La continuità aziendale "rifinanziata" ha nuova prevalenza sulle procedure concorsuali emergenziali. Una casistica da riordinare?

27 Aprile 2020

Com'è noto, il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, in vigore dal 9 aprile 2020, introduce misure urgenti, contenute nel capo II, volte a garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza Covid 19.La continuità aziendale assume nuova prevalenza, mentre la liquidazione concorsuale è rinviata e tornerà ad essere applicabile con l'insieme dei procedimenti che la governano al termine del periodo emergenziale.In questa nuova prevalenza, il Legislatore disegna una serie di raccordi ed individua soluzioni normative con le quali la continuità aziendale e le misure che la assicurano sono rafforzate rispetto alla liquidazione fallimentare.
Premessa

Com'è noto, il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, in vigore dal 9 aprile 2020, introduce misure urgenti, contenute nel capo II, volte a garantire la continuità delle imprese colpite dall'emergenza Covid 19.

La continuità aziendale assume nuova prevalenza, mentre la liquidazione concorsuale è rinviata e tornerà ad essere applicabile con l'insieme dei procedimenti che la governano al termine del periodo emergenziale.

In questa nuova prevalenza, il Legislatore disegna una serie di raccordi ed individua soluzioni normative con le quali la continuità aziendale e le misure che la assicurano sono rafforzate rispetto alla liquidazione fallimentare.

La tecnica normativa privilegiata è la via della casistica in concreto, ma con rinuncia a dettare regole di principio.

Tale scelta normativa impone, di conseguenza, all'interprete, due urgenti attività:

  1. completare la casistica considerabile, declinando fattispecie di crisi aziendale pur frequenti, ma non descritte dal legislatore;
  2. individuare il principio comune sotteso a questa normativa e che possa valere a guidare gli operatori tutti delle procedure concorsuali in emergenza.

Rafforzamento delle procedure di continuità aziendale. Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione.

Casistica prevista dal decreto n. 23/2020

Una serie di disposizioni sono dedicate ai concordati e agli accordi di ristrutturazione dei debiti: si tratta delle previsioni contenute nell'art. 9 d.l. n. 23/2020, rubricato appunto “Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione”.

La casistica in materia di concordato preventivo può essere così sintetizzata, sulla base dell'articolazione della norma in esame:

  1. per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, i termini di adempimento sono prorogati di sei mesi.
  2. Nei procedimenti per l'omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020, il debitore può presentare, sino all'udienza fissata per l'omologa, un'istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell'art. 161, legge fallimentare, o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis legge fallimentare. Tale termine decorre dalla data del decreto con cui il Tribunale assegna il termine, e non è prorogabile. L'istanza è inammissibile se è presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale si sia già tenuta l'adunanza dei creditori, senza che si siano raggiunte le maggioranze previste dall'art. 177 legge fallimentare.
  3. Nel caso si voglia ottenere esclusivamente la modifica dei termini di adempimento del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione, il debitore deve depositare entro la data fissata per l'udienza di omologazione una memoria contenente l'indicazione dei nuovi termini e deve, inoltre depositare la documentazione che comprova la necessità della modifica dei termini. Il decreto legge precisa che il differimento dei termini non può essere superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie. È previsto, inoltre, che nel caso di procedimento di omologazione del concordato preventivo, il Tribunale acquisisce il parere del Commissario giudiziale. Il Tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 180 o 182-bis legge fallimentare, procede all'omologa, dando espressamente atto delle nuove scadenze.
  4. La quarta e ultima ipotesi è relativa al debitore che abbia ottenuto la concessione del termine di cui all'art. 161, co. 6, legge fallimentare, e tale termine sia già stato prorogato dal Tribunale, può, prima della scadenza, presentare istanza per la concessione di un'ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui sia stato depositato un ricorso per la dichiarazione di fallimento.

L'istanza deve contenere l'indicazione degli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga, facendo uno specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell'emergenza epidemiologica COVID-19. Il Tribunale, una volta acquisito il parere del Commissario giudiziale laddove nominato, concede la proroga quando ritiene che l'istanza sia basata su concreti e giustificati motivi.

