Il concordato di un … concordato “non s'ha da fare”

Fabio Signorelli
28 Aprile 2020

La rinuncia ad una domanda di concordato preventivo omologato che si traduce sostanzialmente in una revoca della proposta di concordato non è più ammissibile una volta che gli effetti vincolanti del concordato preventivo siano stati tradotti in un provvedimento di omologazione.
Massima

La rinuncia ad una domanda di concordato preventivo omologato che si traduce sostanzialmente in una revoca della proposta di concordato non è più ammissibile una volta che gli effetti vincolanti del concordato preventivo siano stati tradotti in un provvedimento di omologazione.

Va riconosciuto ex se radicalmente inammissibile, in quanto risulta sistematicamente da escludere la possibilità di devolvere ad una nuova procedura dello stesso tipo – ossia nel caso di specie, il concordato di un concordato – quanto già oggetto degli impegni assunti secondo un precedente patto concordatario ormai omologato, che rimanga inadempiuto.

L'impiego essenzialmente “strumentale” dell'istituto del concordato preventivo – destinato a regolare la crisi delle imprese commerciali, secondo modalità tipiche stabilite dalla legge – concretizza la nozione di “abuso del diritto”, lesivo del valido esercizio di una facoltà che l'ordinamento attribuisce invece su presupposti differenti e con finalità di altro tipo.

Il caso

Una società aveva già da tempo instaurato un concordato preventivo, secondo le modalità concorsuali della continuità aziendale diretta, davanti al Tribunale di Ferrara (allora competente per territorio), regolarmente omologato e divenuto irrevocabile. Resasi inadempiente alle obbligazioni concordatarie, la predetta società, a fronte della constatazione che l'ordinamento vigente non consente la mera modifica interna di una piano di concordato preventivo già omologato, depositava successivamente presso il Tribunale di Bologna (divenuto, nel frattempo, territorialmente competente a seguito del trasferimento della sede sociale) una nuova domanda di concordato preventivo con continuità aziendale “in bianco”, ai fini di formulare una diversa e migliorativa proposta di pagamento ai creditori sociali rimasti insoddisfatti, dichiarando, altresì, al Tribunale di Ferrara di rinunciare al concordato da quest'ultimo omologato, chiedendone l'archiviazione, in modo che non fosse pendente altra procedura concorsuale rispetto a quella radicata davanti al Tribunale di Bologna, come già detto, divenuto, nel frattempo, territorialmente competente.

Il Tribunale estense, tuttavia, rigettava la richiesta di rinuncia al concordato preventivo già omologato e divenuto definitivo, affermando che tale revoca avrebbe precluso la possibilità per i creditori di risolvere il concordato ai sensi dell'art. 186 l. fall. Di conseguenza, il Tribunale di Bologna, condividendo appieno tale provvedimento, dichiarava inammissibile il ricorso per concordato preventivo, con le motivazioni di cui infra.

La questione

La vicenda, per usare le stesse espressioni del Tribunale felsineo, appare inconsueta e anomala. Innanzitutto i giudici bolognesi valorizzano giustamente i principi generali che precludono il diritto del debitore di rinunciare ad un concordato preventivo che sia stato omologato e sia divenuto irrevocabile, evidenziando che la rinuncia alla domanda di concordato corrisponde sostanzialmente ad una revoca della proposta medesima, non più ammissibile una volta che il concordato sia stato omologato, indipendentemente dalla valenza privatistica o pubblicistica del concordato preventivo, perché se in passato ampia è stata la discussione attorno al termine entro il quale poteva intervenire la revoca della proposta di concordato, che si dipanava tra l'adunanza dei creditori e la pronuncia del decreto di omologazione, nessuno ha mai posto seriamente in dubbio che quest'ultimo costituisse il punto di non ritorno e precludesse ogni ulteriore modifica della proposta.

Solo per completezza, è bene ricordare che il secondo comma dell'art. 175 l. fall., ai sensi del quale la proposta di concordato poteva essere modificata fino all'inizio delle operazioni di voto, è stato abrogato dall'art.3, lett. b), D.L. 27 giugno 2015, convertito, con modificazioni, nella L. 6 giugno 2015, n. 132, n. 83, dovendosi, pertanto, fare attualmente riferimento all'art. 172, comma 2, l. fall., a mente del quale, le proposte di concordato, ivi compresa quella del debitore, possono essere modificate, con effetto preclusivo, fino a quindici giorni prima dell'adunanza dei creditori, mentre è ormai consolidato l'orientamento giurisprudenziale che ritiene che la proposta concordataria, avendo natura negoziale, è rinunciabile (anche tacitamente) dal proponente, unilateralmente (senza, invero, il consenso dei contrapposti creditori) sino all'omologazione del concordato, momento quest'ultimo che consacra il consenso sulla proposta concordataria già manifestato dal ceto creditorio in sede di approvazione e ciò in ragione della ineliminabile natura negoziale della proposta avanzata dal debitore per superare la crisi d'impresa con l'intesa dei creditori.

Non va dimenticato che un ulteriore elemento d'indagine non poteva prescindere dal fatto che, pendente il termine annuale per l'eventuale risoluzione del (primo) concordato, competente per ogni decisione relativa a tale procedura poteva essere soltanto il Tribunale di Ferrara che, a quanto risulta dal decreto in esame, ha (ovviamente) respinto l'istanza volta a rinunciare al concordato omologato, con richiesta di archiviazione, in modo che fosse pendente una sola procedura concorsuale, vale a dire quella davanti al Tribunale di Bologna, motivando tale rigetto sul presupposto che, anche prescindendo dall'assorbente generale considerazione dell'inammissibilità di una rinuncia ad un concordato ormai omologato, l'accoglimento dell'istanza di rinuncia avrebbe precluso ai creditori rimasti insoddisfatti di chiedere la risoluzione del concordato medesimo.

