delimitare l'oggetto del contratto.

Un'ulteriore notazione in merito alla durata del finanziamento dei soci. Come si è visto, la legge prevede che l'art. 2467 c.c. non si applichi ai finanziamenti effettuati fra l'aprile e il dicembre 2020. Cosa succederà dunque a gennaio 2021? L'art. 8 D.L. n. 23 del 2020 cesserà di produrre effetti e i nuovi finanziamenti effettuati a partire dal gennaio 2021 saranno postergati. Tuttavia i finanziamenti effettuati nel periodo aprile-dicembre 2020 rimarranno caratterizzati dall'eccezione alla postergazione anche se non saranno restituiti entro fine 2020.

Nel determinare la durata del finanziamento, i soci potrebbero svolgere il seguente ragionamento: dapprima effettuare un brevissimo prestito-ponte alla società (con indicazione di una durata di 60-90 giorni), usando la liquidità immediata fornita dai medesimi soci per guadagnare tempo al fine di ottenere un finanziamento bancario. In questo modo i soci evitano immediate carenze di liquidità, mentre accedono ai finanziamenti bancari “agevolati” previsti dal D.L. n. 23 del 2020. Se il finanziamento bancario viene concesso, i soci si restituiscono il finanziamento soci. Se, viceversa, il finanziamento bancario non viene concesso, i soci possono (meglio: di fatto “devono”) lasciare in società il loro finanziamento.

Si noti tuttavia che un mero accordo fra soci e società in merito al finanziamento (seppure dotato di data certa), potrebbe non essere sufficiente per l'opponibilità dell'operazione ai terzi. Difatti, secondo un recente intervento della Corte di cassazione (Cass. 1° marzo 2019, n. 6104), ai fini della qualificazione in termini di finanziamento della erogazione di danaro fatta dal socio alla società, è determinante la circostanza che l'operazione sia stata contabilizzata nel bilancio di esercizio che costituisce il documento contabile fondamentale nel quale la società dà conto dell'attività svolta e che rende detta operazione opponibile ai terzi, compreso l'erario, essendo invece irrilevante la modalità di conferimento prescelta all'interno dell'ente.

In conclusione

Il crollo del fatturato delle imprese e del PIL determinato dall'epidemia da Covid-19 sarà molto significativo. L'imperativo è quello di fornire liquidità alle imprese, per evitare che falliscano: i fallimenti delle imprese possono portare a perdite di posti di lavoro non più recuperabili. La funzione di finanziare le imprese in situazioni di eccezionale gravità come questa viene universalmente riconosciuta agli Stati. Lo Stato italiano, anche in forza del gravoso debito pubblico che lo connota, non è in grado di finanziare adeguatamente le imprese. Per sopperire a questa incapacità, il legislatore facilita i finanziamenti dei soci. L'idea di per sé è buona, ma bisogna comprendere quanti imprenditori saranno disponibili a effettuare questi finanziamenti. Si pongono inoltre problemi di tutela dei creditori sociali, che vengono parificati dall'art. 8 D.L. n. 23 del 2020 ai soci finanziatori (creditori chirografari ambedue), con il rischio tuttavia che i soci finanziatori di fatto si restituiscano i finanziamenti prima di avere pagato i creditori sociali.

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