Il comma 5 del medesimo art. 9 ammette che siffatta istanza possa essere presentata dal debitore che abbia ottenuto la concessione del termine previsto dall'art. 182 bis, co. 7, legge fallimentare. In tale ipotesi il Tribunale provvede in camera di consiglio, omessi gli adempimenti previsti dallo stesso art. 182-bis, co. 7, primo periodo, legge fallimentare, e concede la proroga quando ritenga che l'istanza si basi su concreti e giustificati motivi, e che continuino a sussistere i presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze previste dall'art. 182-bis, co. 1, legge fallimentare.

Casistica in concreto

In concreto, una prima riflessione appare necessaria: le modifiche ai piani pendenti appaiono automaticamente ammissibili in caso di attività sospese ex lege; per le altre attività è onere dell'impresa in procedura dimostrare in concreto il sussistere dei presupposti per le richieste di rimodulazione/allungamento.

Alcuni esempi possono chiarire la situazione di criticità che siffatte realtà imprenditoriali sono chiamate a superare e che si distinguono esattamente tra attività sospese e attività che proseguono a rango ridotto.

Si pensi alle strutture alberghiere: esse non sono state prese in considerazione dal decreto dell'11 marzo 2020, mentre il recente decreto legge n. 23/2020 ha previsto che le strutture ricettive alberghiere possano erogare servizi diversi dall'accoglienza a fini turistici, pur rimanendo chiuse le strutture ricettive all'aria aperta, extra-alberghiere e altre tipologie ricettive, a eccezione di quelle collegate alla gestione dell'emergenza. Sono, invece, consentite le attività di manutenzione e di controllo, nei limiti di quanto previsto dall'ultimo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La gravità della situazione economica in cui versa l'intera categoria ha indotto, ad esempio, Federalberghi ad elaborare un documento di sintesi in cui sono state indicate alcune priorità: anzitutto compensare la riduzione di fatturato, poi ridurre la tassazione sugli immobili, salvaguardare le imprese in affitto, tutelare il lavoro stagionale e incentivare le vacanze in Italia.

Il comparto della ristorazione ha subito un danno enorme dall'emersione dell'emergenza sanitaria. Entro tale settore si raccolgono ristoranti, bar, gelaterie, pasticcerie, che sono state sospese dalle previsioni governative e costrette a ritagliarsi un difficile spazio attraverso il servizio d'asporto, consentito attraverso il DPCM 11 marzo 2020. La fine del lockdown e l'inizio della fase 2, laddove si consenta l'apertura di locali aperti al pubblico, imporranno il rispetto di una distanza di sicurezza e una predisposizione strutturale che, inevitabilmente, richiederà molti investimenti a un settore già duramente provato dall'emergenza sanitaria.

Ancora, le imprese balneari e turistiche hanno subito importanti battute d'arresto e già da ora, nella speranza di una prossima fase 2, si intavolano discorsi per supportare la manutenzione immediata degli stabilimenti e la predisposizione di misure idonee ad affrontare la seconda ondata pandemica attraverso modalità compatibili con la prosecuzione dell'attività turistica.

Quanto alla crisi del settore tessile e alla possibilità di un superamento della stessa, occorre sperare in un intervento immediato e significativo da parte del Governo. Difatti, il settore tessile – e specificamente dell'abbigliamento – sta vivendo un periodo di grave depressione, determinato dalle misure di contenimento del virus, tale da causare una diminuzione del fatturato peggiore rispetto a quella che si verificò nel 2009. È verosimile che, in assenza di un'iniezione di liquidità che copra almeno parzialmente le perdite del fatturato, alcune aziende non potranno riprendere l'attività neppure dopo il periodo di emergenza. Occorrerebbe un adeguamento del credito di imposta alla gravità dell'attuale emergenza, nonché una sua immediata monetarizzazione, oltre che un sistema di cassa integrazione più rapido che consenta alla filiera della moda di sopravvivere in uno dei momenti più scuri della sua storia.

Il Decreto Legge n. 23/2020 nulla prevede in merito alle attività che, al contrario delle precedenti, hanno incrementato il loro fatturato in seguito all'emergenza Covid: si pensi ai negozi di generi alimentari, alle gastronomie, ai supermercati, alle farmacie, nonché alle aziende che hanno convertito la loro produzione per realizzare, ad esempio, mascherine.