Infatti, una volta che gli accordi concordatari si sono cristallizzati mediante l'omologazione del Tribunale (a maggior ragione, come nel caso di specie, se in via definitiva) non è certamente ammissibile che il debitore possa svincolarsi da tali obbligazioni attraverso una semplice rinuncia al concordato medesimo, una volta che si sia reso parzialmente o totalmente inadempiente agli accordi assunti, perché l'unico rimedio previsto dall'ordinamento giuridico in caso d'inadempimento è la risoluzione e l'annullamento del concordato, ai sensi dell'art. 186 l. fall.: secundum non datur.

La riforma del 2007 ha abolito il potere officioso del Tribunale di risolvere il concordato ed ha attribuito la legittimazione attiva esclusivamente ai creditori, sottolineandone il carattere contrattualistico e non v'è dubbio che il debitore non abbia alcuna legittimazione in tale sede, potendo solo subire passivamente l'iniziativa dei suoi creditori.

Le soluzioni giuridiche

In tale singolare contesto, il Tribunale di Bologna non poteva non stigmatizzare le discutibilissime scelte del debitore il quale, con quella che aveva tutta l'aria di un'excusatio non petita, si preoccupava di affermare che il ricorso per concordato preventivo non potesse costituire un'ipotesi di abuso dello strumento concordatario benché risultasse in modo manifesto che la finalità perseguita fosse quella di evitare il proprio fallimento, a seguito dell'inadempimento del concordato omologato (dal Tribunale di Ferrara). E proprio tale uso strumentale del concordato, secondo il decreto in parola, dimostra, invece, un'evidente finalità dilatoria della soddisfazione dei creditori, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede nonché dei principi di lealtà processuale e del giusto processo.

Lo stesso Tribunale ha altresì disatteso, ritenendolo inconferente, il riferimento del debitore ad un recente arresto giurisprudenziale della Suprema Corte in tema di consecutio di procedure concorsuali (Cass., 10 aprile 2019, n. 10106; per un breve commento vedi in questa Rivista la nota redazionale “Accordi di ristrutturazione e consecuzione di procedure”, in data 11 aprile 2019), secondo il quale il principio di alternatività ex art. 161, comma 6, l.fall. in pendenza del termine richiesto con domanda di concordato in bianco non è applicabile alla consecuzione di procedure aventi natura concorsuale, quali l'accordo di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo “pieno”. Quando quest'ultimo venga proposto (nonostante l'omologazione del primo, per la sua inattuabilità) prima della dichiarazione di fallimento, occorre verificare in concreto se la nuova domanda sia abusiva o meno; se non lo è, essa non può non considerarsi inammissibile. In tal modo, i Giudici di legittimità hanno stabilito che l'obbligo di alternatività tra l'accordo di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo riguarda unicamente il caso in cui il debitore abbia depositato una domanda di concordato “in bianco”, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall.

Ed infatti – e qui sta il cuore della decisione felsinea – se appare ammissibile, da una parte, che un concordato preventivo possa essere proposto a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti (seppur omologato) rimasto ineseguito, sia perché il concordato preventivo ha un contenuto potenzialmente molto diverso dall'accordo di ristrutturazione sia perché i principi di conservazione dei valori aziendali che sono stati valorizzati dal legislatore soprattutto negli ultimi anni consentono all'imprenditore di cercare di recuperare, in tutti i modi, la crisi aziendale, non appare invece plausibile che ad un concordato preventivo omologato e definitivo possa seguire un secondo concordato diretto a regolare, in successione temporale tra loro, la medesima situazione d'insolvenza. Non è ammissibile, in sostanza, il concordato di un concordato perché l'omologazione del primo, vale a dire la sua definitività, preclude che si possano devolvere ad una nuova procedura dello stesso tipo gli impegni a suo tempo assunti e non adempiuti. E ciò non solo e non tanto perché, in ipotesi, potremmo assistere alla duplicazione infinita delle stesse procedure; non solo perché tale modus operandi costituisce sicuramente un abuso conclamato e lapalissiano del diritto e, nella specie, dello strumento concordatario ma, soprattutto perché l'unica soluzione che è stata prevista dall'ordinamento giuridico per risolvere la patologia irreversibile della crisi d'impresa è la risoluzione (e l'annullamento) del concordato, come previsto dall'art. 186 l. fall., e la conseguente dichiarazione di fallimento su istanza di parte o su richiesta del pubblico ministero (dopo l'eliminazione, in via generale, della dichiarazione di fallimento d'ufficio), dopo che sia stata accertata l'effettiva sussistenza dello stato d'insolvenza.

Guida all'approfondimento

F. Lamanna, Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcorato, di concordato e di omologa di accordi, in IlFallimentarista.it

G. Lo Cascio, Il concordato preventivo e le altre procedure di crisi, Milano, 2017.

M. Fabiani, Concordato preventivo, in Scialoja e Branca, a cura di G. De Nova, libro quinto, Lavoro, art. 2221, Bologna, 2014, 756.

M. Mastrogiacomo, I presupposti per l'azione di annullamento nel concordato preventivo, IlFallimentarista.it

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