Azione revocatoria fallimentare e incorporazione di società

27 Aprile 2020

In tema di azione revocatoria fallimentare, laddove si sia verificata una fusione di società, trattandosi di successione universale, essa concerne, al di là del letterale riferimento dell'art. 2504-bis c.c. ai diritti ed agli obblighi, tutte le situazioni giuridiche per loro natura trasmissibili...
Massima

In tema di azione revocatoria fallimentare, laddove si sia verificata una fusione di società, trattandosi di successione universale, essa concerne, al di là del letterale riferimento dell'art. 2504-bis c.c. ai diritti ed agli obblighi, tutte le situazioni giuridiche per loro natura trasmissibili e, quindi, anche le situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, ivi compresa l'eventuale conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto, poi fallito, che ha effettuato un pagamento nel periodo sospetto.

Fonte: IlSocietario.it

Il caso

Il ricorso in cassazione che ha originato la pronuncia in oggetto impugna la decisione della corte d'Appello di Catania che aveva rigettato la sentenza di primo grado del tribunale del medesimo capoluogo siciliano, con la quale era stata accolta una domanda di revocazione ex art. 67, comma 1, n. 1, l. fall.

La società ricorrente Alpha S.p.A. era stata dichiarata insolvente in data 2 marzo 1996, ed era stata successivamente ammessa ad amministrazione straordinaria in data 26 marzo 1996. Con atto di citazione del 22 novembre 2011, la medesima società Alpha chiedeva la declaratoria di inefficacia dell'atto pubblico del 22 novembre 1994, con il quale la società Beta S.p.A., appartenente al gruppo Alpha e incorporata alla società attrice con un atto di fusione del 12 dicembre 1994, aveva alienato beni alla società Gamma S.a.s. Il prezzo era stato pagato parzialmente a mezzo cessione di crediti pro soluto, vantati dall'acquirente nei confronti di altre tre società del gruppo medesimo, nonché a compensazione di un credito vantato nei riguardi della stessa alienante e per il residuo anche mediante eventuali forniture.

Con il primo di quattro motivi di impugnazione – l'unico che in questa sede si avrà cura di illustrare – viene denunciata la violazione dell'art. 67 l. fall. Si è sostenuto che l'atto di compravendita revocato non sarebbe stato riferibile alla società attrice, bensì ad un'altra società del gruppo. Tale società, al momento della vendita, era in bonis, poiché l'insolvenza era stata dichiarata in un momento successivo e solo in capo alla società incorporante. Dunque, nella ricostruzione della ricorrente, non si era verificato il presupposto della scientia decoctionis.

La Corte di Cassazione ha escluso la fondatezza del motivo di ricorso, richiamando una consolidata giurisprudenza della corte di legittimità, secondo la quale la fusione di una società realizza un'ipotesi di successione universale con i medesimi effetti di una successione mortis causa. Ne consegue che anche l'azione di revocazione fallimentare deve intendersi applicabile alla fattispecie.

Le questioni

La questione giuridica che costituisce la chiave di soluzione nella sentenza de qua, attiene al riconoscimento e alla specificazione degli effetti della procedura di incorporazione e fusione societaria nei rapporti giuridici pregressi, con specifico riferimento alla possibilità di esperire vittoriosamente un'azione di revocazione fallimentare.

Gli effetti, dunque, sono tra loro interdipendenti e sono quelli dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione della società incorporante nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo alla società incorporata, della società incorporante. La società incorporante, dunque, come spiega la Corte di legittimità, è il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici che già riguardavano i soggetti fusi o incorporati.

Il tema della successione universale di società incorporante nei rapporti attivi e passivi prima facenti capo alla società incorporata – alla stregua di una vera e propria successione universale mortis causa – rappresenta la premessa logica dalla quale la Corte di Cassazione muove per raggiungere la soluzione in materia di revocazione fallimentare. Poste tali premesse, infatti, la Corte specifica che, proprio trattandosi di un esempio di successione universale, essa concerne, oltre che le fattispecie di diritti e obblighi previsti dal testo dell'art. 2504-bis c.c., anche tutte quante le situazioni giuridiche che, per loro natura, siano trasmissibili. Tra di esse, dunque, rientrerebbero anche le situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, tra le quali non può non inserirsi anche la conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto, che poi sia fallito, e che abbia effettuato un pagamento nel periodo sospetto.