A questo proposito, il decreto legge “Cura Italia” aveva predisposto due tipi di agevolazioni. Anzitutto venivano stanziati 50 milioni, gestiti da Invitalia, a favore delle aziende dedicate alla produzione delle mascherine. Tale somma sarà erogata sotto forma di finanziamenti agevolati o a fondo perduto. In secondo luogo è stata prevista la possibilità di produrre mascherine chirurgiche in deroga alle norme vigenti.

È possibile immaginare che anche siffatti cambiamenti possano influire, in positivo, sui concordati preventivi aperti, potendosi immaginare modifiche migliorative degli accordi.

I finanziamenti nelle procedure concorsuali in emergenza

Occorre domandarsi come si combinino le nuove regole di sospensione dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione con le norme relative ai finanziamenti alle imprese.

Il decreto legge n. 23/2020 ha introdotto alcune novità per consentire una migliore ripresa economica una volta superata la cd. fase 1 della pandemia.

Le più rilevanti sono le seguenti:

  1. la trasformazione del Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese in uno strumento in grado di garantire fino a 100 miliardi di euro di liquidità: se ne è voluta potenziare la dotazione finanziaria ed estenderne l'utilizzo anche alle imprese fino a 499 dipendenti. Si è inteso, altresì, realizzare un importante snellimento delle procedure burocratiche attraverso le quali accedere alle garanzie concesse dal Fondo, muovendosi su tre direttrici principali: una garanzia al 100% per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 25.000 euro, senza alcuna valutazione del merito di credito. In questo caso le banche potranno erogare i prestiti senza attendere il via libera del Fondo di Garanzia; una garanzia al 100% (di cui 90% Stato e 10% Confidi) per i prestiti di importo non superiore al 25% dei ricavi fino a un massimo di 800.000 euro, senza valutazione andamentale; infine una garanzia al 90% per i prestiti fino a 5 milioni di euro, senza valutazione andamentale;
  2. la possibilità di concedere alle imprese garanzie statali sui prestiti bancari attraverso Sace e misure idonee a potenziare gli strumenti per sostenere l'esportazione del ‘made in Italy', nonché l'internazionalizzazione e gli investimenti delle aziende;
  3. è stata prorogata la sospensione di tributi e dei contributi per altri due mesi e quella relativa agli sgravi per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale;
  4. si è realizzata l'estensione della normativa sul Golden Power anche alla difesa delle piccole e medie imprese e delle principali filiere produttive del nostro Paese.

Assicurare la liquidità alle aziende piccole e grandi rappresenta l'imprescindibile presupposto perché non si giunga all'insolvenza e alla conseguente chiusura delle imprese.

Per le imprese in procedura concorsuale in continuità vi è da considerare, inoltre, che il decreto liquidità, con l'art.13, interviene con misure di rafforzamento anche sul fondo Garanzia per le piccole e medie imprese. In particolare, secondo quanto è dato leggere nella relazione illustrativa al decreto medesimo, la garanzia del fondo è concessa anche alle imprese ammesse, dopo il 31 dicembre 2019, alla procedura del concordato con continuità aziendale, che abbiano stipulato accordi di ristrutturazione del debito, o abbiano presentato un “piano attestato”.

Peraltro, occorre ricordare che i prestiti con garanzia SACE sono concessi a precise condizioni: le garanzie sono rilasciate entro il 31 dicembre 2020, infatti, per nuovi finanziamenti di durata non superiore a 6 anni, con possibile preammortamento (fase in cui si pagano solo gli interessi) di durata fino a 24 mesi; alla data del 31 dicembre 2019, l'impresa che richiede il prestito non deve rientrate tra quelle considerate in “difficolta” secondo il Regolamento UE 651/2014 e, alla data del 29 febbraio 2020, non deve essere presente tra le esposizioni deteriorate presso la banca, come definite dalla normativa europea.

In questo senso, anche in fase di valutazione della sospensione del concordato preventivo nonché degli accordi di ristrutturazione occorrerà tenere in considerazione le richieste di finanziamento e la possibilità di salvezza connessa alla presentazione della relativa istanza da parte di imprese che vertono in situazioni di oggettiva difficoltà.

Nel silenzio della legge sul punto, e in assenza di una discussione della dottrina in merito e di un'adeguata presa di posizione giurisprudenziale, si può immaginare che i prestiti con garanzia di Stato debbano essere ascritti alla categoria dei crediti prededucibili e per essi varrà l'applicazone dell'art 182-quinquies l.f.

Il fallimento è improcedibile in fase emergenziale

L'art. 10 del decreto legge n. 23 del 2020 prevede , al comma 1, che tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 della legge fallimentare depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 siano da reputarsi improcedibili. Tale previsione non si applica però alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all'articolo 15, co. 8, legge fallimentare.

Al comma 3 dell'art. 10 si prevede poi che quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 faccia seguito la dichiarazione di fallimento, il periodo suddetto non sia computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69-bis della legge fallimentare.

Quesiti pratici

Numerosi sono i dubbi operativi che la norma pone.

  • Ci si domanda se, per le istanze presentate, la caducazione debba avvenire ex lege o se serva un'apposita istanza per fare dichiarare l'improcedibilità.

Si deve ritenere che sia il giudice, in forza di una valutazione operata ex lege, a dichiarare d'ufficio l'improcedibilità della domanda quando si verifichino i presupposti indicati dall'art. 10 decreto legge n. 23/2020.

  • Il Pubblico Ministero può presentare un'istanza senza chiedere i provvedimenti di sequestro ex art. 15 legge fallimentare: in tale caso si può immaginare che l'istanza già presentata non si caduchi, ma che il Pubblico Ministero possa domandare i provvedimenti di sequestro anche successivamente.

La nuova istanza, contenente richiesta di provvedimenti di sequestro, deve contenere una motivazione che dia conto degli elementi nuovi nel frattempo intervenuti.

Il nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza è destinato ad attendere

Il decreto legge n. 23 del 2020 ha rinviato l'entrata in vigore del Codice della Crisi e dell'Insolvenza: il termine dell'agosto 2020 è slittato al 1° settembre 2021, come si legge all'art. 5 del decreto legge n. 23, rubricato “Differimento dell'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al D.Lgs. 2 gennaio 2019, n. 14”.

La norma pone una serie di interrogativi pratici.

Ad esempio.

In assenza della disciplina in vigore in materia di allerta e di prevenzione, le nuove norme del Codice della Crisi e dell'Insolvenza che sono già vigenti e che si applicano agli assetti organizzativi, continuano ad avere senso?

La risposta è certamente positiva. Infatti, gli artt. 375 ss. del Codice della Crisi e dell'Insolvenza hanno lo scopo intrinseco di realizzare una migliore gestione dell'azienda, più efficace e tempestiva in caso di criticità. L'utilità di una simile regolamentazione, che ha un valore in sé, non si perde con il differimento delle altre norme.

Con il differimento dell'entrata in vigore del nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, cade anche l'obbligo di attivarsi con un collegio sindacale nominato e con un revisore?

No, non cade siffatto obbligo. Gli artt. 78 ss. CCI, infatti, continuano ad avere efficacia, nella prospettiva di garantire una migliore gestione dell'assetto aziendale anche in attesa che la nuova disciplina entri integralmente a regime.

Come si devono leggere le norme sugli assetti organizzativi in rapporto alla nuova legge fallimentare?

Deve ritenersi che siffatta regolamentazione abbia un'applicazione ridotta.

Ci si domanda: ha avuto senso rinviare anche l'entrata in vigore della disciplina sul sovraindebitamento, che rappresenta una parte a sé stante del Codice della Crisi e dell'Insolvenza?

Probabilmente no, poiché il sovraindebitamento avrebbe potuto trovare una sua propria applicazione anche prescindendo dal preciso contesto storico e dall'emergenza sanitaria. Tuttavia, si può pensare che si sia preferito considerare l'intera disciplina nel suo complesso, riordinata in un codice unico, il cui differimento è stato operato integralmente.

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