La questione non era certamente ignota alla Corte di legittimità, che aveva avuto modo di affrontarla in diverse pronunce ricordate dalla stessa decisione qui in oggetto. Si tratta, a titolo esemplificativo, di Cass.Civ., n. 11059/2011; Cass.Civ., n. 5716/2003; Cass.Civ., n. 9796/2000. In quella da ultima citata, ad esempio, la Cassazione aveva rivelato come, in tema di revocazione fallimentare è esperibile, da parte del curatore del fallimento della società che in precedenza abbia realizzato l'incorporazione di altra società, l'azione revocatoria ex art. 67, comma 1, n. 2, l. fall., anche nei riguardi degli atti solutori posti in essere nel periodo sospetto dalla società incorporata. La stessa giurisprudenza di merito aveva avuto modo di precisare, negli stessi anni, la medesima posizione, sostenendo che l'azione revocatoria fallimentare di un atto posto in essere da una società, anche se esperita successivamente alla sua fusione per incorporazione, si riflette sulla incorporante, la quale, nella sua qualità di successore a titolo universale, subisce le conseguenze patrimoniali del comportamento della società incorporata (Trib. Milano, 28 febbraio 2000). Quanto all'aspetto probatorio, ancora la giurisprudenza di merito aveva avuto modo di specificare che la prova della scientia decoctionis può essere offerta comprovando l'esistenza di sintomi dello stato di insolvenza, conoscibili o conosciuti in via presuntiva, riferibili a società che, attraverso fusioni o incorporazioni sono confluite nella società successivamente fallita (Trib. Roma, 20 novembre 1996).Solamente una risalente decisione di merito (App. Roma, 24 marzo 1997, in Riv. dir. comm. 1997, 247 ss.) aveva avuto modo di sostenere una decisione differente: si affermava che a seguito del fallimento della società incorporante, non fosse possibile assoggettare ad azione revocatoria fallimentare un atto posto in essere, prima della fusione, da una società incorporata, poiché all'atto mancherebbe il requisito indispensabile della provenienza che lo avrebbe reso assoggettato alla revocatoria medesima, ossia l'essere stato compiuto da una società dichiarata fallita.

Osservazioni

Occorre considerare come le ipotesi che la giurisprudenza ha costantemente preso in esame e deciso con un ormai costante orientamento si caratterizzano in quanto l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare da parte della società incorporante avvenga per atti solutori posti in essere nel periodo sospetto dalla società nel frattempo incorporata. In tutte le fattispecie, dunque, esiste un atto solutorio compiuto dalla società incorporata, la quale è soggetto che è succeduto alla società incorporante, successivamente fallita, ed il curatore ravviserebbe, in siffatta situazione giuridico-patrimoniale il presupposto e la legittimazione all'esercizio di un'azione che ripristini la par condicio creditorum. In questo senso, come è stato osservato, nell'atto di scissione in sé e per sé non è logicamente configurabile la riconduzione alla situazione giuridico-patrimoniale della società figlia (così F. Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società per azioni, Milano, 2008, 364 s. e ntt. 851 s., richiamando, altresì, Trib. Livorno, 2 settembre 2003, in Fall., 2004, 1138 s.).

Il dato è da tenere in considerazione, per evitare di applicare a qualunque ipotesi di successione societaria la regola di recente confermata dalla Corte di Cassazione: solo un'attenta disamina della ratio dell'estensione applicativa dell'azione revocatoria può condurre a esiti ermeneutici corretti.

Conclusioni

La sentenza in oggetto si inquadra senza dubbio in un orientamento sicuro e ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, che mira ad assicurare la par condicio creditorum, attraverso lo strumento processuale dell'azione revocatoria fallimentare, anche nelle ipotesi in cui le metamorfosi societarie sembrerebbero spezzare il nesso di legittimazione tra atto sospetto e lesione patrimoniale. Lo sforzo ermeneutico di lettura complessiva del fenomeno societario, unito ad una severa lettura degli atti solutori compiuti nelle singole fattispecie, rappresentano la chiave di lettura che la Corte di Cassazione suggerisce per la migliore tutela dei creditori sociali.

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